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Pearl Harbor, 7 dicembre 1941. Tutti gli errori degli ammiragli

Vincenzo Grienti domenica 5 dicembre 2021

La Uss Arizona colpita, simbolo dell'attacco aeronavale giapponese

Poteva essere una domenica come tutte le altre sull’isola di Oahu, nell’arcipelago delle Hawaii. Invece non fu così. Per il presidente americano Franklin Delano Roosvelt fu il 'giorno dell’infamia' perché avvenne senza una dichiarazione di guerra. Il documento che avrebbe dovuto porre gli Usa contro l’impero nipponico arrivò in ritardo anche per via della volontà giapponese di sferrare l’attacco a Pearl Harbor mezz’ora dopo la consegna della dichiarazione di guerra per sfruttare al massimo il fattore sorpresa. Inoltre l’ambasciatore giapponese a Washington Kichisaburo Nomura ebbe problemi di decrittazione tali da inoltrare ad attacco avvenuto il testo al Segretario di Stato americano Cordell Hull. «L’ingresso in guerra degli Stati Uniti fu decisivo per le sorti del conflitto. Roosevelt era convinto che l’entrata in guerra contro la Germania nazista era inevitabile, ma si scontrava con un congresso e una opinione pubblica permeate ancora da un forte isolazionismo – sottolinea Fabio De Ninno, storico navale e professore all’Università di Siena –. Di conseguenza il coinvolgimento americano, sebbene si fosse esteso progressivamente nel corso del 1941, soprattutto con la scorta diretta ai convogli in Atlantico e l’occupazione dell’Islanda, non era ancora pieno e la mobilitazione economica statunitense limitata. L’attacco giapponese però spazzò via le ultime resistenze isolazioniste, permettendo agli Stati Uniti di gettare tutto il loro peso nella guerra». L’Operazione Z era stata studiata ad arte grazie anche a una rete capillare di intelligence. Dal 27 marzo 1941 il guardiamarina Takeo Yoshikawa operava a Honolulu sotto falso nome. Accreditato presso il personale diplomatico informava costantemente Tokyo sul movimento delle navi americane. Quando ai primi di dicembre comunicò che nessuna portaerei si trovava nella baia dell’isola del Pacifico, la delusione dei vertici fu grande, a partire dall’ammiraglio Isoroku Yamamoto, ideatore dell’attacco. Le tre portaerei Enterprise, Lexington e Saratoga non erano in porto. Fattore determinante per il controllo del potere marittimo nel Pacifico. Il colpo agli americani fu un successo, ma non mancarono gli errori: «Il primo fu la stessa dichiarazione di guerra – spiega l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, storico delle istituzioni militari–. Il Ministero degli Esteri e la Marina Imperiale erano fortemente contrari, ma l’Esercito riuscì a imporre la propria volontà di far guerra agli Stati Uniti ricorrendo all’assassinio di chi fosse contrario, e i morti non furono pochi! All’Esercito si unì l’ambiente economico, quando fu decisa da Roosevelt la chiusura ai mercantili giapponesi del Canale di Panama, la più breve via di comunicazione tra i Giappone e l’Europa del Nord». Sintomatica fu la dichiarazione dell’ammiraglio Yamamoto: «O costringiamo gli Stati Uniti alla pace in sei mesi oppure ci distruggeranno». Un modo, aggiunge lo storico, «per salvarsi la vita, esprimendo la propria contrarietà alla dichiarazione di guerra». Il secondo 'errore' fu «la scelta, da parte del comandante della forza di attacco, l’ammiraglio Nagumo, di non autorizzare la seconda ondata di attacco contro l’Arsenale di Pearl Harbor e il naviglio minore, ancora risparmiati in gran parte dalla prima ondata. Anche se oggi gli storici lo accusano di indecisione, non aveva tutti i torti – sottolinea Sanfelice di Monteforte –. Oggi, infatti, sappiamo che le portaerei Usa erano di ritorno alla base, e ricevettero un rilevamento di intercettazione delle comunicazioni giapponesi. Purtroppo, a quell’epoca, il rilevamento soffriva di ambiguità, per cui il nemico intercettato poteva essere a Nord o a Sud. Purtroppo, l’ammiraglio William Halsey scelse di inviare i ricognitori a Sud, credendo impossibile un attacco da nord, che peraltro era stato condotto con successo sia nel 1932 sia nel 1938, durante le esercitazioni di Squadra. Quindi, l’ammiraglio Nagumo aveva fretta di riportare le portaerei in acque sicure, temendo di uscire sconfitto da uno scontro diretto tra portaerei, come fu a Midway». Da tempo i giapponesi 'studiavano' altri attacchi simili, compreso quello aeronavale della 'notte di Taranto' avvenuto tra l’11 e il 12 novembre 1940 per parte della Royal Navy britannica contro la flotta navale della Regia Marina dislocata nella città dei due mari. «L’incursione britannica contro la base navale di Taranto, che mise fuori uso tre corazzate italiane, dimostrò l’efficacia di un attacco contro la squadra nemica in porto condotto da aerosiluranti imbarcati – aggiunge lo storico De Ninno –. Tuttavia, l’ipotesi che sia stata la Notte di Taranto a ispirare Pearl Harbor va ridimensionata: i giapponesi, infatti, studiavano gli attacchi contro porti dai bassi fondali sin dal 1939».