Trent'anni di silenzio su Srebrenica: perché la giustizia è ancora lontana
Le istituzioni continuano a ignorare le responsabilità dello Stato nel massacro di musulmani, ma la società civile non dimentica e le organizzazioni per i diritti umani oggi commemorano le vittime

In Serbia il trentesimo anniversario del genocidio di Srebrenica non sarà diverso da tutti quelli che l’hanno preceduto. I politici e i rappresentanti istituzionali del mio Paese rimarranno ancora una volta in silenzio e si guarderanno bene dal riconoscere le colpe dello stato. Con le organizzazioni della società civile e molti miei connazionali organizzeremo però una serie di iniziative per commemorare le vittime e per la prima volta faremo pubblicare su “Danas”, il principale quotidiano serbo, l’elenco completo con i nomi delle 8.372 persone che sono state uccise o risultano scomparse nei giorni del genocidio del 1995. Sarà il nostro omaggio silenzioso alle vittime e occuperà sedici pagine del giornale nell’edizione di oggi, 11 luglio. Non dobbiamo inoltre scordarci che, a trent’anni dalla fine della guerra, in Bosnia ci sono ancora circa ottomila persone disperse, circa un migliaio delle quali nella sola area di Srebrenica.
A Belgrado il nostro Centro per il diritto umanitario continua a raccogliere le prove dei crimini di guerra commessi nei Balcani negli anni ’90. Adesso stiamo cercando di trasformare l’organizzazione in un centro di documentazione indipendente sulla giustizia e la memoria. Il nostro compito principale sarà quello di pubblicare analisi e rapporti relativi a ciò che è accaduto in passato, basati sia sulle nostre ricerche che sui documenti e le sentenze del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia. Purtroppo però, da quando Aleksandar Vučić è salito al potere la situazione politica in Serbia è cambiata radicalmente. All’inizio pensavamo che avesse cambiato le sue opinioni (in gioventù Vučić è stato un ministro del governo di Milosevic, ndr) e avesse compreso l’importanza di stabilire buoni rapporti con i Paesi vicini, riconoscendo tutte le vittime e mettendo da parte le sue idee nazionaliste per la creazione di una Grande Serbia. Era stato lui a illuderci, subito dopo essere salito al potere, sostenendo che all’epoca era giovane, ma adesso vedeva il futuro in una prospettiva diversa.
Anche la situazione politica globale appare profondamente cambiata da allora. Gli Stati Uniti sono diventati un Paese completamente diverso da quello che avevamo conosciuto in passato. Non è più il Paese dei diritti civili e questo condiziona inevitabilmente il resto del mondo. Anche l’Unione Europea pare avere nuove priorità che fatichiamo a comprendere perché talvolta appaiono lontane dagli stessi valori fondativi dell’Europa. Il tema della riconciliazione nei Balcani non rientra più tra queste priorità e i rappresentanti dell’UE non sembrano più interessati a promuoverlo.
Eppure, se teniamo conto delle esperienze di altre società post-belliche, sappiamo bene quanto il passato sia importante. Sappiamo bene che senza fare tutti gli sforzi necessari per comprendere il passato sarà molto difficile stabilire buoni rapporti tra i popoli di questa regione. Personalmente non mi preoccupo dei violenti attacchi che continuo a ricevere da alcuni politici del mio Paese. C’è stato persino qualcuno che ha persino minacciato di farmi arrestare sostenendo che avrei accusato la Serbia di essere una nazione genocida, proprio con riferimento a quanto accadde trent’anni fa a Srebrenica. Io non ho mai detto che il popolo serbo è un popolo genocida: ho cercato soltanto di far presente che esistono molte sentenze del Tribunale penale dell’Aja per la ex Jugoslavia, della Corte internazionale di giustizia e persino di molti tribunali nazionali, in particolare in Bosnia Erzegovina, che hanno accusato lo stato serbo sulla base delle gravi prove raccolte a Srebrenica e altrove.
A tre decenni dalla firma dell’Accordo di pace di Dayton le relazioni tra i paesi balcanici restano molto difficili. Quell’accordo è servito a fermare i massacri ma non a garantire relazioni amichevoli tra tutti i Paesi dell’area. La situazione non è molto diversa rispetto a trent’anni fa, sia perché la comunità internazionale ha fatto ben poco per promuovere la riconciliazione, sia perché molti degli attuali leader politici dei Balcani sono gli stessi dei tempi della guerra. Direi che oggi il clima politico risulta persino peggiore di quello che precedette lo scoppio della guerra.
Presidente dell’HumanitarianLaw Center di Belgrado
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