Dantone: «A Ravenna con il mio Händel a tre facce»
Il direttore da questa sera sul podio del Teatro Alighieri per la “Trilogia d’autunno”: «Il barocco è una strategia delle emozioni»

Maratona Händel. Tre titoli in tre giorni. «Tre capolavori del compositore diversissimi tra loro, un’opera tradizionale, tradizionale per il tempo, un’opera sperimentale e innovativa e l’oratorio più oratorio di tutti». A tirare la volata è Ottavio Dantone, da questa sera sul podio del Teatro Alighieri di Ravenna per la Trilogia d’autunno, appendice di lusso, tutta lirica, del Ravenna festival. L’invisibil fa vedere Amore il verso di Ariosto che tiene insieme tre titoli. In buca l’Accademia bizantina, una certezza per il repertorio barocco. Sul palco le «visioni estetiche» di Pier Luigi Pizzi che firma regia, scene e costumi di Orlando e Alcina che, insieme al Messiah sono i tre pilastri della Trilogia d’autunno. Si parte stasera e si continua fino a domenica, per un viaggio «per scoprire – dice il direttore che sarà anche seduto al clavicembalo – tre facce diverse dell’arte unica e riconoscibilissima di Georg Fredrich Händel»
Tre Händel in tre giorni, che sfida è per lei, Ottavio Dantone?
«Una sfida, una maratona anche fisica, certo. Ma soprattutto un piacere, una felicità. E un impegno perché sul leggio abbiamo tre lavori complessi e diversissimi tra loro. Orlando è un’opera innovativa e difficile tecnicamente. Quella immaginata da Händel è una struttura che guarda molto avanti, già alla riforma dell’opera. Ci sono tante arie senza i da capo, ci sono recitativi secchi, brevi e accompagnati. Rispetto alle durate infinite di altri titoli del compositore di Halle, Orlando dura, senza nessun taglio, due ore e quaranta minuti. Quando andò in scena nel 1733 a Londra non fu apprezzata proprio per questa sua modernità. Oggi, invece, la capiamo molto di più. Alcina, andata in scena sempre a Londra, ma due anni dopo, nel 1735, rappresenta un ritorno alle origini per Händel, una partitura più tradizionale, una storia dove l’elemento magico offriva la possibilità di una messa in scena sfarzosa, elemento fondamentale del Barocco dove l’arte doveva suscitare meraviglia».
Dopo la magia, il sacro, la maratona si chiude domenica con il Messiah
«Siamo nel 1741, a Dublino. Il Messiah chiude il cerchio di tre grandi capolavori e si inserisce in questa Trilogia perché Händel, negli anni in cui scrive Orlando e Alcina, inizia a dare forma alla sua idea di oratorio, in lingua inglese, immaginando una partitura che attinga alla struttura dell’opera, ma restando incentrata su argomenti biblici. Il Messiah, che non ha un racconto specifico, ma narra la vita di Cristo, rappresenta il vertice di questo percorso. E condensa quella che è la caratteristica di Händel, aver attinto a tutte le esperienze musicali del suo tempo, prendendo il meglio da Italia, Francia, Germania, Inghilterra e creando così il cosiddetto stile perfetto».
Cosa significa ascoltare tre pagine così diverse in un tempo così ravvicinato? E cosa significa per lei e per l’Accademia bizantina eseguirle ancora?
«Ascoltare tre Händel di fila può risultare strano, ma permette di avvicinarsi a diverse sfaccettature della stessa arte. Per me e per l’Accademia è un continuo ritorno, tre titoli che conosciamo bene. Ho diretto per la prima volta Orlando ventuno anni fa, in scena uno spettacolo di Robert Carsen. Il Messiah torna periodicamente sul mio leggio, così come Alcina. Sono titoli che fanno parte della mia giovinezza, ma che al tempo stesso hanno segnato anche la mia formazione. Ho le stesse partiture di allora, con le indicazioni di allora, ma oggi mi sono trovato a cambiare tante cose perché il Barocco ti permette di trovare soluzioni diverse, ma sempre interessanti e giuste su una stessa scrittura. Anche per questo mi piace».
Ma cos’è il Barocco?
«Lo definisco sempre come strategia delle emozioni. Per affrontare la musica barocca è necessario conoscerne i meccanismi. E non si tratta semplicemente di conoscere i trattati di tecnica strumentale o il trattamento degli abbellimenti. Bisogna andare oltre, più in profondità, e appropriarsi di un vero e proprio modus operandi: ogni frammento, intervallo, tonalità ha il proprio significato, e ogni elemento va riconosciuto come momento emotivo».
E tutto questo a Ravenna come diventa un racconto visivo con la regia di Pier Luigi Pizzi?
«Pizzi ha una competenza visiva unica e la capacità di restituire la potenza delle immagini, una cifra giusta per il Barocco. Per lui a tecnologia è la nuova macchina barocca che ci porta con magica rapidità in luoghi diversi. Gli allestimenti del tempo contavano sulla meraviglia, sui colori, sui profumi, sull’acqua, sul fuoco, sul fumo. Oggi è la tecnologia a stupirci. Avremo la stessa struttura scenica per fare due allestimenti in contemporanea. E su questo impianto ecco la capacità del regista di dare uno sbalzo psicologico ai personaggi».
A che punto è oggi il discorso musicale sul Barocco in Italia, dove l’approccio filologico è arrivato più tardi rispetto all’Europa del nord? Oggi che strada prendere? Quali le nuove sfide?
«È vero che la riscoperta della musica barocca è un movimento cominciato all’estero, in Olanda, in Svizzera, in Germania. Noi in Italia su molte cose arriviamo in ritardo, ma quando ci arriviamo lo facciamo bene, anzi meglio degli altri. Nel Barocco in particolare perché la lingua italiana è la lingua dell’opera e specie in quell’epoca era la lingua della musica. Gli anni Ottanta del Novecento sono stati quelli che hanno visto nascere i primi gruppi barocchi italiani e in poco tempo le nostre formazioni sono diventate un punto di riferimento nel mondo. Ora in Italia il Barocco si fa ovunque, non solo nei piccoli teatri, ma anche nelle grandi istituzioni. Lo studio dell’estetica che si è sviluppato in questi anni sui capisaldi di questa letteratura musicale, permette poi di affrontare anche autori meno conosciuti. Oggi i nuovi interpreti possiedono sempre di più questo linguaggio e così riescono ad emozionare con un repertorio ancora raro. Il lavoro sugli strumenti originali è la via per questa estetica, per fare arrivare oggi questo linguaggio».
E c’è una scuola italiana anche per le voci?
«Pronuncia significa anche conoscenza del ritmo e chi è italiano sicuramente è favorito. Ci sono voci con una propensione naturale per questo repertorio. Sono in giuria al concorso Cesti di Innsbruck dove dirigo le Festwochen e vedo che c’è un grande fiorire di voci barocche. Con l’Accademia bizantina ci proponiamo di fare anche un lavoro educativo e pedagogico con masterclass e corsi per voci da indirizzare nel repertorio barocco».
Non solo Barocco, però per lei e per l’Accademia. Perché?
«Con l’Accademia abbiamo sempre voluto esplorare un repertorio temporalmente successivo al Barocco, anche per dire che la conoscenza della musica antica è fondamentale per l’esecuzione di tutta la musica, getta basi imprescindibili. Ci sono gesti che vengono dal passato, che inevitabilmente si sono modificati, ma che hanno ancora influenza sulla musica. Conoscendo il passato si scoprono cose per leggere il presente. Con l’Accademia abbiamo fatto un percorso attraverso Schumann, Beethoven e Mendelssohn. E io mi sono spinto sino a Mahler».
Trilogia a Ravenna
Ravennafestival in estate, a novembre la Trilogia d’autunno. Si rinnova al Teatro Alighieri di Ravenna la tradizione di un’appendice alla rassegna estiva, un piccolo festival che nel giro di una manciata di giorni propone tre titoli. Quest’anno attenzione concentrata su Georg Fredrich Händel. L’invisibil fa vedere Amore il titolo, ispirato ad un verso dell’Orlando furioso di Ariosto, che tiene insieme tre capolavori del compositore di Halle. Ottavio Dantone sul podio dell’Academia bizantina (il coro è quello della Cattedrale di Siena Guido Chigi Saracini diretto da Lorenzo Donati) dirige Orlando (stasera e venerdì alle 20), Alcina (domani e sabato sempre alle 20) e il Messiah (domenica alle 17) con la stessa squadra vocale, tra gli altri Filippo Mineccia, Francesca Pia Vitale, Elmar Hauser, Giuseppina Bridelli, Delphine Galou, Martina Licari, Christian Senn. Orlando e Alcina hanno il marchio di Pier Luigi Pizzi che firma regia, scene e costumi dei due allestimenti.
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