L'Italia superpotenza del volley, le ragioni di un primato storico
Dietro l'ennesimo trionfo della Nazionale un modello vincente da anni: il ruolo della scuola e degli oratori, la lungimiranza della Federazione, allenatori e giocatori ispirati da valori solidi

Campioni del mondo, un’altra volta. La Nazionale maschile di pallavolo torna dalle Filippine con il secondo titolo iridato consecutivo, il quinto della propria storia. Sul tetto del mondo come un mese fa le azzurre, già campionesse olimpiche in carica. Vincere i mondiali maschili e femminili nello stesso anno è un’impresa riuscita soltanto all’Urss in un’altra epoca (1952 e 1960). È la conferma dell’Italia come superpotenza di questo sport. Un primato che ha ragioni storiche, educative, organizzative e culturali.
Fenomeni lo siamo già stati negli anni ’80-’90, quando questo gioco diventò molto popolare grazie a fuoriclasse come Bernardi, Zorzi, Giani, Cantagalli, Lucchetta o lo stesso ct attuale, Fefè De Giorgi: l’unico in grado di vincere 5 mondiali, 3 da giocatore e due da allenatore. Ma questa generazione non è da meno, sta già riscrivendo la storia ed è avviata a rimpinguare di successi e record gli albi d’oro. E presto magari a conquistare anche l’ultimo titolo che manca agli uomini: l’oro olimpico.
Una tradizione vincente frutto anche di una Federazione lungimirante che investe da anni nelle scuole, sfornando talenti e tecnici di livello internazionale. Con un campionato tra i più competitivi al mondo, che tutti ci invidiano, con tutte le maggiori star del pianeta. Parliamo insomma di uno sport che in Italia è stabilmente tra i più praticati a livello scolastico e giovanile. Un radicamento diffuso da nord a sud della Penisola, basta vedere anche la provenienza degli organici delle Nazionale.
Un modello in cui non si può non riconoscere anche il ruolo storico degli oratori. Sin dagli anni Sessanta sono stati il luogo dove i ragazzi e le ragazze hanno cominciato ad appassionarsi sotto rete. Campetti, tornei estivi e allenatori-volontari hanno permesso a tanti giovani di provare la pallavolo come sport alla portata di tutti. Del resto tanti azzurri hanno cominciato a schiacciare proprio nei campetti delle parrocchie. Un bacino importante anche quando gli altri sport di squadra facevano fatica a reclutare talenti. E ancora oggi i campionati giovanili del Csi (Centro Sportivo Italiano) sono il primo passo per i professionisti di domani. L’oratorio è stata anche una palestra sociale per la trasmissione dei valori essenziali dello sport autentico: disciplina, spirito di squadra, rispetto delle regole.
È un mondo che brilla di esempi positivi, a cominciare dai coach che si sentono prima educatori e poi allenatori. Da De Giorgi che non si stanca di raccomandare umiltà e serenità a Velasco ct delle azzurre: «Ai giovani io dico: voi dovete cercare di vincere il più possibile, ma non credete a chi dice che il mondo si divide in vincenti e perdenti. Io credo che il mondo si divida soprattutto tra brave e cattive persone».
Per non parlare dei giocatori il cui primo pensiero dopo il trionfo è stato per il compagno di squadra infortunatosi alla vigilia dei Mondiali (Daniele Lavia) o per l’azzurro del basket Achille Polonara alle prese con una leucemia. Fino alle lacrime di commozione del centrale Anzani felice dopo la grande paura per i suoi problemi cardiaci: «Due anni difficili in cui ho rischiato di dover smettere di giocare - ha confessato in diretta tv - oggi sono qui grazie al sostegno di mia moglie, delle mie bambine, dei miei genitori, di mia sorella e dei miei amici». Uomini prima che campioni, e campioni perché prima uomini, mariti e padri di spessore. Il segreto di chi nella vita e nello sport cade, si rialza e magari vince, felice e grato per i doni ricevuti.
Fenomeni lo siamo già stati negli anni ’80-’90, quando questo gioco diventò molto popolare grazie a fuoriclasse come Bernardi, Zorzi, Giani, Cantagalli, Lucchetta o lo stesso ct attuale, Fefè De Giorgi: l’unico in grado di vincere 5 mondiali, 3 da giocatore e due da allenatore. Ma questa generazione non è da meno, sta già riscrivendo la storia ed è avviata a rimpinguare di successi e record gli albi d’oro. E presto magari a conquistare anche l’ultimo titolo che manca agli uomini: l’oro olimpico.
Una tradizione vincente frutto anche di una Federazione lungimirante che investe da anni nelle scuole, sfornando talenti e tecnici di livello internazionale. Con un campionato tra i più competitivi al mondo, che tutti ci invidiano, con tutte le maggiori star del pianeta. Parliamo insomma di uno sport che in Italia è stabilmente tra i più praticati a livello scolastico e giovanile. Un radicamento diffuso da nord a sud della Penisola, basta vedere anche la provenienza degli organici delle Nazionale.
Un modello in cui non si può non riconoscere anche il ruolo storico degli oratori. Sin dagli anni Sessanta sono stati il luogo dove i ragazzi e le ragazze hanno cominciato ad appassionarsi sotto rete. Campetti, tornei estivi e allenatori-volontari hanno permesso a tanti giovani di provare la pallavolo come sport alla portata di tutti. Del resto tanti azzurri hanno cominciato a schiacciare proprio nei campetti delle parrocchie. Un bacino importante anche quando gli altri sport di squadra facevano fatica a reclutare talenti. E ancora oggi i campionati giovanili del Csi (Centro Sportivo Italiano) sono il primo passo per i professionisti di domani. L’oratorio è stata anche una palestra sociale per la trasmissione dei valori essenziali dello sport autentico: disciplina, spirito di squadra, rispetto delle regole.
È un mondo che brilla di esempi positivi, a cominciare dai coach che si sentono prima educatori e poi allenatori. Da De Giorgi che non si stanca di raccomandare umiltà e serenità a Velasco ct delle azzurre: «Ai giovani io dico: voi dovete cercare di vincere il più possibile, ma non credete a chi dice che il mondo si divide in vincenti e perdenti. Io credo che il mondo si divida soprattutto tra brave e cattive persone».
Per non parlare dei giocatori il cui primo pensiero dopo il trionfo è stato per il compagno di squadra infortunatosi alla vigilia dei Mondiali (Daniele Lavia) o per l’azzurro del basket Achille Polonara alle prese con una leucemia. Fino alle lacrime di commozione del centrale Anzani felice dopo la grande paura per i suoi problemi cardiaci: «Due anni difficili in cui ho rischiato di dover smettere di giocare - ha confessato in diretta tv - oggi sono qui grazie al sostegno di mia moglie, delle mie bambine, dei miei genitori, di mia sorella e dei miei amici». Uomini prima che campioni, e campioni perché prima uomini, mariti e padri di spessore. Il segreto di chi nella vita e nello sport cade, si rialza e magari vince, felice e grato per i doni ricevuti.
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