martedì 25 novembre 2014
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Trento, 3 luglio 1968: in un’aula della Facoltà di Sociologia di Trento, Beniamino Andreatta, membro, con Norberto Bobbio e Marcello Boldrini, del nuovo comitato ordinatore, sale con irruenza e tutta la sua mole su una cattedra, tra mormorii e ilarità, per meglio affrontare, di petto, l’assemblea studentesca riunita per conoscere scelte e nomi di un annunciato "nuovo corso" nella gestione degli studi. A fronte della protesta studentesca, che faceva di Trento quasi l’epicentro della contestazione italiana, il "nuovo corso" offriva un corpo docente giovane e rinnovato ed un direttore, Francesco Alberoni, reputato capace d’interlocuzione con gli studenti. E’ un momento cruciale nella storia universitaria trentina, che il libro appena uscito per i tipi del Mulino La memoria dell’Università. Le fonti orali per la storia dell’università degli studi di Trento (1962-1972), mette in rilievo, con otto testimonianze di docenti, studenti e amministratori dell’epoca, i quali, al di là del ricordo visivo del fatto, danno interpretazioni diverse circa il contenuto del discorso di Andreatta.I dieci anni tra la fondazione di Sociologia, nel 1962, e l’allargamento ad altre facoltà, superando contestazione e crisi, sono stati anni ricchi di esperienze e scommesse, anche contraddittorie. L’intuizione di puntare su una disciplina come la sociologia negli anni dello sviluppo crescente, riuscendo a far convergere a Trento i primi sociologi italiani che della disciplina erano i banditori, con il Mulino o le Edizioni di Comunità, rese possibile una battaglia, con il sostegno sostanziale di quei primi studenti, giunti lì per scelta motivata da tutta Italia, quando il riconoscimento della laurea non era garantito.  Quando, nel gennaio ’66, quella piccola e coesa comunità di studenti occuperà, prima in Italia, la "sua" facoltà, avrà il sostegno infatti della popolazione trentina; non si trattava più del riconoscimento del valore legale del titolo, ma di una lotta per la sua specificità: Sociologia, appunto, e non già l’inserimento, secondo il ridisegno Maranini-Miglio, in Scienze politiche. La storia della facoltà avrà scosse e fermenti negli anni successivi: il ’67 sarà l’anno della solidarietà al Vietnam, che gli studenti vorranno celebrare, nel mese di marzo,  all’interno della facoltà, con una protesta civile in forme autogestite, ma che sarà interrotta d’autorità con sgombero e "trascinamento" non violento da parte della polizia e relative denunce. Poi sarà la volta dell’ondata contestataria del ’68, dopo la fine degli organismi studenteschi rappresentativi, con candidati eletti, ed il passaggio all’assemblearismo, con la terza e più lunga occupazione, dal 31 gennaio al 7 aprile. Fenomeno generale e non certo solo trentino. Che non significherà però, come nelle intenzioni di molti, un passaggio a forme di "democrazia diretta", bensì, paradossalmente, una delega all’oligarchia dei leader, con un conseguente dilatarsi di un gregarismo di massa. Un caos crescente, cui il corpo accademico trentino credette rispondere con un’altra delega: data a un direttore "creativo", Francesco Alberoni, che avrebbe dovuto assorbire, o almeno limitare, la protesta, con un "nuovo corso" alla francofortese. Con esiti in realtà da romanticismo della rivoluzione, nel cortocircuito tra "università critica" del rettore e "università negativa" degli studenti più estremisti. Ove si facevano controcorsi in cui Max Weber era bandito come sociologo borghese, in favore di Lenin e Mao, ritenuti autori più adeguati. Con questi strumenti s’intendeva forse aiutare, nel ’69, il movimento operaio, secondo una tradizione di collegamento studenti-operai meritoriamente inaugurata da subito a Trento. Intanto dai numeri limitati degli inizi, le iscrizioni a Sociologia crescevano esponenzialmente anno dopo anno, fino all’ingovernabilità e al deterioramento del rapporto con la popolazione, certo acuita dai teorizzati "gesti esemplari", quali il "controquaresimale" del 27 marzo ’68 e la contestazione al presidente Saragat in visita a Trento nel cinquantenario della vittoria. Infine, "scaricato" Alberoni, il corpo insegnante deciderà di non aprire le iscrizioni per l’anno ’70-’71, interrompendo così il flusso studentesco, aprendo nuove facoltà e istituendo quindi, con rettore Paolo Prodi, una Libera Università nel ’72, oggi fiorente.Tra gl’intervistati nel volume chi scrive trova vecchie amicizie, tra le quali Marco Boato, allora leader "razionale" a contrappeso del leader "carismatico" Mauro Rostagno, e Paolo Sorbi (protagonista del "contro quaresimale" citato), che decisero di stare nel flusso del "movimento", anche nella sua fase estrema e poi negli sviluppi politici post-trentini. Certo, il mio parere è in gran parte critico rispetto al "movimento" dopo l’estate ’68, epoca in cui la prima leva studentesca cominciò a lasciare Trento. Con altri testimoni, pur negando la nascita trentina del terrorismo, fenomeno che si sarebbe sviluppato nei primi anni ’70 al di fuori della città, confermo la presenza di un tono di violenza verbale e morale spesso usato a Trento: gli slogan ideologici quando non truci, gli esami di gruppo imposti a professori contro la loro volontà, la contestazione becera e umiliante verso Pietro Scoppola. Fu quella una fase sovraccarica di ideologia e utopia, cioè di fuga dalla realtà, in cui si credette alla prossimità della "rivoluzione", respingendo come inadeguate le prospettive riformatrici come nel caso del Piano Gui sulla riforma universitaria, o le offerte di collaborazione da parte della Chiesa trentina (ricordo un foglio, Dopoconcilio, e un circolo di studi, "Bernardo Clesio", voluto dal vescovo Gottardi: un’accoglienza proposta ai tanti studenti cattolici praticanti e conciliari che animavano il movimento studentesco trentino, che fu se non rifiutata, certo snobbata). Il vento, o la fiumana, tirava da un’altra parte: chi aveva una vocazione politica più solida della mia tentò, con dedizione e in buona fede, quella strada. Oggi anche quei sentieri interrotti narrano una storia degna di essere ricostruita.
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