Indiana Pacers: la fede e l'orgoglio dei vinti

La stella Haliburton ultimo ad arrendersi in gara 7 soltanto per un grave infortunio: «Tornerò più forte di prima, Dio non ci dà più di quanto possiamo sopportare»
June 25, 2025
Indiana Pacers: la fede e l'orgoglio dei vinti
Reuters | Tyrese Haliburton, 25 anni, fuoriclasse degli Indiana Pacers
«Se ti impegni e ti concentri per giocare al massimo delle tue potenzialità, per dare il meglio di te, non mi interessa cosa dirà il tabellone alla fine della partita, per me saremo vincitori ». Con queste parole Gene Hackman nei panni del carismatico allenatore del college di Hickory spronava i suoi ragazzi in un film indimenticabile per gli appassionati di pallacanestro: Hoosiers (tradotto non proprio felicemente in italiano con Colpo vincente). Una pellicola del 1986 che è anche un inno alla passione per il basket di Indiana, stato degli Usa in cui il canestro è davvero una religione. E pazienza se la franchigia Nba che riempie di orgoglio gli abitanti di queste parti, i famigerati Pacers non ce l’hanno fatta a vincere il titolo, il primo “anello” della propria storia. Ce l’hanno messa tutta, ma alla fine a spuntarla sono stati i Thunder di Oklahoma City al culmine di una stagione esaltante con cui sono entrati, loro sì, nell’albo d’oro del celebre campionato Usa per la prima volta (la seconda se consideriamo il precedente dei Supersonics quando ancora giocavano a Seattle). Del resto nessuno avrebbe scommesso sugli Indiana Pacers quest’anno. E anche nella serie finale contro i Thunder partivano di gran lunga da sfavoriti. Eppure sono riusciti a tener testa a Oklahoma portandola a gara 7 e capitolando solo dopo l’uscita di scena del leader della squadra, quel Tyrese Haliburton che tutti hanno sempre considerato un sopravvalutato.
Ha giocato pur essendo già infortunato ed è uscito in lacrime per la rottura del tendine d’Achille che rischia di compromettere anche la prossima stagione. Un sacrificio però che accresce la portata di una finale epica, al punto che oggi più dei vincitori si parla soprattutto dei vinti. Nonostante resti l’amaro in bocca per una grande occasione mancata: gli Indiana Pacers hanno raggiunto le Finals NBA una sola volta nella storia, nel 2000, a conclusione di un decennio di grande crescita grazie a un fuoriclasse come Reggie Miller. Questa però è da sempre una terra fertile per la palla a spicchi, Non a caso qui è nato un certo Larry Bird, trascinatore dei formidabili Boston Celtics negli anni Ottanta. Il leggendario numero “33” dalla chioma bionda, riconosciuto come il giocatore bianco più forte della storia, ha fatto molto bene anche come allenatore e dirigente proprio dei Pacers: per tre stagioni, dal 1997 al 2000, ha condotto Indiana sempre alle finali della Eastern Conference e alla Nba Finals nel 2000 «Per me – spiegò una volta Bird - il vincente è colui che riconosce il talento datogli da Dio, si impegna fino all’estremo per migliorare le proprie capacità, e usa queste capacità per realizzare i suoi obiettivi».
Una consapevolezza interiore che anima anche l’attuale stella al femminile del basket a stelle e strisce: la 23enne Caitlin Clark, giocatrice cattolica che fa sognare le Indiana Fever e fa impazzire l’America. Cresciuta in una famiglia molto credente proprio come il camerunense Pascal Siakam, uno dei punti di forza dei Pacers di quest’anno. Un veterano ormai della Nba che ha raggiunto ora anche una certa maturità interiore. Suo padre voleva che diventasse sacerdote cattolico, lui però in seminario fece subito capire che non era la sua strada. Eppure dopo la morte del papà disse: «Penso di sapere perché mio padre mi ha fatto andare. Mi stava dando tutti gli strumenti di cui avrei avuto bisogno per avere successo». Da Toronto a Indiana sempre col numero 43 sulla canotta: «Ogni volta che entro in partita, tocco il numero 4 sulla mia maglia quattro volte per mio padre e tre fratelli, poi tocco il numero 3 tre volte per mia madre e le mie due sorelle, poi mi faccio il segno della croce per Dio e punto il cielo. So che mio padre mi sta guardando». Prima di essere campioni sul campo, bisogna esserlo nell’animo.
È la lezione che viene anche dal trionfatore di questa stagione Nba: Shai Gilgeous-Alexander il condottiero indiscusso degli Oklahoma City Thunder. Nel momento però più bello e importante della sua carriera il primo pensiero del fuoriclasse canadese è stato per il grande avversario: «Un infortunio come quello di Haliburton è una cosa che nel mondo dello sport non vorresti mai vedere. A vederlo così mi si è spezzato il cuore... Prego per lui, è un giocatore pazzesco e ha davanti un futuro luminoso, gli auguro davvero il meglio». Colpisce però anche la reazione sul letto di ospedale di Haliburton, cristiano evangelico: «A 25 anni, ho già imparato che Dio non ci dà mai più di quanto possiamo sopportare. So che ne uscirò come un uomo migliore e un giocatore migliore» . Addirittura ringrazia: «Sono grato per ogni singola esperienza che mi ha portato qui... Sono grato per la strada che mi aspetta». E dalla frase tratta dal libro biblico dei Proverbi con cui chiude il suo messaggio social si capisce allora quanto Haliburton sia consapevole del fatto che il cristiano non è colui che non cade mai, ma colui che si rialza sempre: «Confida nel Signore con tutto il cuore e non appoggiarti sulla tua intelligenza; in tutti i tuoi passi pensa a lui ed egli appianerà i tuoi sentieri». ( Pr, 3, 5-6).

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