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Coronavirus. I numeri reali ci dicono che il rischio era avere oltre 1 milione di morti

Alessandro Rosina venerdì 3 aprile 2020

I numeri sono fondamentali per capire quanto l’epidemia di Covid–19 si sia diffusa nella popolazione italiana. Ci forniscono indicazioni sul livello di gravità raggiunto e sulle dinamiche in corso, aiutandoci ad anticipare un suo possibile rallentamento e prefigurare i tempi di una ripresa progressiva delle attività del Paese. Allo stato attuale, però, l’unica informazione certa che abbiamo è che i dati ufficialmente forniti sono sottostimati. Sono, infatti, solo la punta di un iceberg.

Quello che sarebbe quindi utile capire, prima di qualsiasi altra considerazione, è in che proporzione sta la parte che emerge rispetto a quella sommersa. Secondo i dati forniti dal bollettino giornaliero della Protezione civile, i casi (infetti) totali riscontrati hanno oramai superato quota 100mila, ma è verosimile che i contagiati siano molti più. L’ordine di grandezza potrebbe essere quello dei milioni più che delle centinaia di migliaia, come suggerisce anche uno studio dell’Imperial College.

La capacità di contagio e la letalità del virus sono tali da quadruplicare in poche settimane i decessi osservati, come indicato in una nota dell’Istat citata ieri dal presidente Blangiardo su queste pagine. Senza misure di contenimento, dunque, è verosimile superare i 100mila morti per Covid–19 nella sola Lombardia e ben oltre mezzo milione in Italia. Prima di dar conto di tali valori è però necessario partire dal limite delle informazioni disponibili. Il dato ufficiale sugli infetti è sottostimato perché dipende dal numero di tamponi effettuati e dai criteri adottati per i test.

Tali criteri in Italia variano da regione a regione, quindi non solo abbiamo un dato sottorappresentato ma è difficile anche operare confronti sul grado di diffusione nelle diverse aree del Paese. Tale limite contribuisce anche all’incertezza sul numero di decessi. Oltre alla difficoltà a discriminare tra morti “per” e “con” Covid–19, ci sono i decessi di persone che non hanno fatto il tampone e quindi non contabilizzati tra le vittime ufficiali dell’epidemia. Una valutazione della effettiva sovramortalità dovuta a questa crisi sanitaria l’avremo quando potremo confrontare il dato completo sul numero di decessi mensili di quest’anno con quelli medi degli anni scorsi. Informazione che l’Istat sta iniziando a rendere disponibile, anticipata dai dati forniti per i primi tre mesi dell’anno dal sindaco di Nembro per il proprio comune.

Questi dati ci indicano che la mortalità mensile (ma per alcune aree della provincia di Bergamo anche su un solo trimestre) può superare di almeno quattro volte quella dello stesso periodo dell’anno scorso. Il rapporto tra vittime del virus e contagiati totali fornisce il tasso di letalità. Questo dato, a differenza dei due precedenti, è largamente sovrastimato nel monitoraggio ufficiale.

Il motivo è il fatto che, in base ai criteri utilizzati per i test i casi identificati sono soprattutto relativi ai sintomatici e in condizione più grave, quindi il rapporto dei decessi rispetto ai positivi risulta particolarmente elevato. Il dato ufficiale sulla letalità riflette dunque la letalità “apparente”, non quella reale, come ha evidenziato uno studio dell’Ispi condotto da Matteo Villa.

Dato che la letalità “effettiva” dipende dalle caratteristiche del virus (più che dalle strategie per individuare i casi e contenere la diffusione) è possibile ottenere stime esterne usando le migliori evidenze disponibili da studi internazionali. Secondo le stime dello studio Ispi la letalità passa da valori bassissimi in età giovanile a quasi l’8% per chi ha 80 anni e più, sale invece fin oltre il 9% nello studio dell’Imperial College di Ferguson e colleghi (mentre quella apparente risulta oltre il 25% tra i più anziani).

Queste stime sulla letalità effettiva, allo stato attuale, sono il dato più solido che abbiamo. Un altro dato che possiamo considerare solido è, come abbiamo detto, anche quello relativo al Comune di Nembro che documenta come in tre mesi i decessi da attribuire al virus siano quattro volte il dato dell’anno scorso.

Combinando tali due informazioni si ottiene un contagio che ha raggiunto oltre i due terzi degli abitanti in tale località. Un valore coerente con una diffusione già in atto da tempo e su cui ben poco hanno potuto le misure di contenimento. Se anche tutta la Provincia di Bergamo fosse nella stessa situazione, arriverebbe a superare da sola i 10 mila morti.

Portato su scala di tutta la Lombardia, lo scenario osservato a Nembro porterebbe a oltre 100mila decessi solo per il virus, con oltre 6 milioni e mezzo di abitanti infetti. Se si dovesse estendere tale diffusione a livello nazionale, i morti totali (per Covid–19 sommati a quelli che avremmo avuto senza epidemia) rischierebbero di essere più di un milione nel 2020.

Se per un’ampia area della Provincia di Bergamo (ma verosimilmente anche altre specifiche province settentrionali) lo scenario peggiore si è di fatto realizzato, per l’insieme della Lombardia e dell’Italia questi dati non ci dicono a che punto è la diffusione del virus ma ciò che stiamo evitando che accada (quantomeno attutendo e rallentando nei tempi la sua azione) con le misure di contenimento messe in atto. Misure sulle quali è bene mantenere, a fronte di qualche segnale positivo che si inizia a scorgere, il massimo impegno collettivo possibile. Ma tutto questo ci insegna anche che abbiamo un forte bisogno di migliorare la qualità dei dati disponibili.

Demografo, Università Cattolica