Chi era Laura Dahlmeier, la campionessa olimpica morta sul Karakorum

La campionessa olimpica e mondiale di biathlon travolta da una frana sul Karakorum: dopo tre giorni i tentativi di soccorrerla sono falliti
July 29, 2025
Chi era Laura Dahlmeier, la campionessa olimpica morta sul Karakorum
Ibu | Laura Dahlmeier, campionessa olimpica e mondiale nel biathlon
Se n’è andata in silenzio, facendo ciò che amava di più da quando aveva appeso sci e carabina al chiodo. La montagna che tanto l’aveva esaltata da atleta, le ha riservato un destino tragico e così il suo ambiente naturale si è trasformato nel luogo della tragedia. Laura Dahlmeier è stata portata via a 31 anni da un incidente fatale lunedì, mentre si trovava sul monte Laila Peak nel Karakorum, nella Valle di Hushe in Pakistan. Una frana l’ha fatta precipitare e le ferite riportate nella caduta le hanno causato la morte. Per suo volere il suo corpo – avvistato dai soccorritori solo ieri sorvolando la zona in elicottero – non verrà recuperato: «Era volontà espressa e scritta di Laura che in un caso come questo nessuno rischiasse la vita per salvarla. Il suo desiderio era di lasciare il suo corpo in montagna», hanno detto i suoi manager. L’incidente è avvenuto a mezzogiorno di lunedì a 5700 metri. La collega di cordata ha immediatamente chiamato i soccorsi, ma per le prime 24 ore nessuno era riuscito a raggiungerla a causa dell’elevato rischio di frane. Dahlmeier si trovava nella regione con degli amici dalla fine di giugno e aveva scalato con successo la Grande Torre di Trango (6.287 metri) l’8 luglio. Il Laila (6.069 metri) era il secondo obiettivo previsto.
L’atleta bavarese ha segnato un’epoca di grandi duelli nel biathlon. Eppure per una che ha avuto i natali a Garmisch-Partenkirchen il fondo più tiro non poteva essere la prima scelta. Infatti sugli sci stretti era salita già a tre anni, mentre per imbracciare il fucile ad aria compressa ne ha dovuti aspettare altri sette, quando per puro caso un amico di famiglia la invitò al poligono. Fu amore a prima vista. «Quando mia nonna mi chiese cosa volessi fare da grande, risposi: biatleta». Ha fatto incetta di medaglie nelle categorie giovanili, è apparsa tra le grandi cominciando come staffettista iridata a 19 anni, e poi all’esordio in Coppa del Mondo è stata settima. Aveva 20 anni quando partecipò ai Giochi a Soci e 21 quando nel 2015 calpestò il primo podio nel circuito maggiore. Nel medesimo inverno le prime medaglie iridate ai Mondiali di Kontiolahti: argento nell’inseguimento e oro in staffetta. Appena un’altra stagione per trasformarsi nella regina della Coppa, diventando nel 2016 campionessa del mondo nell’inseguimento, nell’individuale, nella partenza in linea e nella staffetta mista. Ovvio che l’anno successivo fosse la favorita per la sfera di cristallo e infatti oltre a portare a casa il grande globo completò la collezione anche con due coppette di specialità. Il capolavoro nell’annata olimpica 2018, quando da fuoriclasse assoluta concentrò le energie sui Giochi di Pyeongchang dove si tinse d’oro nella sprint e nell’inseguimento e fu di bronzo nell’individuale. A 25 anni aveva toccato il cielo con un dito, tanto da meditare il ritiro in estate. «Continuo un altro anno», fu la scelta finale e la stagione dell’addio fu costellata dalla ventesima vittoria in Coppa del Mondo e da tre bronzi mondiali a Östersund.
Basta, non ne poteva più in un ambiente dove tutti la osannavano. «Il fuoco non ardeva più così intensamente come all’inizio, la passione era sfumata. Sentivo sempre di più la pressione esterna e non ero completamente libera». Tanti saluti a tutti, senza pensare a ciò che avrebbe potuto ancora vincere. «Mi annoio abbastanza in fretta se faccio sempre la stessa cosa»: meglio diversificare. Ha iniziato a studiare scienze motorie, ha preso il tesserino da allenatrice, è diventata volontaria del soccorso alpino bavarese e commentatrice alla Zdf. Ma la sua seconda vita è stata scandita dalle scalate alle vette più alte del mondo. Lo scorso novembre è arrivata a tempo di record sulla cima himalayana dell’Ama Dablam in Nepal: 12 ore e un minuto dal campo base a 4.576 metri fino ai 6.812 metri. «Ho potuto abbandonarmi completamente al sentiero e alla bellezza del paesaggio. Ma per me non si trattava di record, ma di ciò che amo di più: scalare, osservare e sentirmi viva a ogni passo». A interrompere la sua vita ha pensato un maledetto sasso. «Laura ci ha dimostrato l’importanza di lottare per i propri sogni e obiettivi e restare sempre fedeli a se stessi», hanno scritto i familiari sui social.

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