Oggi il digitale riscrive anche il concetto di spazio-tempo

Solo in apparenza il binomio è ingabbiato nell’idea quadrimensionale dell’universo, che racchiuderebbe tutte le interpretazioni del reale. Ma c’è altro
September 15, 2025
Oggi il digitale riscrive anche il concetto di spazio-tempo
foto Alamy |
Spazio-tempo è un binomio ingabbiato nel cronotopo, idea quadrimensionale dell’universo, tassonomia onnicomprensiva che racchiude tutte le interpretazioni del reale – così almeno sembrerebbe. Nel suo in vitro che tiene insieme gli accidenti di ogni genere sono sospesi i decadimenti residuali dell’esistente, le incursioni estreme della fisica teorica, fare la spesa, i disastri delle guerre, tu che leggi e io che scrivo, le rivoluzioni, Lord Byron e Idi Amin Dada, i deserti, un pensiero, la cena di ieri sera. Interrogarsi sulla natura intima di spazio e tempo e il prodotto del loro innesto indistricabile, è una impresa disperata a cui gli esseri umani non sanno rinunciare. Si possono tentare definizioni più o meno circostanziali e limitate, come si è sempre fatto nella storia. Il tempo è percepibile unicamente sulla base delle conseguenze, i mutamenti delle forme, lo scorrere biologico, i moti della fisica. Non occupa lo spazio che contiene, quello in cui succedono i fatti collocati dalla percezione in una scansione cronologica certa. Forse la nozione di tempo è semplicemente necessaria come espediente utile a descrivere lo spazio degli eventi. Senza la cognizione di tempo cosa sarebbe la storia? Un accumularsi di trasformazioni che insistono su un medesimo istante che non sarebbe più possibile chiamare istante perché, se non vi è un tempo, allora non ha ragione di essere la sua unità, per quanto minima. Un perenne che non scorre, se ne sta lì come un monolite, un buco nero in cui si perdono tutte le infinite variazioni dell’essere. Lo spazio è meno ostico, appare più concreto, in definitiva è ciò di cui siamo fatti noi e l’ambiente circostante. Spazio è la espansione dell’essere necessaria alla definizione di esistenza, una protrusione che si insinua nella realtà come lo pseudopode di un citoplasma atipico e inquieto. Le risultanze della scienza ne hanno sciolto lacci e laccetti, rivelandone la natura di funzione geometrico matematica che cambia aspetto e struttura a seconda dei sistemi di riferimento.
Ancora una volta il digitale ci permette di intravedere altro, come mostrano alcune risultanze nel lavoro di un ricercatore che si interfaccia con gli algorithm designers, categoria che pur somigliando a una idea obsoleta di nerd, se ne distacca sensibilmente perché necessariamente deve mutuare le sue soluzioni da una visione d’insieme a priori che potremmo inquadrare come filosofico-estetica.
Ryan Williams, informatico teorico statunitense che si occupa di algoritmi e teoria della complessità computazionale, si interroga da tempo sulla relazione che riguarda spazio e tempo nella dimensione intangibile e concreta delle strutture in codice e del loro campo di influenza, quello dei dati. Nello specifico non si è mai rassegnato alla regola che vuole la efficacia di calcolo direttamente vincolata alle questioni dello spazio.
Il cronotopo digitale potrebbe apparire come una superfetazione accessoria del suo controaltare analogico, ma non è così. Il tempo e lo spazio digitali sono manifestazioni ulteriori di un medesimo universo che assume forme differenti senza potersi sottrarre alla unità.
L’assunto messo in discussione da Williams è il seguente: per avere efficacia di calcolo i sistemi devono immagazzinare dati, e questo richiede tempo. Del tutto ragionevole. Se devo sistemare dei libri in una libreria, più grande è il numero di tomi, più tempo richiederà l’operazione. A parità di potenza elaborativa il tempo è una componente essenziale della capacità di calcolo dal momento che permette l’accumulo di quantità maggiori di dati cui il sistema potrà attingere. Il volume dei dati altro non è che un equivalente dello spazio in funzione del tempo. Più spazio equivale a più tempo. Una considerazione apparentemente banale che in sé contiene già tutti i caratteri di mondi sensibilmente nuovi. Lo spazio dei dati è estremamente elastico dal momento che fino a un limite ancora da esplorare è sempre comprimibile. Questo non cambia sostanzialmente la qualità e la natura della informazione che contengono, il cui spazio risulta per conseguenza una caratteristica variabile e tutto sommato secondaria. Il tempo va di pari passo. Questa la vulgata scientifica fino a ora.
Williams ha intuito la possibilità, e solo recentemente ne ha restituito alcune evidenze matematiche, che una minore quantità di memoria, e quindi una quantità minore di spazio, è in grado di surclassare in termini di efficienza ed efficacia la maggior quantità di tempo.
Lungi dall’essere un tema strettamente teorico, questo comporterà modifiche importanti al design degli algoritmi la cui architettura verrà rivista alla luce delle nuove risultanze.
Algoritmi in cui il minor spazio apre a una maggior efficienza di calcolo. Un paradosso apparente dei tanti che ci troveremo ad affrontare e su cui va tarato e ridiscusso tutto il bagaglio filosofico scientifico costruito fino a ora, come una eventualità che si affianca e forse supererà le precedenti.
Immaginiamo due orologi, quello di Williams e il nostro. Con il primo, nello spazio di una rotazione delle lancette dei minuti, riesco ad assolvere compiti che nel secondo richiedono una identica intera rotazione, ma della lancetta delle ore.
Comprendo che non sia intuitivo e serviranno generazioni per arrivare a un nuova consapevolezza di fondo che la realtà come la abbiamo immaginata finora apre a dimensioni controverse e inaspettate. Ma certamente non è più possibile pensare a una società in cui la conoscenza si divide per compartimenti stagni in cui l’ansia etica non sia sostenuta da una profonda capacità filosofico-tecnologica.
Che sarà richiesta in dosi minime a tutti, indistintamente, a tutti coloro che non vogliano essere inglobati nelle masse del mercato average, sempre pronte ad assecondare i destini decisi da altri, nello spazio più efficiente di un tempo minimo.

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