Nicolò Govoni: «Si può cambiare il mondo con l’educazione»

In “School of Life” la storia del metodo “Still I Rise”, organizzazione umanitaria fondata dallo scrittore e attivista, che dal 2018 offre istruzione ai bambini profughi e vulnerabili
July 24, 2025
Nicolò Govoni: «Si può cambiare il mondo con l’educazione»
Still I Rise | Still I Rise International School – Nairobi a Mathare, una delle baraccopoli più sovraffollate del continente africano
Una storia, una missione, una riflessione sul senso profondo dell’educazione oggi. Questo è School of Life, il docufilm diretto da Giuseppe Marco Albano che racconta la storia e la missione dell’attivista e scrittore Nicolò Govoni, fondatore dell’organizzazione non profit “Still I Rise”. Prodotto da Groenlandia con Rai Cinema e distribuito da Freak Factory, il film è stato in 156 sale durante un tour di proiezioni che ha visto oltre 20mila presenze. A partire da questi numeri abbiamo dialogato con Govoni su temi cruciali come il ruolo degli insegnanti, l’inclusione, le disuguaglianze educative e il metodo pedagogico. Il risultato? L’idea di una scuola - possibile - che metta al centro bellezza, democrazia, famiglia e libertà, ma anche un ambiente in cui formarsi e autorealizzarsi, emancipando bambine e bambini discriminati e vulnerabili.
Quali sono i pilastri di School of Life?
«Il metodo “Still I Rise” è codificato, ma sempre in via di sviluppo. Nasce con Mazì, la prima scuola di emergenza e riabilitazione a Samos, in Grecia, nel 2018. Poi il metodo si è evoluto negli anni grazie al lavoro di tanti esperti. Molti dicono che dentro c’è tanto di Don Milani e in effetti è così. Il nostro primo direttore dell’educazione, Michele Senici, era un grande estimatore del suo metodo. Da lì sono nati i quattro pilastri validi tuttora: Scuola e casa con parola chiave “bellezza”; Studente al centro con parola chiave “democrazia”; Insegnante-mentore con parola chiave “famiglia”; Pensiero globale con parola chiave “libertà”. Puntiamo molto su accoglienza e felicità, perché crediamo che il bambino debba essere messo nella condizione di poter fiorire. Prima di formarlo accademicamente, la scuola deve puntare su autostima, sicurezza, autodisciplina, autoregolazione, capacità di lavorare e vivere in gruppo; e poi c’è la cura degli spazi comuni: la scuola si prende cura di loro, e loro della scuola».
Lei ha detto: «Ci sono alcuni posti in cui la scuola ti salva la vita». Come è cambiata la prospettiva con questo docufilm?
«Quello di cui mi sto sempre più convincendo è che anche in Italia, dove il livello scolastico è lacunoso – e non lo dico io, ma le statistiche – ci sono tanti insegnanti che ogni mattina fanno scuola d’eccellenza, per come possono. La cosa bella è che queste persone le incontro, anche grazie al film, e sono tante. Sono persone appassionate, che riconoscono le stesse falle del sistema che io stesso vedo, e che vogliono cambiare le cose. Uno dei miti sulla scuola italiana, ovvero che gli insegnanti non abbiano voglia di fare nulla, è falso. Credo che questa percezione nasca da una minoranza rumorosa di insegnanti che resistono al cambiamento. Quello che manca invece è forse un coordinamento valoriale disinteressato, non politico, dell’altra parte».
Se potesse portare questo film ovunque, dove dovrebbe arrivare per fare la differenza?
«Il film deve andare nelle scuole e dai ragazzi. La differenza si fa davanti ai ragazzi, dicendo loro che si può fare. Il messaggio è che non devi essere un genio per realizzare i sogni, ma se ci credi, trovi le persone giuste intorno a te, e ci metti lavoro, le cose si possono fare. Nonostante molti dicano che l’economia non è più quella di una volta».
Quali sono le competenze più importanti che oggi la scuola tradizionale fatica a insegnare?
«Farei una distinzione tra competenze trasversali e tecniche. Sicuramente autostima e autodisciplina sono cruciali per avere successo, nel senso più ampio del termine. La scuola tradizionale spesso presume che una escluda l’altra. Poi c’è qualcosa di intangibile: l’ottimismo. Spesso manca, e non è colpa della scuola. Stiamo vivendo una disillusione generale in Italia, e questo è deleterio per i bambini, per la persona singola, ma anche per il Paese. Non infondere speranza porta a generazioni di persone che non credono di poter avere una vita diversa. Dal punto di vista tecnico, gli strumenti più utili che la scuola dovrebbe fornire sono quelli “imprenditoriali”, ma non in senso economico: parlo dell’imprenditoria del sé. Capire cosa mi piace fare e cosa so fare bene. Non perdere mai il contatto con i propri sogni, creare un piano carriera funzionale, rendere tangibile qualcosa che sembra solo un’aspirazione. Questo aiuta anche nelle altre materie, perché le radica».
Quali sono i progetti per il futuro?
«Stiamo lavorando a una scuola di emergenza in Sud Sudan. Poi c’è la scuola internazionale in India: dovremmo aprire a fine 2026. Il prossimo fronte sono le scuole in Italia».

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