Bataclan: la psicologia indaga 10 anni di trauma collettivo
Il “Programma 13 novembre” studia il modo in cui il dolore del 2015 è rimasto impresso nella memoria collettiva della Francia

Si può ritrovare una vita normale dopo una prova tanto spaventosa come un attentato terroristico vissuto in prima persona? Oltralpe, dove si commemorano i dieci anni dalle stragi jihadiste presso la sala da concerti parigina Bataclan, i caffè in centro e lo Stade de France, l’interrogativo è divenuto il cuore di ricerche multidisciplinari senza precedenti, intitolate “Programma 13 novembre”. Il filo conduttore? Comprendere come un trauma rimane impresso nelle memorie individuali dei testimoni e in quella collettiva di una società. A partire da ciò, poi, studiare in che modo il cervello di ogni persona e un intero Paese si attivano per tentare di superare progressivamente simili precipizi dolorosi. Dunque, le reazioni più intime, grazie alla plasticità cerebrale.
Lo studio più vasto ha riguardato un migliaio di persone più o meno vicine fisicamente agli eventi, sottoposte a interviste approfondite filmate sui loro ricordi, a intervalli piuttosto prolungati: nel 2016, ovvero nei mesi successivi alle stragi, nel 2018 e nel 2021, prima di una quarta e ultima tornata prevista l’anno prossimo. In tutto, già più di 4500 ore d’interviste che rappresenteranno pure un «tesoro patrimoniale», come ha sottolineato lo storico Denis Peschanski, nel ruolo di coordinatore. A partire da queste testimonianze, fra l’altro, è nato il documentario 13 novembre, le nostre vite a pezzi, realizzato da Valérie Manns.
Un’altra ricerca più specificamente biomedica, intitolata Remember, ha invece coinvolto 200 sopravvissuti delle stragi, già inclusi nelle interviste filmate.
Attraverso l’analisi di immagini cerebrali ottenute per risonanza magnetica, è stato studiato come mai prima il fenomeno dei “ricordi intrusivi”: ovvero, quelle tracce visive, sonore e persino olfattive legate alle stragi che tendono regolarmente a riaffiorare nella mente, fino ad oscurare all’improvviso tutto il resto. Si tratta di sintomi al centro delle sindromi da stress post-traumatico, il cui studio cominciò in America sui veterani del Vietnam.
In proposito, il neuroscienziato Pierre Gagnepain, coordinatore dello studio, è convinto che si tratti della pista più promettente per approntare le migliori terapie: «Abbiamo lavorato sulle ragioni dell’affioramento di questi ricordi, talvolta dei flashback, estremamente terrificanti. Ma anche sui meccanismi attivi che permettono di dimenticare».
Per la prima volta, in particolare, si è chiesto ai sopravvissuti di imparare a “respingere” quei ricordi, allenandosi a partire da kit che associano immagini e parole. Per Gagnepain, «il principio è quello di un freno universale, come quando scriviamo una e-mail e, colti da un ricordo di vacanza che ci perturba, riusciamo ad accantonarlo». Di fronte a un semaforo verde visibile, via libera all’associazione fra parola e immagine. In presenza del rosso, al contrario, massimo impegno per respingerla. Tecniche innovative, dunque, per permettere ai pazienti di “addomesticare” progressivamente il ritorno di ricordi ossessivi. Percorsi per assumere un ruolo vieppiù attivo nei confronti delle scie traumatiche, fino a temerle sempre meno.
Per ora, non si tratta ancora di veri e propri protocolli terapeutici, per i quali occorrerà del tempo. Ma nel corso di una giornata speciale organizzata all’Università di Caen, ateneo pilota del programma, molti partecipanti a queste ricerche hanno assicurato di aver già percepito grandi benefici personali.
Per Sophie, vittima degli attentati, un simile impegno rappresenta pure una “replica” personale e civile all’idra terroristica che, secondo gli esperti, non ha affatto smesso di minacciare la Francia e l’Europa: «Contribuire anche solo un po’ alla creazione di conoscenza, da parte dei ricercatori, era un buon modo per dire ai terroristi “non l’avrete vinta”».
In generale, molti partecipanti al progetto di lungo corso, coordinato da due grandi organismi di ricerca (Cnrs e Inserm), coinvolgendo ben otto università transalpine, si sono sentiti integrati in un’intensa avventura tanto scientifica quanto umana. Un’esperienza inserita nel quadro della reazione d’insieme della Francia e dell’Europa, anche a livello istituzionale e giuridico, dopo una delle peggiori stagioni stragiste mai viste nel Vecchio Continente.
Del resto, le ricerche hanno cercato di comprendere anche come i canali della memoria collettiva (contenuti giornalistico-mediatici, commemorazioni) interagiscono con il vissuto individuale. Le due sfere, in effetti, si alimentano a vicenda. Così, ad esempio, anche l’invito delle autorità municipali parigine a deporre in questi giorni candele, fiori o una semplice frase presso la Place de la République avrà un’incidenza sui processi di memorizzazione, non solo fra gli abitanti della capitale.
Nel periodo della pandemia, inoltre, si è appurato che le vittime del 2015 dimostravano un livello di ansia superiore alla media. Inoltre, le stesse persone si sono mostrate estremamente sensibili alla necessità di un accompagnamento sociale dei più fragili.
A capo della supervisione scientifica del programma, Jean-François Démonet, dell’Università di Losanna, ne ha riassunto così la portata: «Per la prima volta nella storia scientifica, sono stati messi assieme e coordinati, in un arricchimento reciproco, approcci e visioni che vanno dalla molecola dell’ippocampo nel cervello umano fino alla storia collettiva contemporanea, passando per le scienze politiche, la sociologia e la psicologia». Per il neuropsicologo Francis Eustache, operativamente alla guida, solo un contesto tanto particolare poteva suscitare simili convergenze: «Tutti hanno compreso che quanto volevamo fare era una sorta di risposta all’accaduto, un tassello mancante, e che la scienza poteva apportare qualcosa alle istituzioni e forse, ancor più, alle vittime e famiglie delle vittime». Nel complesso, insomma, una ricerca dal valore civile e «partecipativa» che apre nuovi orizzonti, illuminando ancor più per molti l’uscita da un tragico tunnel.
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