«Mio papà Carlo Rambaldi, l’alieno del cinema»
di Fulvio Fulvi
La figlia Daniela: «Entrò nel cinema a 32 anni per caso grazie a un drago. Per E.T. si ispirò al gatto di casa. Era un perfezionista e un grande sognatore»

Nasceva cent’anni fa Carlo Rambaldi, il “mago degli effetti speciali” dell’era pre-digitale: vinse tre Oscar per aver creato personaggi meccanici ed elettronici capaci di emozionare e commuovere gli spettatori di tutto il mondo. Fu lui a inventare King Kong, il gorillone telecomandato che si innamora di Jessica Lange nell’omonimo film del 1976 di John Guillermin, gli artropodi antropomorfi che invadono la Terra in Alien, capolavoro di Ridley Scott del 1979 e, soprattutto, il marziano amico dei bambini protagonista di E.T. – L’extraterrestre di Steven Spielberg, del 1982, un altro successo planetario che ai botteghini incassò 800 milioni di dollari.
Ma in quarant’anni di carriera e cinquanta collaborazioni in film di ogni genere, dal peplum alla fantascienza, dal giallo all’horror, le creazioni di Rambaldi hanno segnato una rivoluzione nel campo dei “trucchi cinematografici”: rappresentano la svolta tecnologica che ha preparato l’avvento dell’elettronica, con immagini computerizzate e simulazioni dinamiche. Il genio di Vigarano Mainarda (borgo del Ferrarese dove nacque il 15 settembre del 1925) ideò pure lo strabiliante burattino “meccatronico” per la serie televisiva del 1972 Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini (ma la paternità gli fu contestata e dovette ricorrere al tribunale per ottenere i diritti). Tra i suoi marchingegni animati, gli strani mostri del film Dune di David Lynch e i cani di Una lucertola con la pelle di donna, così perfetti che la protezione animali denunciò il regista Lucio Fulci per maltrattamenti. Dario Argento lo chiamò per Profondo Rosso: suo è il bambolotto-robot che ghigna e finisce a pezzi sotto i colpi di tagliacarte dell’atterrito professor Giordani. Intanto in occasione del centenario Rai Teche pubblica Rambaldi, il laboratorio del fantastico, una raccolta di materiali d'archivio in cui il mago degli effetti speciali mostra e racconta in prima persona la lavorazione dei suoi personaggi, disponibile da lunedì 15 settembre su RaiPlay. Tra i contenuti dell'antologia spicca un approfondito servizio del 1982, girato nel laboratorio californiano dell'artista, dove Rambaldi ripercorre le tappe della sua carriera in compagnia delle sue creazioni.
Rambaldi morì il 10 agosto del 2012 a Lamezia Terme dove si era trasferito per seguire figlia e nipoti. E proprio a Daniela Rambaldi, presidente della Fondazione che porta il nome del padre, abbiamo chiesto di ricordarne la figura.
Alla Mostra del Cinema di Venezia 2025 i cento anni di suo papà sono stati ricordati con Alien Perspective. Quali altre iniziative per celebrare l’anniversario?
Il centenario è un’occasione preziosa per ricordare e far conoscere meglio l’opera di mio padre. Dopo Alien Perspective, un progetto con esperienza immersiva, sono in programma altre iniziative curate dalla Fondazione Carlo Rambaldi, tra Italia e Stati Uniti. Stiamo lavorando su mostre, pubblicazioni e attività culturali che mettano in luce non solo il suo lavoro per il cinema, ma anche il suo lato di artista e inventore, capace di creare un ponte tra arti visive, scienza e tecnologia. I prossimi appuntamenti sono previsti al Museo dell’Academy a Los Angeles, dal 30 ottobre al 30 novembre e al MoMa di New York dal 10 al 24 dicembre. Concluderemo il centenario nel 2016 con la cerimonia della Stella sulla Walk of Fame a lui assegnata.
Suo padre era geometra e poi studiò all’Accademia di Belle Arti, faceva lo scultore e il pittore quando venne chiamato a lavorare per il cinema. La sua prima creazione fu per il film Sigfrido di Giacomo Gentilomo, del 1957: sa come avvenne e cosa realizzò?
Ho sentito spesso papà raccontare quell’episodio. Fu un po’ per caso: venne contattato per realizzare alcuni effetti speciali, in particolare delle creature, in un’epoca in cui in Italia questo tipo di professionalità non esisteva. Era ancora giovane, aveva 32 anni, eppure riuscì a sorprendere con la sua inventiva e manualità da cui nacque la prima creatura, il drago Fafner. Quell’esperienza gli fece capire che il cinema poteva diventare il luogo ideale dove far incontrare arte e tecnologia.
Quali sono i suoi ricordi del papà creatore di “mostri con l’anima”? Faceva vedere a voi tre figli le sue invenzioni?
Per noi non era “il genio degli effetti speciali” ma semplicemente papà. Certo, spesso ci mostrava i suoi lavori e a volte la casa si trasformava in un laboratorio pieno di ingranaggi, modellini e prototipi. Ricordo l’emozione di vedere nascere E.T. e la maestosità del gorilla. Ma, soprattutto, ricordo un padre affettuoso, curioso, che amava insegnarci a osservare il mondo con occhi diversi. La sua genialità conviveva con una grande semplicità e umanità.
Come avete vissuto in famiglia il trasferimento da Roma a Hollywood? So che a casa vostra casa ospitavate sempre star del cinema: c’era un personaggio al quale suo padre era più legato per amicizia anche fuori dal lavoro?
Il trasferimento fu una grande avventura e anche una sfida, soprattutto all’inizio. Ci siamo ritrovati catapultati in un mondo completamente nuovo, fatto di set, progetti internazionali e incontri straordinari. La nostra casa, in effetti, era spesso frequentata da attori e registi. Ricordo in particolare il legame speciale con il produttore Dino De Laurentiis, con cui nacque una vera amicizia, oltre che una collaborazione professionale duratura.
È vero che il personaggio di E.T. è stato ispirato dal gatto che avevate in casa?
Sì, è vero. Papà amava osservare gli animali, e la nostra gatta Chicca aveva uno sguardo particolarmente espressivo, a volte dolce, a volte furbetto. Quegli occhi gli rimasero impressi e divennero uno degli elementi fondamentali per dare vita a E.T., un personaggio che doveva trasmettere empatia, vulnerabilità e intelligenza allo stesso tempo.
Come lavorava papà Carlo e quali erano le sue fonti di ispirazione?
Era un perfezionista, ma anche un grande sognatore. Lavorava con metodo, ma non smetteva mai di lasciarsi guidare dall’intuizione. Disegnava moltissimo, faceva prove, costruiva prototipi. Le sue fonti di ispirazione erano la natura, gli animali, l’arte rinascimentale e la scienza. Credeva profondamente che l’immaginazione fosse il motore dell’innovazione, e che la tecnologia fosse al servizio della poesia delle immagini.
I suoi genitori sono stati sposati per 61 anni. Che ruolo ha avuto vostra madre nella carriera del marito?
Nella nostra vita familiare la figura femminile fondamentale è stata mia madre Bruna. Era la colonna di papà, la persona che lo sosteneva in ogni scelta, anche nei momenti più difficili. Una presenza discreta ma fortissima, che gli ha permesso di dedicarsi con passione totale al suo lavoro, sapendo di avere sempre al suo fianco una compagna di vita instancabile e sempre presente, in famiglia e nel percorso artistico.
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