Una finale è per sempre: Inzaghi nella storia dell'Inter. Comunque vada

Dopo lo scudetto delle due stelle e due ultimi atti in Champions, l'allenatore potrebbe lasciare. Stasera la sfida con il Psg per la coppa. L'ambiente nerazzurro: "Simone resta con noi"
May 30, 2025
Una finale è per sempre: Inzaghi nella storia dell'Inter. Comunque vada
Reuters | L'allenatore dell'Inter Simone Inzaghi
C’è una foto scattata che resterà, comunque vada, nella storia dell’Inter: quella con Simone Inzaghi, solo (come si è sentito troppe volte in questa stagione), sull’erba dell’Allianz Arena di Monaco di Baviera, con il respiro fermo e lo sguardo verso i riflettori spenti, le tribune vuote, e un pensiero che pesa più della coppa della Champions che questa sera vuole assolutamente vincere: «Forse è l’ultima volta con la Beneamata...». Già perché quella che stasera l’Inter giocherà contro il Paris Saint-Germain non è solo “la finale” di Champions League: è una resa dei conti con il tempo, con la memoria, con ciò che si è stati e che forse non si sarà più. È l’epilogo di un ciclo che ha avuto la bellezza fragile delle cose che non si sanno trattenere. Le incomprensioni portano alla mancanza di fiducia ed è per questo che i rapporti in genere finiscono. Vero che però - come si augurano tutti i protagonisti di questa storia -, proprio come nelle storie d’amore, c’è sempre una seconda possibilità, un modo per ripartire insieme, per costruire un nuovo sogno. Inzaghi arriva alla finale di stasera come un uomo romantico in un calcio che ha smesso di esserlo. In un’epoca di algoritmi, clausole e plusvalenze, lui si è aggrappato all’idea che l’estetica e il coraggio potessero ancora vincere. Soprattutto è un uomo che non fa polemica, ma che tiene il punto perché è forte. Ha plasmato l’Inter a sua immagine: armonica, generosa, testarda, umana. L’ha condotta attraverso notti europee piene di paure e meraviglie, l’ha fatta crescere senza mai dimenticare il cuore. Nonostante gli errori e quell’idea di molti che lo accusano di aver “perso” due campionati, praticamente già vinti. E oggi si ritrova ad affrontare il PSG con un gruppo che non è solo una squa-dra, una tifoseria, una società, una proprietà, ma un piccolo popolo che lo segue perché si sente parte della sua visione. Molti big della squadra non sono andati in altri club che promettevano più soldi e più fama, non solo perché amano davvero l’Inter – e soprattutto i suoi tifosi –, ma perché a guidarli c’è Inzaghi. Eppure, mentre si preparava alla partita della vita, Simone sapeva che il suo tempo all’Inter poteva finire. Non per fallimento, ma per logoramento. Il rapporto con Beppe Marotta, il dirigente che l’aveva voluto con forza quattro anni fa, strappandolo alla Lazio di Claudio Lotito, sembra essersi incrinato in modo sottile ma irreversibile. Da tempo i due non parlano la stessa lingua: Inzaghi chiede un salto definitivo – un ingaggio da top europeo (10 milioni di euro), un mercato ambizioso e, soprattutto, una voce chiara sulle ingiustizie arbitrali e sulle critiche eccessive –, mentre Marotta appare sempre più preso da problemi di carattere generale, soprattutto da quando dell’Inter n’è diventato il presidente. Ma giudicare Marotta solo per questo sarebbe ingeneroso. Il suo lascito, nella rinascita del club, è scritto nella pietra: ha riportato stabilità, visione, risultati. Ha scelto Inzaghi quando pochi credevano in lui, lo ha protetto e lo ha lasciato crescere. Ma ora, come accade in tutte le grandi storie, le esigenze si sono fatte divergenti. L’Inter è diventata qualcosa di più grande delle intenzioni iniziali. E Inzaghi, per continuare, chiede di essere trattato come l’allenatore che è diventato: uno da finale di Champions. Le richieste sul tavolo sono tre, sulle quali lo stesso Marotta ha promesso che da martedì - indipendentemente dal risultato della finale - ci sarà una trattativa, con la volontà da parte del club di continuare ancora insieme. Anche se il presidente dell’Inter un asso nella macchina ce l’ha: ingaggiare il talentuoso allenatore del Como Cesc Fàbregas (magari con l’aggiunta di Nico Paz in campo), al quale far fare lo stesso percorso di Simone. E in campo, a giocarsi la storia con Simone, ci sarà il capitano di tutte le notti: Lautaro Martínez. Uno che non è solo il volto di questa squadra, ma il simbolo di un’appartenenza rara nel calcio moderno. Ha rifiutato offerte clamorose per restare, ha segnato, sofferto, lottato per l’Inter come un tifoso prestato all’attacco. Questa sera si gioca il Pallone d’oro. Accanto a lui ci saranno i fedelissimi: Nicolò Barella, che gioca ogni partita come se fosse la finale di un Mondiale; Alessandro Bastoni, cresciuto a pane e Inter; Federico Dimarco, che da bambino sognava San Siro dalla Curva Nord. Sono loro, insieme con Yann Sommer, Henrikh Mkhitaryan, Marcus Thuram e Hakan Calhanoglu, a rappresentare la sostanza profonda di questa squadra: una banda di uomini veri, che ha scelto di credere in Inzaghi e nel progetto, anche quando sembrava utopia. Per loro, come per il mister, questa è l’ultima grande occasione. Dopo, nessuno sa cosa ci sarà. E c’è anche il “leone”, Francesco Acerbi, autore del gol del sogno Champions contro il Barcellona e del gol nel derby contro il Milan (secondo in classifica) che ha portato la seconda stella all’Inter in serie A. E poi ci sono loro, i tifosi. Gli unici che amano davvero l’Inter per ciò che è, e non per ciò che promette. Gli unici per i quali l’Inter non è un’opportunità ma una condanna dolce. Sono partiti da ogni angolo d’Italia, molti senza biglietto, solo per esserci. Perché è anche la loro partita della vita. Perché anche loro, in fondo, sanno che questo è forse l’ultimo ballo di una squadra irripetibile. E sono anche i primi a essere traditi, ogni volta che l’amore per la maglia cede il passo agli interessi, alle scelte dei dirigenti, alle strategie finanziarie. Per questo, il destino di Inzaghi, dei suoi ragazzi e dei suoi tifosi si intreccia in modo struggente. Qualcosa finirà sicuramente. Anche se tutti sperano che poi possa ricominciare ancora e sempre con Simone, che potrebbe diventare l’allenatore più longevo del club. Oltre la leggenda Helenio Herrera.

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