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Accoglienza in famiglia. Le adozioni internazionali? Piccoli numeri (oltre la crisi)

Luciano Moia venerdì 11 gennaio 2019

Anno 2018, sono poco più di mille e trecento (1.364) i bambini diventati italiani grazie all’adozione internazionale. Erano stati 1.446 nel 2017. Più che dimezzati rispetto ai 3.154 del 2011, ma anche le coppie disposte ad adottare sono calate di circa 500 l’anno. Oggi, sulla base delle domande pendenti presso gli enti, le coppie in attesa risultano circa 3.700. Più o meno la metà riuscirà, nel giro di un paio d’anni, a regalare una famiglia a un bambino che non ce l’ha.

Piccoli numeri, certo rispetto agli oltre 5 milioni di coppie senza figli di cui una buona percentuale potrebbe, almeno sulla carta, essere interessata all'adozione. E, soprattutto, di fronte ai 140 milioni di bambini orfani nel mondo (dati Unicef 2016). Ma è inutile stracciarsi le vesti, pochissimi di questi minori arriveranno in futuro nel nostro Paese grazie al sistema dell’adozione internazionale. Sono tanti i motivi – da quelli culturali a quelli di politica internazionale – che sembrano congiurare contro la ripresa delle adozioni, del resto in calo in tutto il mondo, con flessioni ben più rilevanti che non nel nostro Paese. Di fronte a un crollo dell’80 per cento nel mondo occidentale dal 2004 al 2016, in Italia la decrescita si è fermata al 55%. Un calo comunque rilevante.

Così che un gesto d’amore straordinario e responsabile, capace di condensare in sé contenuti profondi di promozione umana e di responsabilità sociale, appare sempre più limitato ad ambiti ristretti, come i circuiti virtuosi dell’associazionismo familiare, dove l’arrivo di un figlio continua a rappresentare un dono e non un diritto. Tantomeno un 'prodotto' da acquistare. «In questi ultimi due anni – osserva Laura Laera, vicepresidente della Cai, Commissione per l’adozione internazionale – c’è stata una sostanziale tenuta. I circa 80 bambini in meno arrivati nel 2018 sono legati soprattutto alla decisione di sospendere le adozioni da parte di grandi Paesi come l’Etiopia e la Polonia. Nel frattempo abbiamo ripreso i contatti con la Bolivia. E in altri Paesi, come in Bielorussia, le attività si sono intensificate. Nel 2017 erano stati 29, nel 2018 sono diventati 112». In particolare i minori provenienti dall’Europa sono stati 640, dall’Africa 121, dall’America centrale e meridionale 330 e dall’Asia 303. La Federazione Russa rimane il Paese con il maggior numero di minori adottati (200), seguita dalla Colombia (169 piccolo aumento rispetto al 2017), dall’Ungheria (135), dalla Bielorussia, come detto, (112) e dalla Cina (84).

Piccoli spostamenti che confermano la sostanziale tenuta di una dinamica complessa, che dev’essere costruita e mantenuta efficiente grazie al sistema degli accordi bilaterali. Il prossimo 21 gennaio la Cai accoglierà una delegazione del Senegal che, dopo aver ratificato la convenzione dell’Aja qualche anno fa, ha messo in piedi anche la struttura per attuare pienamente il trattato e potrà quindi rappresentare uno sbocco interessante per i nostri enti autorizzati. Stesso discorso per il Benin. In aprile sarà la volta della Cambogia. «Il quadro delle adozioni internazionali è questo. Difficile immaginare – riprende la vicepresidente della Cai – che si possa tornare ai livelli di dieci anni fa».

MOLTI PAESI DECIDONO DI FERMARE L'ESODO DEI MINORI VERSO L'ESTERO

E non si tratta neppure di un problema politico. Il governo per ora sta tenendo fede agli impegni. Stanno arrivando i fondi per rimborsare per le spese sostenute dalle famiglie fino al 2017 e anche le strutture della Cai, dopo la stasi relativa al triennio 2014-2106, hanno ripreso a funzionare al meglio. Anche il presidente Conte, durante la sua visita in Etiopia, non ha esitato a ricordare il problema delle adozioni. Per il momento purtroppo senza esito. La Cai continua comunque a tessere la sua tela con contatti, progetti di cooperazione, scambi proficui. «Non credo sia possibile muoversi in altro modo. Siamo di fronte a un quadro internazionale in via di trasformazione – sottolinea Laura Laera – dove cresce il numero dei Paesi che 'fanno da sé', che cercano cioè di risolvere il problema dei minori abbandonati con l’adozione nazionale e con l’affido, come abbiamo fatto in Italia a partire dagli anni Settanta. Difficile immaginare cosa succederà in futuro, ma il calo demografico dell’Occidente lascia intravedere scenari abbastanza definiti». La vicepresidente della Commissione Cai da buon magistrato – fino al giugno 2017 era presidente del Tribunale dei minorenni di Firenze – non si abbandona a profezie, ma non è difficile immaginare quello che succederà.

Da una parte il calo delle nascite e quello dei matrimoni, dall’altra la 'concorrenza' della fecondazione assistita finirà per restringere sempre di più il numero delle coppie disponibili all’adozione. «Va ricordato che l’adozione non è un diritto – prosegue l’esperta – ma una disponibilità e, insieme un’avventura che può finire bene, e così succede nella maggior parte dei casi, ma può anche avere esiti problematici». Nel frattempo la Cai prosegue anche la sua opera di razionalizzazione degli enti autorizzati che sono scesi a 55 e, probabilmente entro la fine dell’anno arriveranno sotto quota cinquanta. Un ridimensionamento inevitabile e uno sforzo importante per razionalizzare l’intero sistema.