Attualità

Ricerca. Tumori, nei linfonodi le «spie» che prevedono il rischio recidiva

Vito Salinaro martedì 7 gennaio 2014

Il decorso di un paziente operato di melanoma, e quindi la possibi­lità che lo stesso sviluppi o meno una successiva recidiva, non dipende dall’aggressività del tumore ma dalla nostra risposta immunitaria. È dun­que l’organismo che condiziona le conseguenze di questa malattia – la più pericolosa tra i tumori della pelle – e che ci aiuterà a identificare i rischi di recidiva. A questo risultato, che avrà un impatto sui protocolli terapeutici, si è arrivati grazie a uno studio pilota dell’Istituto nazionale dei Tumori (Int) di Milano, pubblicato sulla prestigio­sa rivista scientifica Cancer Research. Il gruppo di ricerca guidato dalla bio­loga Monica Rodolfo, dell’unità di Im­munoterapia dell’Int, attraverso l’a­nalisi molecolare in biopsie di 'linfo­nodi sentinella' (quelli più vicini al­l’area del tumore e più a rischio di metastasi), ha scoperto che la molecola 'Cd30' ri­sulta più espressa nel­le cellule immunitarie linfonodali e in quelle circolanti con malat­tia aggressiva: queste cellule mostrano una funzione alterata, in­debolita, e sono quin­di segno di immuno­soppressione o di e­saurimento dell’im­munità antitumore. Si tratta di una spia di grande impor­tanza per i medici che, grazie allo svi­luppo clinico di questo metodo, po­tranno identificare quali pazienti, do­po l’intervento chirurgico di rimo­zione del melanoma, presenteranno un elevato rischio di recidiva e che quindi saranno sottoposti a ulteriori terapie; terapie, invece, che verran­no risparmiate a quei pazienti guari­ti con il solo utilizzo della chirurgia, per i quali altri trattamenti farmaco­logici risulterebbero a questo punto inutili oltre che tossici. «Questo studio – spiega Marco Pie­rotti, direttore scientifico dell’Irccs Int di Milano – si colloca nella tradizio­ne di ricerca immunologica e di im­munoterapia dei tumori, caratteristi­ca di questo Istituto, ma integrata da innovativi approcci molecolari volti a comprendere i complessi rapporti che si instaurano tra il tumore e l’or­ganismo che lo ospita. Riconoscere in ciascun paziente – aggiunge – se il suo sistema immunitario reagisce al melanoma o lo subisce, consentirà di modulare gli interventi per ottimiz­zare efficacia terapeutica e corretta allocazione di risorse economiche». La molecola Cd30, afferma Monica Rodolfo, «potrebbe diventare un nuo­vo bersaglio terapeutico per i pazienti con melanoma». Inoltre, essendo già disponibili farmaci che agiscono sul marcatore Cd30, «è possibile imma­ginare che questa nuova strategia te­rapeutica possa essere studiata nei pazienti in tempi brevi». Sfruttando la genomica, lo studio del-­l’Int ha preso in esame i linfonodi sen­tinella di 42 pazienti affetti da mela­noma con differente aggressività. I ri­cercatori miravano a identificare bio­marcatori in grado di individuare i pazienti ad alto rischio di reci­dive. Per fare questo, spiega una nota Int, sono stati confrontati «i linfonodi sentinella di pazienti in cui il tu­more aveva avuto una recidiva con quelli di pazienti senza recidi­va fino a cinque anni dopo la rimozione chirurgica del tumore primario». In aggiun­ta, «i ricercatori hanno raccolto campioni di sangue da 25 pa­zienti con melanoma di stadio 3 e 4 e li hanno comparati con quelli di do­natori sani combinati per età e ses­so ». Il team di ricerca ha scoperto che il linfonodo sentinella dei pazienti con recidiva dopo cinque anni presenta­va cellule immunitarie con alterazio­ne dell’espressione di geni coinvolti nei processi di sopravvivenza, proli­ferazione e metabolismo cellulare. Il marcatore Cd30, inoltre, era più pre­sente nei linfonodi dei pazienti con recidiva del tumore e in quelli con sta­dio della malattia avanzato. Lo studio condotto a Milano è stato finanziato dall’Airc (Associazione i­taliana per la ricerca sul cancro) e dal ministero della Salute.