John Vaillant: «Il fuoco ci manda un messaggio, sta a noi saperlo ascoltare»
Lo scrittore e giornalista canadese denuncia le contraddizioni di un sistema che alimenta il collasso. Il fuoco, spiega, non è più un evento naturale ma un segnale

Con L’età del fuoco. Una storia vera da un mondo sempre più caldo (Iperborea, pagine 528, euro 22), John Vaillant, scrittore e giornalista canadese, ha dato voce a una delle emergenze più drammatiche del nostro tempo: la crisi climatica raccontata attraverso la potenza distruttiva – ma anche simbolica – degli incendi. Al centro del libro c’è Fort McMurray, Alberta, Canada, dove fa molto, troppo caldo: non piove da settimane, la foresta sterminata che circonda la città è secchissima, il suolo inaridito, i venti sempre più forti. E basta una scintilla perché scoppi un incendio incontrollabile. In occasione del “Premio Demetra” con Vaillant siamo entrati in alcune questioni centrali del libro, dalla fragilità del nostro modo di abitare il pianeta al significato del fuoco come fenomeno fisico e culturale, fino alle responsabilità del nostro tempo.
Dagli eventi del 2016 che racconta nel libro, come sono cambiate in questi ultimi dieci anni le narrazioni intorno al rapporto tra uomo, natura e tecnologia?
«Sono cambiate in diversi modi, e non credo che nessuno di questi sia positivo. Uno di questi è la quantità di CO₂ industriale che le nostre attività stanno iniettando nell’atmosfera, che ha innalzato la temperatura in tutto il mondo in modo misurabile e ha reso più alto il rischio di incendi in tutte le nostre comunità. E per quanto riguarda l’arrivo dell’IA, che è una benedizione mista, penso possa essere un vaso di Pandora che rilascia più aspetti negativi che positivi. Un altro aspetto negativo dell’IA è che utilizza quantità colossali di energia e, al momento, gran parte di questa energia è generata da combustibili fossili, rendendo il rischio per il clima ancora maggiore. Per quanto riguarda il comportamento degli incendi, in particolare, sta diventando sempre più intenso e diffuso in tutto il mondo. Credo che gli italiani ne siano dolorosamente consapevoli. Lo siamo certamente in Canada e negli Stati Uniti. L’unico aspetto positivo che vedo è che sta risvegliando le persone e le nazioni al rischio reale di incendi e disastri climatici, e alla necessità di decarbonizzare il più rapidamente possibile».
Oggi gli incendi non sono più solo disastri naturali, ma sintomi di un sistema fuori controllo. Cosa ci dice il fuoco sul nostro modo di abitare il pianeta?
«È un indicatore molto importante del fatto che il modo in cui attualmente abitiamo il pianeta e ci alimentiamo sul pianeta non è più sostenibile. Infatti, ci sta dicendo che tutti i vantaggi che abbiamo acquisito grazie ai combustibili fossili stanno per essere portati via da quegli stessi combustibili. Quindi il fuoco è l’allarme. L’allarme sta suonando in modo molto violento, spaventoso e diffuso, e ci sta dicendo che dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere l’energia e i trasporti».
Nel libro scrive che stiamo entrando in una “nuova era geologica del fuoco”. Cosa significa e che futuro ci attende, se non cambiamo modo di vivere?
«Stephen Pyne, un famoso storico del fuoco, chiama questa nuova era l’età del Pirocene. E i segni di questa nuova era sono incendi più grandi, più veloci, più distruttivi, più difficili da spegnere, sempre più inarrestabili con i mezzi umani. Siamo quindi in un mondo nuovo. Stiamo lasciando l’epoca Olocenica che ci ha permesso di costruire la nostra civiltà così come l’abbiamo conosciuta e da cui dipendiamo. Siamo solo all’inizio e, se continuiamo, renderemo il pianeta inabitabile, e questo accadrà rapidamente, soprattutto se non effettuiamo una transizione. E anche se effettuiamo una transizione, molti di questi cambiamenti sono ormai, per così dire, “incorporati nel sistema”. Quindi la Terra probabilmente non si raffredderà nel corso della nostra vita. Ma se ci allontaniamo dal sistema energetico e di trasporto basato sul carbonio, possiamo progettare un futuro più freddo. Decarbonizzare ora è come piantare un albero, all’ombra del quale forse non potremo sederci, ma i nostri figli e nipoti sì. È un atto di speranza e di generosità verso il futuro, e un atto di responsabilità per ciò che abbiamo creato nel presente».
L’incendio di Fort McMurray è scoppiato al centro dell’industria petrolifera canadese. Quanto è importante, simbolicamente e politicamente?
«Il simbolismo è potente. È come il serpente uroburo che si ingoia la coda. Questa industria dei combustibili fossili ad alta intensità energetica nel Canada settentrionale, in Alberta, utilizza enormi quantità di gas naturale per lavorare questa forma molto ostinata di idrocarburo, chiamata bitume, per trasformarla in petrolio che può essere bruciato di nuovo. E il fatto che l’incendio che ha bruciato la città, e che ha sostanzialmente bloccato l’industria per diverse settimane, sia stato aggravato dalle emissioni di industrie come questa, ha dell’ironia, ma è anche un messaggio. E sta agli esseri umani ascoltarlo».
Qual è stata la sua esperienza sul posto, parlando con le persone che hanno sofferto?
«Questo libro mi ha spaventato enormemente e mi ha rattristato profondamente. È devastante vedere distrutte le cose che si è lavorato così duramente per costruire, i luoghi in cui è cresciuta la propria famiglia».
Forse uno dei ruoli della letteratura è anche quello di stare di fronte a tutto questo dolore.
«Lo penso anch’io. Ed è un modo per modellare un coraggio intelligente, emotivamente onesto. Ed è quello che cerco di fare».
© RIPRODUZIONE RISERVATA






