Agorà

La tradizione. Presepe, il “Vangelo in dialetto”

Bruno Forte venerdì 1 dicembre 2023

Presepe napoletano con scene di paesaggio che riproducono l’antica Sorrento, XVIII secolo, particolare. Sorrento, basilica di Sant’Antonio Abate

Il 25 dicembre di ottocento anni fa, la natività di Betlemme è rievocata a Greccio. Chiede una greppia, ossia il “prasepium”, la mangiatoia in latino, un bue e un asino. Li fa collocare in chiesa, nei pressi dell’altare dove si celebra la santa Messa. È la nascita di una tradizione, è una rivoluzione che riavvicina l’esperienza di Dio all’uomo. Il numero 289 di "Luoghi dell’Infinito" in edicola da martedì 5 dicembre è dedicato alla nascita di Gesù nelle arti e nei presepi, un viaggio nei secoli tra forme e colori. Il due editoriali sono a firma di Laura Bosio, che offre una meditazione sulla pala dell’Annunciazione del Greco, e di Davide Rondoni sul gesto dei pastori, l’andare e vedere, in cui si condensa la vera anima della fede che è la curiosità. Lo speciale si apre quindi coi testi del teologo Bruno Forte (che qui anticipiamo in parte) e dello storico Franco Cardini; spazio poi a Elena Pontiggia, Maria Gloria Riva, Marco Ballarini, Andrea Milanesi, Roberto Cicala, Alessandro Zaccuri e Luca Doninelli.

L’incontro di due protagonisti, il divino e l’umano, congiunti in una storia di amore che dona vita e pienezza a ogni vita: è questo il messaggio che il presepe racconta. Una narrazione di cui c’è bisogno oggi almeno come ce n’era quando nel 1223 Francesco d’Assisi, per la prima volta, rievocò a Greccio la scena della Natività. Oggi come allora l’uomo ha bisogno di Dio: oggi, forse ancor più che allora, c’è sete di un amore che vinca la “folla delle solitudini” e stemperi l’accanirsi dei conflitti. Il presepe oggi più che mai si offre come un annuncio di pa ce e di speranza, che può parlare al cuore di tutti.

Forse nessuno meglio di sant’Alfonso de’ Liguori ne ha saputo attualizzare il messaggio per l’oggi degli uomini: lo ha fatto con la densità poetica di uno dei suoi testi più belli, Quanno nascette Ninno, che ha avuto un’enorme diffusione, collegato al canto natalizio che da esso proviene ed è universalmente conosciuto: Tu scendi dalle stelle. Era una notte luminosa e bella quella in cui tutto cambiò per la storia del mondo: e l’universalità dell’annuncio raggiunse i confini della terra, quell’Oriente da cui nell’immaginario comune tutto nasce come il sole all’aurora.

Una gioia nuova e misteriosa sembrò inondare i cuori, e perfino gli animali e l’intero Creato vollero far festa con sentimenti di esultanza del tutto inediti: un Bambino è nato per noi, piccolo e bisognoso di calore e d’amore come ogni bambino della storia, ma gli Angeli annunciano al mondo che in quel Piccolo l’infinito Amore viene a offrirsi per noi, che perciò l’uomo non è più solo, ha anzi la certezza di essere amato e accompagnato dall’Emmanuele, il Dio con noi, sole che illumina ogni notte e la fa giorno di nuova vita e di gioiosa speranza. Il divino incontra l’umano e lo colma di luce…

Il divino è rappresentato nel presepe dalla scena che dà senso a tutte le altre: il mistero dell’Incarnazione. Essa comprende le figure del Bambino, di Maria e di Giuseppe, affiancati dal bue e dall’asinello, e la mangiatoia (praesepium), che dà il nome all’insieme. Che si sia di fronte al luogo in cui l’Eterno sta entrando nel tempo è indicato dal roteare degli angeli, impegnati a cantare la gioia del cielo che viene ad abbracciare e ad abitare la terra. Che un nuovo inizio si compia è figurato dalle colonne del tempio in rovina, gloria della classicità ormai compiuta e superata dall’avvento del divino venuto nella carne, per noi, fra noi.

Le fattezze dei personaggi sono tutte orientate a far risaltare questa novità tanto grande e importante per la vita degli uomini nell’oggi e per l’eternità: la tenerezza del Bambino, la soavità della Madre, la serietà di Giuseppe, perfino un certo portamento dell’asinello e del bue, non privi di un “physique du rôle” adeguato alla scena, convergono nel dire che la gloria che viene a manifestarsi nei poveri segni della storia è sovrabbondanza di amore, di gratuità e di misericordia.

L’altro protagonista del presepe, l’umano, è rappresentato in tutta la varietà del le sue espressioni: al primo posto, i pastori, i poveri aperti alle sorprese di Dio, ai quali l’angelo porta l’annuncio; poi i Magi, figura di tutte le “genti” raggiunte dalla luce della stella; e, infine, l’umanità indifferente e distratta, rappresentata dagli ospiti della locanda. Quest’ultima categoria, la più largamente umana, è descritta nel presepe con tono di bonarietà e di misericordia, quasi a farla partecipe − perfino suo malgrado − della festa di tutto il Creato.

La rappresentazione dei “pastori”, raggiunti dall’annuncio, è quanto mai dolce e partecipata: quelli che hanno come casa la natura e come tetto il cielo e la cui unica sicurezza è affidata all’umile fatica dei giorni, appaiono i destinatari prediletti della buona novella. A essi si congiunge il vasto mondo delle “genti”, significato dai Magi, rappresentati per lo più come un ragazzo, un vecchio e un giovane, dal diverso colore della pelle, a comprendere la varietà dei popoli e delle stagioni della vita, a cui è destinato il Vangelo.

L’abbraccio della natività del Dio con noi si estende al non meno affollato mondo degli animali: il presepe ne ospita di ogni specie, come se anche per loro si celebrasse la festa di un nuovo inizio. In realtà, è tutta la natura ad accogliere il Redentore del mondo: le intuizioni della più antica teologia cristiana, per la quale il Cristo è il centro e il fine del cosmo (cfr Col 1,15s), sono presenti nel presepe come un invito ante litteram alla spiritualità ecologica, sollecita della custodia del Creato.