giovedì 16 aprile 2020
Gli incontri, l'amicizia e le nuove battaglie del grande scrittore che amava l'Italia
Luis Sepulveda

Luis Sepulveda - Ulf Andersen/Sipa/Ipa/Fotogramma

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Si cominciava chiacchierando «dell'apparecchio portatile per riconoscere i nemici della letteratura» e si finiva per dover riconoscere che quelli, proprio quelli, «sono i nemici dell'umanità». Gli piaceva farsi chiamare Lucio (Lucho, io combatto). «E’ un peccato che sia il tuo secondo nome», mi disse Luis Sepúlveda scherzando a tarda sera tra i vicoli medievali che nascondono e preannunciano la vista del Lago di Como.

Tra un'affollata presentazione di un libro e una kermesse in giro per tutta Italia, ci siamo rivisti a novembre. Non fosse stato per il Coronavirus che non gli ha dato scampo, sarebbe dovuto tornare tra qualche mese, forse già dopo l’estate. E ancora gli avrei domandato «dell'apparecchio portatile».

Da vicino non aveva nulla della celebrità da bestseller. E neanche da lontano. «Il rapporto con Sepúlveda, mi vien da dire, o era d'amicizia o non era», ha scritto Luigi Brioschi, presidente della casa editrice Guanda. «E l'amicizia, sentimento forte e certamente antico, entrava - ha aggiunto Brioschi - in ogni discorso, in ogni progetto, in ogni ricordo». Raramente un editore e un autore diventano una comunità di amici come lo è stato per Sepulveda con Guanda. Anche perché Luis sapeva ascoltare. Anzi voleva ascoltare. Ascoltare per vivere. Ascoltare per scrivere.

Lui che aveva affrontato il piombo della soldataglia e i giochi di sangue che cominciavano a Washington e finivano a Santiago del Cile, un timore lo aveva. Ne parlò a cena, prima di aprire la carta del ristorante: «Il foglio bianco è una sfida. Una sorta di deserto, che però è anche un invito a entrare nel mondo della scrittura». Una seduzione come una lunga traversata «in un mondo che prima è vuoto, ma che lo scrittore deve affrontare dando vita, corpo, senso, a persone, luoghi e storie».

Anche per questo «non mi piace scrivere in prima persona. E’ difficilissimo». Lo disse come quando si vuole avvertire qualcuno di tenersi alla larga dalle cattive compagnie: «Se scrivi in prima persona, la vanità dell’autore è sempre molto forte». Ne parlava a proposito della Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa, che in Italia è stato pubblicato nel 2018 sempre da Guanda con le illustrazioni di Simona Mulazzani.

«Ho scelto di raccontare in terza persona, tenendomi fuori e dando voce alla balena. Un animale che vive nel silenzio del mare, amante della profondità e del silenzio nella superficie». Un modo, in realtà, per calarsi negli abissi della porta accanto. Perché proprio una balena? «Moby Dick, di Melville, è stato per me un romanzo importante. L’ho letto da adolescente, poi a 25 anni e poi di nuovo e più volte da adulto. E mi sono chiesto perché Melville avesse creato un personaggio come Acab, con la sua carica di puritanesimo religioso, la sua forza e il suo senso di colpa. La balena, invece, è quasi un personaggio secondario. Perchè, mi sono chiesto, Melville non ha voluto farci sapere di più su questo capodoglio?».

La voce del cetaceo deve avergli cominciato a parlare molto tempo fa. In mezzo alle tragedie del Subcontinente americano. Al contrario dello scrittore Hermanne Melville, che da giovane si arruolò sulla baleniera "Acushnet" per disertare diciotto mesi dopo, Sepulveda aveva preso parte ad alcune azioni di Greenpeace. Ne parlava senza il tono da avventuriero: «Ho partecipato per proteggere le balene dai cacciatori giapponesi e questo ha aumentato la mia curiosità. E ho deciso di cominciare a scrivere la storia di questa balena, che è veramente esistita. Un enorme capodoglio bianco veduto all’orizzonte. Intorno a questo animale - riassumeva ripensando alla vicenda che ispirò Melville - si è formata una sorta di leggenda. Ai balenieri veniva offerta una ricompensa se l’avessero uccisa. Uccisa, ma poi trovata con più di 100 arpioni nel corpo. Per me è la metafora dell’America Latina. Un animale che ha resistito. E mi riguarda da vicino, perché rappresenta anche me». Lo disse, quella volta in prima persona, alludendo a una storia comune, a quel suo essere sopravvissuto alle ferite inferte a una generazione e a un continente intero.

Lo consolavano le parole di Papa Francesco. Non che tra argentini e cileni scorrano fiumi di buon sangue, ma Bergoglio proprio gli piaceva. Lui, Lucio, della fede diceva semplicemente: «Non sono un praticante». Ma un Papa latinoamericano che ha scelto per nome Francesco, gli è sembrato da subito come una sorpresa sognata e inaspettata.

«Perché San Francesco è una figura "giustiziera", un nostro fratello che aveva scelto di stare dalla parte dei poveri e della loro dignità». Come oggi Bergoglio, «che è la voce dei poveri e degli ultimi e non ha paura dei potenti fuori e anche dentro la Chiesa. Come quando parla dei fratelli migranti». Lì, in quel mare, anch’essi trafitti dagli egoismi e dai calcoli dei manipolatori del consenso. Facile immaginare cosa pensasse Sepulveda dei sovranisti, dei neofascisti, dei populisti che, ancora una volta, hanno preso casa a Washington come nel Vecchio Continente.

Riconoscerli è facile, disse salutando la notte sul lago, di nuovo spiegando cosa fosse «l'apparecchio portatile per riconoscere i nemici della letteratura». Gliene aveva parlato Goyo, pescatore cubano, amico e custode dell’eredità di Ernest Hemingway nella Isla. Era “Il Vecchio che sapeva le parole”. Luis Sepulveda ne scrisse anni prima: «Goyo li stava ad ascoltare e qualche volta li interrompeva: “Non ti capisco se mi dici che hai calato il coso e che dopo tre ore hai tirato su il coso, ma senza prendere nessun coso? L'amo? E che cosa hai tirato su? La lenza? E che cosa non hai preso? Usa i sostantivi, rispetta le parole, compagno”. Sì, l'apparecchio portatile era proprio implacabile».

Ma ora Sepulveda ne parlava alludendo ai potenti che conoscono le parole e le usano per non farsi capire, e a quegli altri, quelli che Tomasi Di Lampedusa avrebbe annoverato tra “gli sciacalletti, le iene”, che a differenza del vecchio pescatore le parole non le sanno, ma sanno intrappolare i pesci.

Anche a questo serve «l'apparecchio portatile per riconoscere i nemici della letteratura. Per riconoscere che quelli sono i nemici dell'umanità».

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