
Ezio Bosso durante l'apparizione al Festival di Sanremo del 2016 - Ansa
Appena esplosa la metaforica “bomba atomica” del Teatro Patologico nella terza serata del Festival, con il pubblico in piedi a tributare una standing ovation agli attori guidati e capitanati da Dario D’Ambrosi, Carlo Conti ha voluto ringraziare la capofila in Rai della televisione più sociale, autentico emblema del servizio pubblico. Fu infatti lei, Paola Severini Melograni, nove anni fa, proprio al Festival di Sanremo e proprio con la conduzione di Carlo Conti, a dare il la a una virtuosa ed esemplare “tradizione” portando sul palco dell’Ariston l’allora sconosciuto Ezio Bosso.
Era il 10 febbraio 2016 quando infiammò la platea del Festival con la sua esibizione al pianoforte con un suo brano, lui affetto da una forma grave di neuropatia motoria multifocale che gli costò infine la vita il 14 maggio 2020, a soli 48 anni. E quel commovente e accorato appello di Bosso a concepire la vita e la musica in un solo modo, “insieme”, Conti ha voluto che risuonasse anche all’inizio di questo Sanremo 2025 così come il suo grazie giovedì sera alla Severini Melograni, che gli dette l’opportunità di far salire sul palcoscenico più importante della televisione italiana il tema della disabilità e della centralità dell’inclusione.
L’anno dopo la giornalista, scrittrice, autrice e produttrice televisiva romana fece il bis portando a Sanremo il gruppo musicale dei Ladri di Carrozzelle che con il loro rock aprirono la serata della finalissima. Ancora Carlo Conti al timone e ancora un successo clamoroso, con la straordinaria performance di questi musicisti diversamente abili. Ed ebbe così inizio una nuova provvidenziale stagione per il servizio pubblico, con la Rai impegnata a sensibilizzare sempre più gli italiani sul tema cruciale della disabilità e dell’inclusione il cui programma capofila è ormai da cinque anni (la prima puntata andò in onda su Raidue a fine settembre 2019) O anche no, ideato e condotto da Paola Severini Melograni che l’anno scorso ha pubblicato anche un volume con lo stesso titolo e il sottotitolo “Da vicino nessuno è normale”, presto nelle librerie in una edizione aggiornata (Castelvecchi).
«Mi sono molto spesa in quel lontano 2016 perché Ezio Bosso salisse sul palco di Sanremo – ricorda l’autrice, che è anche direttrice di Angelipress.com il primo portale italiano di cultura e informazione sociale -. Sapevo infatti che avremmo dato il via a un cambiamento nel mondo della comunicazione e quindi anche culturale. Considerando anche che noi italiani siamo naturalmente solidali e umanamente aperti, grazie anche a un humus cattolico. Non è un caso se già nel 1977 in Italia furono chiuse le scuole speciali, mentre in Francia ancora ci sono. Così come siamo stati i primi al mondo a chiudere i manicomi grazie alla intuizione di Franco Basaglia, con cui ho avuto il privilegio di lavorare».
Una inclinazione, quella italiana, che va però coltivata. I semi attecchiscono e fruttificano nel terreno soltanto se c’è la necessaria cura. Cura che richiede a monte una intrinseca autentica vocazione, corroborata da capacità e professionalità. «In un ambito delicato e sensibile come quello della disabilità non si può improvvisare - sottolinea Severini Melograni, impegnata in televisione e in radio dal lontano 1983 -. I temi e le situazioni vanno affrontati con estrema attenzione e perizia perché è alto il rischio che si raccontino impropriamente le invece sottilissime dinamiche personali e familiari di chi ha a che fare con questa problematica che investe infiniti aspetti della vita".
E quando c’è un approccio sbagliato a livello comunicativo e divulgativo le conseguenze possono essere pesanti e compromettere anche anni e anni di sforzi e impegno a livello di sensibilizzazione. "Bisogna stare molto attenti quando si realizza un programma così specifico - avverte l'autrice -. Non è intrattenimento. Chi ne parla deve sapere di cosa si sta trattando, ci vuole competenza e adeguata sensibilità. E soprattutto chi se ne occupa ci deve credere per davvero. Parlare di disabilità non può diventare un tema alla moda, non può esserci spettacolarizzazione. Con le vite non si scherza e la disabilità è una materia sacra. La vita è sempre degna di essere vissuta e anche chi sta male deve sempre avere tutte le possibilità. Ma perché sia così serve la compassione, la condivisione del dolore”.
Ecco perché un programma come O anche no non può essere un semplice racconto di storie e di vicende umane caratterizzate dal connotato della disabilità, che sia fisica o mentale. Diventa semmai il filo rosso di una comunità che si è creata attorno a una trasmissione. “Una comunità che fa delle battaglie – spiega Severini Melograni, in onda intanto domenica 16 febbraio alle 10 su Raitre con una puntata "sportiva" che vedrà ospiti tra gli altri i campioni paralimpici Rigi e Daniele Cassioli – per una vita dignitosa e per l’emancipazione. Noi rappresentiamo cinque milioni di famiglie e grazie alla televisione siamo riusciti a contribuire a migliorare la vita delle persone. Faccio solo un esempio. O anche no ha stipulato una convenzione con Enac, l’Ente nazionale per l’aviazione civile, grazie alla quale in 25 aeroporti le persone autistiche sono messe in condizione di poter prendere l’aereo in autonomia. Ma queste conquiste sono il risultato di battaglie continue, sostenute appunto dalla forte comunità che si è creata attorno al programma. La Rai però deve continuare a sostenere la nostra causa, puntando sul sostegno a una vera professionalità lasciando che a occuparsi di disabilità sia chi se ne intende, chi ha competenza ed esperienza. Per questo il grande pericolo sarebbe una televisione non di qualità. Fatta oltretutto con i soldi pubblici”.
Per Severini Melograni per raccontare il sociale e provare a cambiare le cose “ci sono soltanto due strade: o usare la disabilità e la fragilità per il proprio tornaconto come fanno per esempio certi infuencer oppure essere usati e mettersi al servizio. Spendersi cioè totalmente come se si fosse in missione. Per questo bisogna fare molta attenzione. Stando attenti anche alla retorica, che rischia di annacquare una tematica di estrema delicatezza. Guai al compatimento, che è il contrario della compassione”.