Il Kosovo cerca pace con il teatro
Il Paese balcanico ricuce trame di convivenza mediante la parola col drammaturgo Jeton Neziraj e la sua compagnia teatrale Qendra

Quando il palcoscenico si apre, non si limita a intrattenere ma vuole essere innanzitutto uno spazio di memoria e ricucitura dei drammi del passato. Il Kosovo è un luogo ferito e tuttora diviso dai postumi della guerra di fine anni ‘90 ma anche una comunità che sta cercando di ricostruirsi attraverso la cultura. In un Paese dove le tensioni etniche, il conflitto e la ricostruzione nazionale hanno segnato profondamente il tessuto sociale, il teatro civile è diventato la voce che manca ai tribunali e alle piazze. Gli autori, i registi e gli interpreti kosovari stanno elaborando un linguaggio nuovo per la riconciliazione, fatto di corpi, silenzi e storie condivise che cercano di restituire volto e dignità a chi è stato dimenticato. “Credo fermamente nella necessità di portare in scena storie dolorose e consentire al pubblico di conoscere quei traumi, per evitare che si ripetano i drammi del passato. Il teatro non può cambiare la realtà con un colpo di bacchetta magica ma può contribuire a fare la differenza”, ci spiega il drammaturgo Jeton Neziraj. Da alcuni anni, la sua compagnia teatrale Qendra Multimedia sta svolgendo un ruolo emblematico nel teatro civile del Kosovo ed è diventata l’avanguardia di un movimento che si sta allargando in tutti i Balcani occidentali. L’idea di fondo è che in un contesto dove il conflitto recente ha lasciato cicatrici profonde — sul piano etnico, sociale, economico — il teatro deve diventare spazio di testimonianza, riflessione e trasformazione. Un luogo in cui la narrazione dominante può essere messa in discussione, e la ricostruzione della memoria aiuta a rielaborare collettivamente il trauma della guerra.
Fondata a Pristina nel 2002, Qendra Multimedia ha cercato fin dall’inizio di creare una forma alternativa di produzione artistica per affrontare questioni politiche e sociali spesso rimosse e dimenticate. L’ha fatto puntando su una proposta teatrale che non rifugge la provocazione: il conflitto della fine degli anni ‘90, l’esperienza della neonata repubblica, le relazioni tra albanesi e serbi nel Kosovo, sono sempre sullo sfondo. Ma non come cronaca, piuttosto come materia viva da rielaborare.
Sotto la guida di Neziraj – autore di decine di testi tradotti e rappresentati in Europa e negli Stati Uniti -, la compagnia ha trasformato il palcoscenico in uno spazio critico in cui interrogare la guerra, la transizione, la corruzione e l’identità nazionale. Nonostante i problemi economici e lo scarso sostegno da parte delle istituzioni, la compagnia è stata in grado di realizzare tournée internazionali, collaborazioni transnazionali e una produzione che mira a portare il teatro kosovaro nel dialogo europeo e globale. A coronamento di questo lavoro, da alcuni anni viene organizzato il Kosovo Theatre Showcase, una rassegna teatrale annuale che serve da piattaforma di promozione, networking e scambio per la scena teatrale locale e internazionale. Quest’anno si è svolto tra le città kosovare di Prizren, Gjakova e Prishtina per poi spostarsi a Skopje, in Macedonia del Nord, proponendo una decina di produzioni teatrali affiancate da incontri con artisti, workshop per drammaturghi e critici.
Nella città di Prizren è andata in scena la prima internazionale di Under the Shade of a Tree I Sat and Wept uno spettacolo scritto da Jeton Neziraj con la drammaturgia di Greg Homann che riunisce attori provenienti dal Kosovo e dal Sudafrica per mettere in scena due eventi storici apparentemente distanti che ruotano entrambe attorno al tema del perdono: il Movimento per la riconciliazione delle faide di sangue del Kosovo e la Commissione per la Verità e la Riconciliazione del Sudafrica. “Per tradurre un dolore così intimo in una performance pubblica abbiamo scavato a fondo nella storie delle persone, analizzando archivi e intervistando testimoni. Abbiamo cercato di capire come siano riuscite a elaborare il trauma della perdita ma anche quello del perdono perché, soprattutto in Kosovo, è stato un processo profondamente traumatico”. Lo spettacolo è stato scritto dallo stesso Neziraj e da Greg Homann, direttore artistico della Market Theatre Foundation di Johannesburg, una delle più prestigiose istituzioni teatrali sudafricane.
Tra i tanti spettacoli di contenuto politico messi in scena durante la rassegna, a Pristina è stato proposto anche The Premeditated Killing of a Dream, un’opera scritta da Jeton Neziraj e diretta da Blerta Neziraj, che rappresenta una dura denuncia del processo di trasformazione urbana della capitale del Kosovo dopo la fine della guerra. La vicenda prende spunto da un fatto realmente accaduto: il 11 settembre 2000, l’architetto Rexhep Luci, l’urbanista della città, venne assassinato all’ingresso del suo appartamento, dopo aver ostacolato progetti edilizi illegali e speculazioni urbane. Sul palcoscenico, l’architetto rappresenta un’idea di città con parchi, spazi pubblici e un piano urbanistico umano; accanto a lui, figure come l’amministratore Onu, il costruttore privo di scrupoli e il sindacalista che cede alle lusinghe, creano un quadro drammatico in cui opportunismo e corruzione finiscono per travolgere il bene comune.
Nel panorama teatrale europeo, il Kosovo sta emergendo come un laboratorio importante di teatro civile perché è attraversato da un tessuto sociale che ha vissuto rotture radicali, e che ora cerca risposte, ricomposizione, nuove narrazioni. Ma nonostante questi slanci, il teatro kosovaro affronta anche difficoltà concrete dovute alla mancanza di spazi stabili, alla dipendenza dagli aiuti internazionali, da condizioni economiche difficili per gli artisti e, non ultimo, dalle tensioni create da chi ancora non vuol sentir parlare di riconciliazione. “Trattare certi temi nei Balcani è come camminare su un campo minato. Devi stare attento a dove metti i piedi, perché puoi facilmente saltare in aria”, spiega ancora Neziraj. “È stato un processo difficile, non solo per la reazione della politica e delle strutture di potere, ma anche perché la società non era pronta a confrontarsi con i traumi che portavamo sul palco. In passato abbiamo vissuto momenti turbolenti e tensioni con gruppi sociali come veterani di guerra e nazionalisti che non volevano vedere certi temi rappresentati in teatro. Ma ci siamo battuti per difendere uno spazio di libertà e direi che negli ultimi vent’anni il nostro lavoro ha avuto un impatto enorme, perché fino a poco tempo fa di certi argomenti non potevamo parlare o era quantomeno necessario negoziarne le modalità con il potere politico. Oggi è invece impensabile che un governo possa censurare uno spettacolo teatrale, mentre dieci anni fa era la regola. Credo debba essere proprio questo il ruolo del teatro: rendere normale ciò che prima non lo era visto. Però dobbiamo restare vigili, perché le società possono produrre autocrati con grande facilità”.
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