Agorà

Tennis. Distruttori di racchette ora calmatevi

Gianni Santamaria venerdì 12 maggio 2023

Una delle racchette fotografate da Filippo Trojano per il libro "Smashing rackets"

Sbattute a terra, deformate, sfondate, decapitate, scaraventate via con rabbia. Le povere racchette da tennis ne hanno subite di tutti i colori. La loro colpa? Nessuna. Sono gli atleti che le impugnano a sfogare su di esse la rabbia per un punto buttato, un set sfumato, una partita persa. Eppure il tennis è uno sport elegante, nel quale la parità si chiama deuce, il gesto più noto è la volée e il pubblico segue in silenzio partite ovattate. Come in questi giorni al Foro Italico. Uno sport elegante come il volume appena pubblicato da Hoepli su un gesto che di elegante ha poco, ma è ormai invalso nel tennis a tutti i livelli. Smashing rackets. Tennis e momenti di rottura (pagine 128, euro 28,00). Lo hanno realizzato il fotografo Filippo Trojano e il giornalista Federico Ferrero. Al primo si devono le foto delle racchette distrutte - che si accompagnano a molte d’archivio - il secondo si è dedicato ai testi - spesso citazioni di campioni, che corredano le pagine di grande formato - ricercando aneddoti e storie su questo gesto distruttivo e catartico al tempo stesso. Gesto inconsulto di violenza? No. Lo scrittore Marco Lodoli, che firma la prefazione lo riconduce a «esplosione masochista » dovuta a un « narcisismo ferito». Mentre Ferrero nota come nel tennis ormai, per imitazione, la pratica sia ormai divenuta di massa. « Dal giocatore amatoriale a Roger Federer chiunque ha vissuto quel misto di impotenza e costrizione che lo stress del tennis porta con sé e che prima o poi conduce a concepire un unico pensiero, prendersela con lei, con la racchetta». Il libro, comunque, non è un manuale di psichiatria 6.0. Al di là della psicologia, il fenomeno ha dato vita a un termine burocratico specifico nel regolamento Atp, affiancato a «udibile oscenità» e «condotta antisportiva» e cioè «abuso di racchetta».

Ma quando è iniziato tale (mal)costume? Già. Il momento di rottura primordiale deve esserci stato, visto che per quasi cento anni rompere volontariamente una racchetta è stato «un gesto impossibile che non apparteneva alla mente del giocatore », recita una delle frasi messa a corredo di una foto che ritrae uno di quei gentlemen della racchetta, Fred Perry, nel 1933. Un’altra immagine getta, però, qualche sospetto su un tennista dei tempi in cui lo sport era ancora appannaggio dell’alta borghesia: Don Budge a Wimbledon nel 1935 impugna una racchetta innaturalmente piegata a 90 gradi. Infortunio o dolo? Di certo dolo fu quello di cui racconta nel 1961 Nicola Pietrangeli: a Sanremo Nicola Pirro dopo essere saltato sulle sue racchette avrebbe dato loro fuoco (ma questa pira sarà avvenuta fuori da un campo di gara ufficiale, presumiamo). Uno dei primi nei tempi moderni a compiere l’insano gesto è stato senz’altro John McEnroe, ritratto in uno scatto con un piede sulla giuntura della racchetta prima di spezzarla. «Il gioco del tennis è un grande teatro dove il giocatore arriva a parlare con la propria racchetta prima di distruggerla », la citazione. E McEnroe con la racchetta ci parlava eccome. E sovente la spaccava. La fenomenologia del distruttore di racchette è vasta. Ci sono i seriali. Marat Safin è probabilmente il recordman, tanto da aver ricevuto uno snowboard in omaggio dal suo marchio con impresso un numero: 1.055. «Le hanno contate tutte!», esclama il russo. Il record di velocità spetta, però, al cipriota Marcos Baghdatis, che in mezzo minuto ha fatto fuori ben quattro telai (alcuni ancora nel cellophane), cosa che gli è costata una multa di 1.250 dollari australiani (erano gli Open del 2012). Altri due tennisti, il nostro Fabio Fognini e il francese Benoît Paire , nel 2021 vennero redarguiti dal marchio di cui erano testimonial. Paire, dopo essere stato portato a lavorare nella fabbrica, per rendersi conto della fatica che sta dietro alla realizzazione dell’oggetto, promise di non farlo più. Invano. Vengono poi i calcolatori. L’australiano Nick Kyrgios - definito «uno dei giocatori più iracondi del tour» - pensò una volta di evitare la penalità, chiedendo una pausa e andando a distruggere ben due racchette negli spogliatoi. Niente da fare. Nel 2011 il numero uno al mondo, l’americano Andy Roddick – sotto a Madrid con il 99° in classifica, l’italiano Flavio Cipolla – ha iniziato a sfasciare la racchetta, si è fermato per chiedere all’arbitro se aveva già avuto il warning e alla risposta negativa ha ripreso l’opera. La coppa dei virtuosi spetta di sicuro a Rafa Nadal, che non ha mai rotto una racchetta (di proposito), seguendo l’insegnamento dello zio-allenatore Toni: «È una mancanza di rispetto verso quelle persone che fanno fatica ad acquistare il materiale per giocare». Sparagnino anche Paolo Bertolucci, virtuoso un po’ «per inclinazione», un po’ perché ai suoi tempi la fornitura era di cinque racchette a stagione e se le finivi, dovevi comprartele. La malapratica ha anche i suoi “pentiti”. Roger Federer e Serena Williams in gioventù hanno razzolato male. Salvo ricredersi. Lo svizzero ha smesso poco prima di vincere lo slam e poi ci è ricascato solo una volta nel 2009 contro Djokovic. «Non è il modo migliore di sfogare la tua rabbia», la saggezza postuma dell’americana. Ma a volte il gesto può essere un turning point, parola di Lorenzo Musetti. In un torneo under 14, confessa, spaccare la - altrimenti riverita - racchetta gli diede la carica per rimontare e vincere. Ci sono poi gli scassaracchette a loro insaputa. Come Matteo Berrettini e Lorenzo Sonego: volevano solo far rimbalzare lo strumento a terra e… crac. Anche Pete Sampras distruggeva l’attrezzo da gioco involontariamente, ma per via delle incordature tese all’inverosimile. Goran Ivanisevic, invece, aveva un servizio così potente che, nel 2000, a fine carriera, spaccò tutte le racchette e perse la partita per abbandono. Ci sono, infine il lanciatori di racchette (e i colpitori di palline) all’impazzata, a rischio e pericolo altrui. Il già menzionato Kyrgios è autore di un lancio della racchetta per decine di metri, fin fuori dall’impianto (per fortuna senza colpire nessuno). L’anno scorso due tennisti - l’americano Jenson Brooksby (con la racchetta) e l’australiano Jordan Thompson (con la pallina) hanno rischiato di prendere i raccattapalle, inducendo il connazionale Roddick a un ironico video-tutorial su come lanciare quegli oggetti senza fare del male al prossimo. Paolo Canè a Roma nel 1991 si sfogò, invece, su inermi fioriere, spazzandole via con la racchetta. Storia a parte quella del russo Mikhail Youzhny che, a furia di darsi l’incordatura sul capo, si è procurato una ferita. Autolesionismo o legittima difesa?