martedì 4 agosto 2020
Bravo Immobile miglior goleador d’Europa ma, almeno in Italia, dal 2000 a oggi solo tre volte il bomber ha fatto vincere lo scudetto alla sua squadra
Il laziale Ciro Immobile, 30 anni, vincitore della Scarpa d’oro 2020 come miglior bomber dei campionati europei

Il laziale Ciro Immobile, 30 anni, vincitore della Scarpa d’oro 2020 come miglior bomber dei campionati europei - Ansa

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Ciro Immobile si è laureato re del gol della Serie A. Laurea con lode, ne ha segnati 36. Bene, bravo, bis anzi tris, visto che ha già vinto il titolo di capocannoniere nel 2018 (29 gol sempre con la Lazio, trofeo condiviso con Icardi) e nel 2014 (22 centri ai tempi del Torino). Eppure, con Immobile - che nell’immaginario risulta perennemente lanciato in contropiede - ci stiamo muovendo nel territorio dove si elogia la futilità e il gol “vuoto a perdere” che non porta vittorie di squadra. Celebriamo il record dei 36 gol - impresa riuscita solo a Gonzalo Higuaìn nella storia del nostro campionato - ma scopriamo che trattasi di record fine a se stesso, un punto esclamativo piazzato alla fine di un discorso- scudetto interrotto da una Lazio che non ha saputo - nel postlockdown - essere all’altezza del suo cannoniere. E quindi siamo qui a domandarci cosa resti oltre la soddisfazione personale e il proprio nome sull’albo d’oro del campionato italiano. Resta la gloria, la gratificazione della Scarpa d’Oro (prima di Immobile l’hanno vinta solo due italiani, Toni e Totti), probabilmente un ritocco all’ingaggio, di sicuro l’innesco celebrativo per ogni ricorrenza, forse il bisogno fisiologico di cercare la bellezza, anche lungo strade che alla fine si rivelano inutili. È una prerogativa tipica di noi umani, rincorrere una scintilla di magia: del resto i pesci non passano le notti con la testa fuori dell’acqua a guardare le stelle, per quanto meravigliose siano. Immobile diventa così un capocannoniere che vince senza vincere, arriva primo al traguardo e si accorge che quel che ha fatto è molto, ma non ancora abbastanza.

Curiosando nell’albo d’oro della classifica dei capocannonieri abbiamo scoperto un’anomalia tutta italiana: negli ultimi vent’anni - dal 2000 ad oggi - soltanto tre volte il capocannoniere della Serie A giocava nella squadra che ha vinto lo scudetto. Andando a ritroso nel tempo ecco che nel 2008-09 il miglior goleador è stato Zlatan Ibrahimovic, che con i suoi 25 gol ha contribuito allo scudetto dell’Inter di Mourinho; nel 2002-03 i 24 gol di Andrij Shevchenko si rivelano fondamentali al Milan di Ancelotti per vincere il tricolore e infine nel 2001-02 al primo posto troviamo lo juventino campione d’Italia David Trezeguet 24 gol (gli stessi di Dario Hubner). Spesso i cannonieri dell’anno sono stati bomber di razza, artisti del pallone, vecchi filibustieri e giovani promesse, tutti comunque uniti dal destino ozioso di chi segna a raffica senza tuttavia portare profitto (leggi lo scudetto) al proprio club. Per dire: l’anno scorso il capocannoniere fu Fabio Quagliarella, “Highlander” dai piedi dolci e dal colpo sempre in canna: 26 gol con la Sampdoria, che però chiuse il campionato al 9° posto, senza nemmeno la consolazione della qualificazione in Europa League. In questi nove anni di dittatura Juventus il principe del gol è sempre arrivato da un Altrove avaro di gioie. Tre volte ha trionfato Immobile (due con la Lazio, una col Toro), un paio di volte l’interista Icardi, dividendo in un’occasione il trono con Toni, capace nella sua second- life con l’Hellas Verona di rivincere il titolo di capocannoniere a nove anni di distanza dalla prima volta, quando trionfò con la Fiorentina. Si sono aggiudicati la palma del miglior bomber due centravanti del Napoli, l’uruguaiano Cavani e l’argentino Higuaìn; così come il bosniaco Dzeko ha primeggiato in anni segnati dal potere bianconero.

Ma non ci si deve stupire. Se andiamo a ripercorrere la storia del gol del nostro calcio, troviamo schiere di intrusi, cannoniere dal gol facile capitati in squadre poco competitive, almeno ad alti livelli. Dal 2009 al 2011 Totò Di Natale distribuì 57 gol (29 e 28) in due campionati, ma giocava nell’Udinese. Cristiano Lucarelli nel 2004-05 vinse il titolo di capocannoniere con 24 gol, esattamente la metà di quelli realizzati dal Livorno, che alla fine arrivò a metà classifica. Quando nel 2002 Dario “Tatanka” Hubner appaiò lo juventino Trezeguet sul gradino più alto del podio, aveva già 35 anni, molte praterie alle spalle e giocava nel Piacenza: i suoi gol non furono sufficienti ad evitare la retrocessione in Serie B. La beffa, nei pertugi della gloria. Stesso destino perdente di Igor Protti, capocannoniere ex aequo con Beppe Signori (tre titoli anche per lui, in anni in cui la Lazio non frequentava il red carpet) nel 1996. Protti quel’anno segnò 24 reti, ma il Bari retrocesse in B. Nell’eletta schiera di campioni, gli infiltrati appaiono e scompaiono nel breve volgere di una stagione. Il caso più emblematico del dopoguerra è quello di Alberto Orlando, re del gol nel 1965 - alla pari di Sandrino Mazzola con la maglia della Fiorentina: il centravanti andò a segno 17 volte. Un anno vissuto sulla cresta dell’onda, per poi adagiarsi alla mediocrità. Immobile - rispetto a Orlando - ha ben altra caratura tecnica, ma entrambi - ahiloro - galleggiano nello stagno dove i gol si contano col pallottoliere, ma alla fine i conti (per lo scudetto) non tornano mai.

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