Il riscatto morale di Napoli passa anche attraverso le fiction

Al Prix Italia la Rai racconta una città oltre i luoghi comuni: dalle indagini del commissario Ricciardi alla rinascita del Rione Sanità fino al teatro di Nisida
October 22, 2025
Il riscatto morale di Napoli passa anche attraverso le fiction
Antonio Milo e Lino Guanciale nella fiction Rai “Il commissario Ricciardi”
Napoli, città di luci e ombre, di miseria e nobiltà, di abbagliante bellezza e oscuro dolore. È proprio per questa sua natura complessa e contraddittoria che ogni fiction o film girato da queste parti non può mai essere banale. Raccontare Napoli significa inevitabilmente misurarsi con un intreccio di realtà, sentimenti, contraddizioni, dove il sublime e il tragico convivono nella stessa inquadratura. Ma quale immagine viene davvero esportata nel mondo di questa città attraverso la cinematografia contemporanea?
Lo spunto di riflessione nasce dal vivere in questi giorni, proprio a Napoli, la 77ª edizione del Prix Italia, il concorso internazionale organizzato dalla Rai, che si è inaugurato lunedì e si concluderà il 24 ottobre. Il tema scelto per quest’anno, “Get real”, richiama l’urgenza di un racconto ancorato alla realtà. Come sottolinea Chiara Longo Bifano, segretario generale della manifestazione, «raccontiamo storie con i piedi per terra, perché la realtà è il bene più prezioso». Eppure, quella di Napoli è una realtà talmente stratificata e cangiante da sfuggire a qualsiasi semplificazione. Merita di essere rappresentata in tutte le sue sfumature, evitando la trappola di un bianco e nero che, soprattutto nei generi crime più popolari, finisce spesso per esaltare il buio in un gioco ambiguo di fascinazione e repulsione.
Proprio per questo la Rai, nel suo ruolo di servizio pubblico, intende in questi giorni mostrare — soprattutto attraverso le fiction — le realtà positive e costruttive che danno speranza, anche in contesti difficili. Perché, come ha ricordato il prefetto cittadino Michele Di Bari inaugurando il Prix Italia al Teatro San Carlo, «una divulgazione corretta è una grande opportunità che Napoli può cogliere per mostrare la sua bellezza e il suo grande passato proiettato nel futuro. Quando c’è la cultura, Napoli può respirare e andare avanti sempre».
Su questa linea si muove uno dei prodotti di punta della Rai, Il Commissario Ricciardi, tratto dai romanzi di Maurizio De Giovanni e prodotto da Rai Fiction e Clemart. Lunedì è stata presentata la terza stagione della serie, interpretata da un intenso e misurato Lino Guanciale, affiancato da un cast di livello che comprende tra gli altri Enrico Iannello e Veronica D’Elia. Le quattro nuove puntate, in onda su Rai 1 dal 10 novembre, porteranno sullo schermo una nuova evoluzione del personaggio, un uomo sospeso tra realtà e soprannaturale, tra dolore privato e inquietudine pubblica nella Napoli degli anni Trenta, sotto il regime fascista.
«Ammiro di Ricciardi la sua umanità e il suo coraggio — ha raccontato Guanciale — la capacità di restare saldo in anni oscuri. In questa stagione il commissario vivrà una meravigliosa fioritura emotiva grazie all’amore». Ma l’attore non rinuncia a un parallelo con il presente: «Nella nostra epoca si riscontrano tratti di frastornante somiglianza con quella di Ricciardi. Non per i sistemi politici, che sono diversi, ma per un lento e progressivo scivolare verso la legge del più forte, contro cui uomini giusti continuano a resistere».
La serie riparte da Napoli, dicembre 1933: Ricciardi e la sua dirimpettaia Enrica (Maria Vera Ratti) iniziano finalmente a frequentarsi, ma il tormento del protagonista resta irrisolto. La sua maledizione — vedere i fantasmi delle vittime di morte violenta e ascoltarne l’ultimo pensiero — è un segreto che non può condividere. E attorno a lui si muove una città viva e contraddittoria.
Lo ricorda lo stesso De Giovanni: «Racconto le mie storie all’interno della mia città, che è piena di luci e di ombre. Tra le zone d’ombra ci sono l’indigenza, l’abbandono, la funzione istituzionale sopperita dalle parrocchie. Si è creato un sistema incancrenito che ha lucrato sulla povertà. Il fatto che le mie storie piacciano, da I bastardi di Pizzofalcone a Mina Settembre fino a Ricciardi, significa in fondo mandare una cartolina dalla mia città».
Al centro, per lo scrittore, c’è sempre il tema della legalità e della consapevolezza: «Napoli è una grande capitale del Sud del mondo, come Atene, San Paolo o Buenos Aires. Bisogna penetrare le ombre, capire e raccontare senza dimenticare la bellezza. Napoli è una città che non ha specchi, non si guarda, vive come in un eterno presente. Se solo prendesse coscienza delle sue qualità uniche, potrebbe diventare davvero qualcosa di straordinario».
La fiction "Noi del Rione Sanità" di Luca Miniero. Nella foto Carmine Recano e Antonio Fusaro. Foto di Gianni Fiorito.
La fiction "Noi del Rione Sanità" di Luca Miniero.
Nella foto Carmine Recano e Antonio Fusaro.
Foto di Gianni Fiorito.
Dallo stesso tessuto urbano, ma settant’anni dopo, nasce un altro racconto: Noi del Rione Sanità, la serie in sei puntate in onda su Rai 1 dal 23 ottobre, ispirata al lavoro di don Antonio Loffredo e diretta da Luca Miniero, una coproduzione Rai Fiction - Mad Entertainment - Rai Com. Una storia di rinascita e di comunità ambientata nel cuore del Rione Sanità, dove il parroco don Giuseppe Santoro (interpretato da Carmine Recano) prova a offrire ai giovani un’alternativa concreta alla strada, scegliendo la via dell’arte, della cultura e della bellezza come strumenti di riscatto.
Alla presentazione napoletana della fiction, al Cinema Metropolitan, erano presenti il regista, il cast e molti dei ragazzi che, vent’anni fa, videro rinascere il loro quartiere grazie alla testardaggine di un prete che credette in loro. «È il racconto di un cambiamento importante nella città – ci spiega Miniero – ma anche un esempio che può valere per tante zone di frontiera. L’arte ha restituito speranza a questi ragazzi, e, rispetto alle storie di malavita, in questa fiction si cambia il punto di vista incentrandolo sulle storie di ragazzi che cambiano il loro destino».
Concorda Enzo Porzio, tra i fondatori della cooperativa sociale La Paranza, che oggi dà lavoro ai giovani attraverso la valorizzazione del patrimonio artistico della Sanità: «Don Antonio ha avuto fiducia in noi e da quella fiducia è nato tutto. La bellezza può diventare uno strumento per cambiare se stessi e il quartiere. La nostra preoccupazione era: come ne uscirà il Rione dalla fiction? Ora siamo felici, e speriamo che sia di tendenza una serie tv come questa, con tanti messaggi positivi: ce n’è un grande bisogno». Messaggi positivi che continuano ad arrivare anche da Un posto al sole, la serie che festeggia al Prix Italia 29 anni di successo su Rai 3.
Una scena del film "La salita" con la regia di Massimiliano Gallo. Foto Anna Camerlingo
Una scena del film "La salita" con la regia di Massimiliano Gallo. Foto Anna Camerlingo
E se i giovani detenuti di Nisida sono diventati i protagonisti della fiction-fenomeno Mare fuori, un’altra produzione porta al centro la loro speranza, stasera al Cinema America Hall nell’ambito del Prix Italia: La salita, film diretto dall’attore Massimiliano Gallo, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e in uscita a inizio 2026. Il film racconta la nascita del Teatro di Nisida, voluto da Eduardo De Filippo nel 1983, prima esperienza teatrale in un carcere minorile. «È una storia che pochi conoscono e per questo andava raccontata – spiega ad Avvenire Gallo regista e sceneggiatore del film prodotto da Fan, Panamafilm e Rai Cinema –. Ho voluto rappresentare l’altra Napoli, quella delle sfumature, non in bianco e nero. Non il luogo di detenzione fine a se stesso, ma le persone che lo abitano. Quando la bellezza arriva in un posto dove di solito non c’è, come il teatro in un carcere, quel luogo può diventare salvifico».
Il teatro, dunque, come strumento di salvezza e libertà, ma anche come messaggio ai giovani: «Non è detto che se nasci in una situazione difficile tu debba per forza delinquere – aggiunge Gallo –. Puoi scegliere, e questa possibilità di scelta è ciò che voglio mostrare. Napoli è una città straordinaria, ma non va raccontata per luoghi comuni. E sarebbe bello che il film fosse visto nelle scuole».

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