Il terrore sottile dell'uomo mutante in un mondo contaminato

La paura delle radiazioni si è incisa nella memoria collettiva quale eredità invisibile, biologica, dell'ordigno: più che un’arma, un’ossessione culturale
August 4, 2025
Il terrore sottile dell'uomo mutante in un mondo contaminato
Kilian Karger / Unsplash | Nel post guerra nucleare, l'incubo di vivere in un mondo contaminato che porta a una morte lenta e dolorosa
Ottant’anni dopo Hiroshima e Nagasaki, l’eco della deflagrazione della bomba atomica non si è ancora spento. Anzi è di attualità. E questo non soltanto per il peso storico e morale dei due ordigni sganciati nell’agosto del 1945 — che Richard Overy ha raccontato nel suo ultimo saggio Pioggia di distruzione. Tōkyō, Hiroshima e la bomba (Einaudi, pagine 208, euro 25,00) come parte di una lunga evoluzione della guerra aerea — ma per il terrore sottile, persistente, che le radiazioni hanno lasciato nella memoria collettiva, restituendo l’idea e l’immagine dell’uomo “mutante”. Perché se la potenza esplosiva della bomba fu devastante, è la sua eredità invisibile, biologica, ad aver alimentato l’incubo più duraturo.
La morte istantanea di centinaia di migliaia di persone a Hiroshima e Nagasaki fu solo l’inizio. I sopravvissuti, gli hibakusha, furono testimoni di un male che non si vedeva ma si sentiva: corpi che si ammalavano lentamente, leucemie, malformazioni, mutazioni genetiche. E fu proprio questa seconda morte — lenta, imprevedibile, scientificamente ambigua — a rendere la bomba qualcosa di più di un’arma: un’ossessione culturale. Nel dopoguerra, scienziati giapponesi e americani studiarono in modo sistematico gli effetti biologici delle radiazioni. I due eventi atomici divennero, loro malgrado, laboratori a cielo aperto. La Atomic Bomb Casualty Commission, creata dagli Stati Uniti, avviò studi su centinai di migliaia di persone contaminate al tempo dell’esplosione e in epoche successive, compresi gli eredi, raccogliendo dati su mortalità, tumori, genetica. Una scienza fredda, nata nel cratere dell’orrore, che contribuì però a fondare la radiobiologia moderna. Ma il costo fu altissimo: si studiavano corpi umani viventi, spesso senza consenso, mentre la tragedia si trasformava in statistica.
I funghi atomici di Hiroshima e Nagasaki - George R. Caron / Charles Levy / WikiCommons
I funghi atomici di Hiroshima e Nagasaki - George R. Caron / Charles Levy / WikiCommons
Con la Guerra Fredda, il terrore dell’olocausto nucleare si fece globale. Ma non era tanto la distruzione istantanea a impressionare le masse — le esplosioni nei test del Pacifico o nel deserto del Nevada erano “spettacolari”, quasi estetizzate — quanto le conseguenze postume. L’invisibile fallout, la contaminazione della terra e del corpo, l’idea che nulla fosse più sicuro. Questo immaginario esplose negli anni Ottanta con il film americano The Day After, che mostrava la vita quotidiana dopo un conflitto nucleare. Niente eroi, niente catarsi: solo morte lenta, ospedali affollati, famiglie che si disgregano. Fu un trauma culturale collettivo: lo stessi presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan ammise che il film influenzò la sua politica verso l’Unione Sovietica. L’atomica tornava così a essere non una bomba, ma un veleno che avvelenava il futuro stesso. Poi venne Černobyl, e l’incubo divenne realtà anche in tempo di pace. Una centrale, un errore umano (durante un esperimento che aveva la sua ragione nell’ambito militare), e il cuore radioattivo della tecnologia esplose nella quiete sovietica. Non una guerra, ma un’auto-ferita che mostrò come l’era atomica non fosse mai davvero “dopo” Hiroshima, ma ancora del tutto presente. La serie Tv Hbo Chernobyl ha saputo rievocare questa paura con una lucidità chirurgica: più che il disastro in sé, è il tentativo di contenere l’incontenibile a gettare angoscia. Il suono del dosimetro che impazzisce, l’impossibilità di vedere ciò che uccide: è l’eco di Hiroshima che torna in forma nuova. I vigili del fuoco che si ammalano, si riprendono e poi muoiono in un modo talmente atroce per colpa delle radiazioni, quasi da far apparire la morte per la detonazione di un ordigno nucleare compassionevole, rispetto al dopo.
La perdita dei capelli, per colpa delle radiazioni prodotte dell'esplosione della Bomba, di due fratelli sopravvissuti a Hiroshima - Kikuchi Shunkichi / WikiCommons
La perdita dei capelli, per colpa delle radiazioni prodotte dell'esplosione della Bomba, di due fratelli sopravvissuti a Hiroshima - Kikuchi Shunkichi / WikiCommons
Oggi, mentre si celebrano gli 80 anni dal primo uso bellico del nucleare, lo spettro dell’atomica non è un fungo che si leva nel cielo, ma una nuvola invisibile che penetra nel sangue, nel Dna, nella psiche. Che ha un odore di estinzione. Le guerre moderne — dall’Ucraina al Medio Oriente — rimettono in circolo parole come “arma tattica” e “deterrenza”, ma spesso si dimentica che il vero orrore della bomba non è solo il lampo che acceca: è il dopo, la cenere, la mutazione. Richard Overy ci ricorda che il bombardamento del 1945 fu la conclusione logica della dottrina del bombardamento strategico, non un’aberrazione. Ma ciò che Hiroshima ha inaugurato — e che oggi ancora ci riguarda — è un tipo nuovo di paura: quella della contaminazione irreversibile. L’atomica è diventata simbolo dell’irreparabile, dell’umano che sfugge al controllo umano. E proprio in questo sta il suo potere più profondo: non nel distruggere città, ma nel trasformare la percezione della vita stessa come qualcosa di fragile, minacciata da un nemico che non ha odore, colore, forma. Che inquieta. È qui che si annida la vera “pioggia di distruzione”: nel tempo lungo, nel futuro rubato, nella vita resa dubbia. Un’atomica può radere al suolo una città. Ma può, molto più a lungo, distruggere l’idea stessa di mondo sicuro. © RIPRODUZIONE RISERVATA Richard Overy Pioggia di distruzione Tōkyō, Hiroshima e la bomba Einaudi. Pagine 208 Euro 25,00 Nelle pagine precedenti: la “cupola della bomba atomica”, ciò che rimane dell’edificio che ospitò la fiera di Hiroshima del 1915 e che oggi è il centro del Memoriale della pace A sinistra, turisti in fila per una foto al Cenotafio per le vittime Sotto, un eucalipto sopravvissuto alla bomba, a circa 740 metri dall’epicentro

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