"Amata" da libro a film: La scrittrice Bernardini: narro echi di maternità

Il romanzo, che è diventato un film, intreccia storie di donne che guardano all’idea di avere figli da angolature e spaccati sociali differenti
October 15, 2025
"Amata" da libro a film: La scrittrice Bernardini: narro echi di maternità
Un fotogramma del film “Amata”, pellicola che si ispira al libro di Ilaria Bernardini / Isabella De Maddalena
Una donna matura che si sente madre ma non riesce a diventarlo. Una studentessa che partorisce un figlio ma non si sente madre e sceglie di affidare il bambino all’ospedale in cui è nato. È la vita stessa la vera protagonista di Amata (HarperCollins, pagine 144, euro 17,00), l’ultimo romanzo di Ilaria Bernardini, scrittrice milanese che ha firmato anche la sceneggiatura del film con lo stesso titolo che dopo la presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia uscirà nella sale il 16 ottobre per la regia di Elisa Amoruso, con Stefano Accorsi, Miriam Leone e Tecla Insolia protagoniste femminili.
Ilaria Bernardini, il suo romanzo parte da un episodio vero. Lo vuole raccontare?
«Amata è ispirato a un fatto di cronaca, avvenuto a Milano qualche anno fa. Un bambino, Enea, era stato deposto dalla madre nella culla per la vita dell’ospedale Mangiagalli. Nessuno avrebbe dovuto sapere nulla, perché una donna dovrebbe avere la garanzia dell’anonimato quando compie questa scelta o quando partorisce in ospedale senza riconoscere il figlio. Ma al contrario la storia di Enea finì sui siti web e sui giornali; furono diffusi addirittura appelli pubblici alla madre biologica perché cambiasse idea entro i 10 giorni previsti prima che si avviassero le pratiche per l’adozione. Ho provato rabbia e pensato che tutto questo rumore fosse ingiusto, intrusivo e pericoloso, perché si intrometteva nella scelta di una donna. Ho immaginato i suoi pensieri mentre tutta Italia le faceva pressione perché tornasse a riprendere il bambino. Come potevano pensare di sapere meglio di lei cosa fosse giusto? Come potevano ripeterle, colpevolizzandola in maniera implicita e pubblica, che lei era la vera madre? Cos’è una vera madre, chi lo decide, e per chi lo decide quando lo dice? Così è nato Amata».
Ogni anno 300 donne partoriscono in anonimato e le culle per la vita sono oltre 60. Però non molti sanno dell’esistenza di queste possibilità. Cosa si dovrebbe fare perché si conoscano di più?
«La prima Culla per la Vita - le antiche ruote degli esposti rese più sicure - è stata inaugurata nel 1992. Oggi ne esistono 66 in 14 regioni. Cinque ne sono ancora prive. Non esiste un registro ministeriale, né esistono regole condivise. Così queste strutture restano a volte insicure, spesso affidate a realtà di stampo religioso. Servono invece norme chiare, pubbliche e laiche perché le culle per la vita possano davvero essere ciò l’aiuto sicuro che promettono. Io spero che questo accada e che il mio libro possa essere letto nelle scuole, che sia di supporto per sensibilizzare su quali sono i vari strumenti che tutelano la scelta, tutte le scelte, e la sicurezza».
Nelle maternità così differenti di Nunzia e di Maddalena si prova anche un senso di ingiustizia: la prima incinta senza volerlo, la seconda disperatamente infertile. L’adozione sana questa ingiustizia?
«Penso piuttosto che le donne sentano e sanno che i figli sono figli di tutti, in una sorta di maternità condivisa, assoluta e umana, riassunta dalle storie intrecciate di Nunzia e Maddalena in questo caso, ma che in generale è così sempre. In altre epoche storiche o in altre culture capitava più spesso che i bambini venissero cresciuti da una comunità, da un intero villaggio».
Senza fare spoiler, in realtà Nunzia a un certo momento sente il richiamo della maternità. È uno dei passaggi più forti e intensi della storia.
«Nunzia non sente il richiamo della maternità in senso stretto ma le accade qualcosa di biologico che è proprio della maternità: c’è un corpo che reagisce alla nascita, alla vicinanza di un neonato. E questo è potente. Ma lei conosce la sua verità e sente anche la pressione di un’Italia che la chiama indietro, che la giudica, vuole scegliere per lei e pretende di sapere più di lei cosa è giusto e sbagliato. A quella intrusione Nunzia contrappone, con uno sforzo sovrumano, la forza della sua scelta. Nunzia continua a non sentirsi madre, e sa che c’è un’altra madre per la sua bambina. Ho una immensa fiducia nella capacità delle donne di scegliere, e di sapere che cosa mette in salvo e che cosa le salva».
Nella storia c’è come un passaggio di consegne. È un momento molto sentimentale ma che fa esplodere anche la solitudine delle due donne.
«Sì, è come se in maniera astratta, Nunzia dicesse a Maddalena: questa bambina non appartiene a me, sei tu quello che io non sono. È una scena immaginaria, senza luogo e senza tempo, fatta solo di intenzione, sentimento, amore. Lo tsunami di sentimenti e avvenimenti che travolge entrambe le donne è vissuto ciascuna da sola, forse anche per proteggersi dal rumore del mondo, dalla colpa appiccicata dagli altri e dalla vergogna che si indica a entrambe come emozione da provare. L’isolarsi delle due madri fa collassare in qualche modo lo spazio e il tempo, le mette vicine. Nulla conta più, se non il passaggio di amore dall’una all’altra, ricordarsi, nel silenzio riconquistato, la propria verità».
La storia di “Amata” è anche un po’ autobiografica: dopo averlo scritto, ha raccontato di aver scoperto che entrambi i suoi bisnonni erano figli di NN. Era una storia segreta?
«Sì, in famiglia non se ne parlava. Credo che ci fosse un certo pudore. Però indagando ho saputo che la bisnonna era rimasta ferita dall’abbandono, e fu sempre molto leale alla mondina comunista che l’aveva cresciuta. A un certo punto la madre naturale è tornata, ma la mia bisnonna non ha voluto riallacciare i rapporti. Il bisnonno Gaudenzio, invece, era stato affidato a una ruota per gli esposti di Novara, poi a una lavandaia che aveva un figlio e quindi il latte, ma che non l’ha mai adottato e lui non ha mai chiamato mamma. Ho pensato alla vita di un uomo così amorevole come sapevo essere stato con mia mamma, la sua nipotina, un uomo che non aveva mai detto “mamma” in vita sua, mentre lei, piccola, piangeva sempre perché le mancava la mamma, come se ci fosse una trasmissione dell’assenza, una costellazione delle storie, che ora, forse, con Amata è uscita più allo scoperto».

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