Niccolò Fabi: «Poche parole, parla la musica»
Registrato nella quiete di uno chalet alpino, esce venerdì “Libertà negli occhi”, il nuovo album che coincide con il suo 57° compleanno: «Sono in equilibrio sul tempo che passa»
Libertà negli occhi è il titolo del nuovo disco di inediti di Niccolò Fabi. Uscirà il prossimo 16 maggio, giorno del suo cinquantasettesimo compleanno. Fabi è uno dei più importanti cantautori che abbiamo in Italia: tre targhe Tenco e una carriera che l’ha portato negli ultimi trent’anni a far crescere in maniera preziosa e graduale l’aderenza tra la persona e la sua musica, mentre aumentava anche numericamente il suo pubblico, che gli assomigliava sempre di più. Questo disco, registrato in uno chalet sul Lago dei Caprioli di Pellizzano, in Trentino, durante una residenza artistica di dieci giorni, sa di quiete, stupore e consapevolezza. Sa soprattutto di ricerca di equilibrio, a cui però arrivare naturalmente – come succede sempre nella poetica del cantautore romano –, una flebile ma resistente fiamma tra due fuochi: l’entusiasmo dei ragazzini di fronte al nuovo e la consapevolezza dell’uomo adulto.
Libertà negli occhi risente del posto dove è stato registrato. Successe anche con Una somma di piccole cose del 2016, ma qui c’è qualcosa di diverso. Lì era solo, qui c’è una squadra di amici. Una sorta di passaggio dall’io al noi, mantenendo poetica e sostanza?
«Nelle intenzioni speravo che questo avvenisse, perché so quanto un luogo può essere condizionante nell’atmosfera che si registra poi sul disco, lo stato d’animo è profondamente influenzato, poi ovviamente le mie canzoni vivono di stati d’animo. Tra i due dischi il periodo di vita è molto diverso; lì volevo intimità totale, qui al contrario c’è proprio il desiderio di divertirsi suonando insieme: recuperare il gioco, che è tipico della giovinezza, nell’ottica della maturità. Un equilibrio difficile. Sono canzoni nel mio stile, intime, che però hanno ingrandito la loro portata grazie alla presenza delle persone con cui le ho condivise».
Si parte con la canzone Alba, che apre lentamente la giornata: lei mette subito in chiaro il senso di sospensione, per esempio tra capire e cambiare. Ma lo fa più con la musica che con le parole. È un brano programmatico?
«Mai come in questo album è quasi più importante la musica delle parole. Mentre in Una somma di piccole cose c’ero io e le mie parole e la musica di sotto era veramente appena accennata solo per darmi la possibilità di dire quelle cose, in questo caso mi affido meno alle parole e allora sì: Alba per me è la canzone simbolo di questo disco. Proprio perché sono poche parole, scelte con attenzione, quello che conta è proprio quello che senti prima del testo e, in quelle parti strumentali, senti la libertà: la musica mi dà sempre una sensazione di maggiore libertà delle parole. Vorrei che la musica desse la possibilità a ciascun ascoltatore di completare quella traccia».
Per raggiungere la libertà ci vuole equilibrio e naturalezza. Con Nessuna battaglia c’è la prima acquisizione di libertà del disco?
«Anche qui è molto importante la musica, perché anche in Nessuna battaglia c’è una sofferta gestione di uno stato d’animo, però arriva alla fine il tepore e la calma che ti dà la natura e quindi tutta quella coda strumentale. In qualche modo vorrei che possa rappresentare un grande conforto; mi piace pensarla come una canzone che possa essere utilizzata banalmente dalle persone che stanno intraprendendo un percorso complesso di rapporto con il proprio corpo, con la paura della morte, grazie anche al sollievo della natura e della musica: perché la musica in qualche modo è nata in mezzo alla natura».
In Custodi del fuoco si accetta l’arrivo dell’altro tempo, di un tempo nuovo?
«È il rapporto che tutti abbiamo con il tempo che passa: come accettarlo, come comprenderlo, rimpiangerlo, augurarsi che torni, piuttosto che conservare qualcosa che pensiamo di aver perso. Nel rapporto con la gioventù altrui, con il tempo presente, si misura anche la propria capacità di equilibrio nel giudizio del mondo contemporaneo. È sempre il solito discorso, che porta a due estremi: da una parte giustificare la contemporaneità solo per il fatto che è contemporanea, è nuova e in quanto nuova è bella; dall’altra c’è la posizione conservatrice, cioè difendere la propria posizione acquisita, considerando la gioventù sempre peggiore di quello che eravamo noi».
Dunque anche qui, custodire il fuoco è un modo differente di cercare equilibrio?
«Sì, il difficile equilibrio sta tra la comprensione del nuovo, del suo valore e, allo stesso tempo, l’idea di riconoscere al passato quello che è giusto che gli vada riconosciuto, senza la pura e semplice nostalgia».
Il disco si chiude con Al cuore gentile. Libera “parafrasi” della poesia Al cor gentil rempaira sempre amore di Guinizelli…
«È un brano che all’inizio era avulso dal resto del disco. Poi invece abbiamo pensato che un senso c’era ed era abbastanza chiaro. Un piccolo divertissement su una cosa che avevo tanto studiato all’università e che simbolicamente rappresenta la nascita, forse, della poesia d’amore moderna, dallo stilnovo in poi. Andando avanti con le altre canzoni però ho capito che in realtà quella non era semplicemente una parafrasi di una canzone di Guinizelli – o una operazione alla De André, per capirci –; no, non c’entrava niente».
È il Niccolò ragazzo, laureato in filologia romanza, che dialoga con l’artista di oggi?
«In un certo senso, sì. Ha preso il valore di un ricongiungimento che io facevo con un altro pezzo della mia gioventù, dell’inizio della storia. Era sia l’inizio del canto d’amore moderno, sia, nel mio caso, di un periodo della mia vita che a volte rimpiango, che a volte ricordo con nostalgia. È tutto un mondo dal quale sono uscito dopo averlo frequentato per cinque anni, facendo una tesi in un monastero per un anno; tutte cose che fanno parte della mia crescita e che io per varie ragioni avevo inevitabilmente accantonato. La vita mi ha portato altrove, allora all’interno del recupero di alcuni pezzi, di quel bambino poi diventato giovane ragazzetto, probabilmente io volevo anche testimoniare tutto ciò. Dunque non è semplicemente una bonustrack, ma un ritorno al principio, mio e della canzone d’amore».
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