"La Resurrezione" di Händel sfida il contemporaneo e ruba la scena alla morte
La regista Ilaria Lanzino, celebre in Germania per alcune delle sue riletture dei classici della lirica, porta a Roma la sua versione dell’oratorio del compositore tedesco

Nero. Perché il colore che non è un colore ti resta dentro. Scava un buco (nero, appunto) nella tua anima. Te lo porti dento, ma anche addosso nel caldo soffocante dei Fori Imperiali. Roma. Il Colosseo in fondo al viale. Massenzio, imponente, a fare da quinta. Nero. Dentro e fuori. Anche se il coro – che poi sono Giovanni, Cleofe, l’Angelo e Lucifero… non Maddalena, perché Maddalene è… morta, si è tagliata le vene su un altare – ha appena cantato «Ch’è risorto oggi alla terra per portar la terra al Ciel!». Nero. Dentro e fuori. anche se la musica che impregna ancora l’aria è quella di Gerorg Friederich Händel. Nero. Perché così vuole Ilaria Lanzino, regista che spopola in Germania con le sue riletture di classici della lirica, mai approdata (fino ad oggi) in Italia. L’ha portata il Teatro dell’Opera di Roma, chiamata da Damiano Michieletto al quale la fondazione lirica della Capitale ha dato “carta bianca” per l’estate lirica romana del 2025, quella del Giubileo. Tra sacro e umano il cartellone disegnato dal regista veneziano per dialogare con quello che succede nella Capitale. Tra sacro e umano, appunto. Tema che la Lanzino ha declinato in un compito da prima della classe – guardate come si fa una regia “alla tedesca” – compito ineccepibile (c’erano tutti gli elementi del regietheater che in Germania, però, ha stufato molti), da dieci… nella sua versione scenica alla Basilica di Massenzio de La Resurrezione di Händel. Tecnica, capacità di racconto, visioni estetiche (certo pop, contemporanee… alcune al limite della blasfemia), passo narrativo, idee potenti e toccanti… ma fuori tema. Perché il tema era la Resurrezione… Quella di Händel che scrive il suo oratorio proprio per Roma nel 1708. Un Händel ventitreenne. Già teatralissimo. Capace, con una musica dove il sentimento non è fine a se stesso, ma racconta, evoca, suscita… di andare al cuore dell’evento centrale della fede, la Resurrezione, appunto. Ma nella Resurrezione di Händel secondo Ilaria Lanzino protagonista è la morte. La morte di un bimbo, avvenuta in seguito a un tragico incidente, forse annegato durante una festa in piscina. La morte di un bimbo che manda in frantumi una famiglia. Racconto che la regista fa correre in parallelo, o meglio, sovrappone, al racconto metafisico (perché ci sono anche un Angelo e Lucifero) di Händel. Così, nella Sonata che apre l’oratorio siamo già nel pieno della tragedia, al funerale del piccolo, la bara bianca seguita da mamma, papà e nonna… che sono, nella riscrittura drammaturgica della regista, Maddalena, Giovanni e Cleofe. La piccola bara bianca ricoperta di peluche. Poi un fermo immagine. Irrompe l’Angelo, bianco il vestito, bianche le ali… un microfono in mano e posa da rockstar. Il funerale. Poi la tragedia diventa intima. Un colpo di girevole (le scene efficaci e funzionali sono di Dirk Becker) e siamo nella casa di Giovanni e Maddalena. Si svuota la stanza del figlio, i peluche negli scatoloni, mentre la nonna prega. Tragedia troppo grande da rievocare. Storia drammatica. Attualissima. Come ce ne sono tante oggi. Vera, in questo racconto in presa diretta che la Lanzino imbastisce tagliando e cucendo la partitura in funzione della sua drammaturgia, in un copia e incolla di arie e recitativi, spostati avanti e indietro, frammentati, per poter far tornare il suo racconto. Che, però, è altro dal racconto di Händel. Maddalena, la mamma, si uccide, appare il figlio che la porta nel nero del dietro le quinte. Mentre il coro canta «Ch’è risorto oggi alla terra per portar la terra al Ciel!». Mesto… perché in questo racconto la musica cerca di farsi strada, prepotente e caparbia. La musica di Händel che George Petrou dirige sul podio dell’Orchestra nazionale barocca dei Conservatori, progetto del ministero dell’Università e della Ricerca. Con i pregi e i difetti del caso, i pregi di coinvolgere giovani talenti, di diffondere il Barocco e la sua prassi esecutiva (Petrou oggi è un riferimento per questo repertorio), il difetto di avere un’orchestra che si forma per l’occasione, con un suono forse poco individuabile… Ostacolo che Petrou, però, aggira con una lettura rifinita e precisa di Händel, attenta ai disegni strumentali e al canto, in un dialogo continuo tra buca e palcoscenico – dialogo che si “assesta” in corso d’opera, trova equilibri sempre più puntuali perché tutti sono microfonati (non certo l’ideale per questo repertorio, ma sarebbe impossibile sentire qualcosa negli spazi all’aperto di Massenzio, mentre in lontananza rombano motori e in cielo passano aerei e gabbiani). Niente ba-rock nella direzione di Petrou, ma una continua ricerca di sonorità sulle parole del libretto di Carlo Sigismondo Capece. Le “dicono” Sara Blanch, Angelo musicale e avvolgente in un canto che si fa tutt’uno con la parola di speranza del testo, Giorgio Caoduro, Lucifeo scenicamente efficace, Anna Maria Labin, Maddalena dal canto sofferto, Teresa Iervolino, Cleofe dal colore brunito e Charles Workman, un Giovanni intimo e tormentato. «Sì, col Redentore sorga il mondo redento» canta il coro. Sigillo di speranza nella musica. Certezza che la Lanzino non mette alla fine del suo spettacolo. Maddalena è sparita con il figlio morto. Chi resta si abbraccia. Ha addosso i segni della tragedia. E tutto diventa nero.
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