martedì 4 febbraio 2025
Il cantante e autore in gara a Sanremo: «Canto l'emigrazione dal Sud, la nostalgia della mia infanzia fatta di valori semplici e le vite spezzate di tanti giovani di periferia»
Rocco Hunt, 30 anni, in gara a Sanremo con "Mile vote ancora"

Rocco Hunt, 30 anni, in gara a Sanremo con "Mile vote ancora" - Foto Rh Cabona

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Dalla periferia di Salerno ai trionfi in Italia ed Europa tra pop e rap, sempre con uno sguardo positivo, è tempo di tornare all’Ariston per Rocco Hunt. L’artista oggi trentenne sarà in gara al Festival di Sanremo 2025 con Mille vote ancora, un brano che unisce urban e melodia, lingua italiana e napoletana, un testo di mancanze e denuncia sociale, con sonorità da rap mediterraneo (Epic records / Sony Music). L'artista torna sul palco dell’Ariston per la terza volta dopo aver trionfato nel 2014 nella sezione “Nuove proposte” con il brano Nu juorno buono e aver ottenuto la Top10 nel 2016 nella sezione Campioni con il brano Wake Up. Nella serata delle cover duetterà con Clementino sul brano Yes i know my way di Pino Daniele. Rocco Pagliarulo, questo il vero nome, forte di 40 dischi di platino e autore di successo per tante star italiane, si racconta fra i successi e l’amore per la famiglia e la sua terra.

Rocco Hunt, la prima volta che ci siamo incontrati a Sanremo quando aveva 19 anni ci disse che era un fan di “Popotus”, il giornale per bambini di Avvenire, se lo ricorda?

«Certo, ed è vero, ero un fan di quel bellissimo giornalino. La maestra delle elementari ci aveva consigliato di fare l’abbonamento quando avevo 9 anni. E l’ho letto sempre da piccolo».

Lo legge anche suo figlio Giovanni, che ha sette anni?

«E’ probabile, sabato ha iniziato catechismo e frequenta l’oratorio, quindi lì lo troverà di sicuro. Sto cercando di dargli una educazione con alla base dei valori con i quali sono cresciuto io, di bilanciare la contemporaneità con un po’ di educazione tradizionale. L’oratorio lo avvicina a giocare con gli amici e ad avere una aggregazione vera piuttosto che stare attaccati al cellulare».

Valori che si trovano anche in molte sue canzoni, che hanno sempre uno sguardo positivo, anche quando è critico, sulla vita.

«Questa positività è sempre stata il mio marchio di fabbrica. E da quando sono diventato papà il senso di responsabilità è cresciuto sempre più. Essere un papà influisce tanto. Sono stato un papà giovane ma mi sono sentito fortunato perché me lo potevo permettere. Non tutti ne hanno le possibilità, ma ognuno arriva a questa maturità ognuno al proprio tempo».

Il brano che porta a Sanremo “Mille vote ancora” propone un testo sociale a tutto ritmo: come riesce a unire questi due elementi?

«C’è all’interno un felice incontro fra testo, melodia e ritmo. Ho usato anche i mandolini che fanno passare in maniera molto musicale concetti molto importanti, se no ne sarebbe uscita una paternale. La mia paura era che il ritmo forte la facesse passare come una delle mie canzoni leggere estive, come i singoli che negli ultimi anni mi hanno dato tanto successo. Invece credo che valorizzi il testo che parla di nostalgia dell’infanzia nella mia terra, dei valori semplici con cui sono cresciuto, ma anche dei problemi che oggi ci sono nelle periferie».

Rocco Hunt desidera tornare al rap più impegnato delle sue origini?

«Questa canzone va a tracciare la linea di un nuovo percorso. Che si riallaccia a quello che facevo da ragazzo, non a caso a novembre ho pubblicato dopo 13 anni Spiraglio di periferia, un mix tape dei brani che avevo registrato a 15 anni e mai pubblicato. E’ un punto di ripartenza, per mostrare alle nuove generazioni chi fossi. Mille vote ancora ha le sfaccettature del rap, mantiene una coerenza che si vedrà nel mio prossimo album che uscirà in primavera. Voglio raccontare la società che mi circonda, i valori che ho e che mi rappresentano, i disagi della nostalgia, i momenti belli che vivo».

Qual è stata la molla del cambiamento?

«Quest’anno ho compiuto 30 anni, ho un po’ più di maturità, ho voglia di andare a riprendere quei sapori mediterranei urban e rap che c’erano primi album alle mie radici, al stesso tempo mostrandone l’evoluzione che ho avuto. Restando fedele a me stesso, alla mia musica e alla mia identità. E’ una scelta coraggiosa presentare a Sanremo dopo 9 anni una canzone lontana dalle cose ballabili che mi hanno fatto tanto conoscere al grande pubblico italiano ed europeo. Vorrei mostrare al Festival cosa realmente so scrivere».

Quindi lei cosa ci farà ascoltare all’Ariston?

«Il tema è la nostalgia che si prova a dover lasciare la propria terra per trovare un futuro. E’ successo a me di lasciare Salerno per Milano come a tanti ragazzi del Sud, succede a tanti cervelli in fuga dall’Italia o ai migranti che cercano una vita migliore da noi. Canto le cose che rimpiango: l’odore del caffè la mattina a casa che in epoca moderna non si sente più, il giocare spensierati sotto casa con gli amici, il citofonare per farli scendere in strada. Racconto le cose belle, ma anche le cose brutte, gli amici che non ci sono più scomparsi prima del tempo, altri che fatto scelte sbagliate…».

Tema purtroppo attuale, le scrive di una terra “dove ancora si muore per niente / a vent’an sti figlie anna a capi / sta guerra addà finì”.

«E’ un consiglio che do da fratello più grande ai più piccolini che saranno gli uomini del futuro. Sottovalutiamo il potere dei testi sui ragazzi: a noi cantanti loro danno retta più che alle istituzioni, ai genitori e alla scuola. Senza diventare dei professori di scuola, vorrei dire loro di valorizzare la vita, che i problemi che abbiamo da ragazzi, poi ci sembreranno delle banalità. Che la vita è un bene prezioso, non va buttato all’aria per una lite futile. C’è una corsa alle armi che ha creato una mattanza nella mia terra, ogni giorno c’è un accoltellamento. Da padre sono molto preoccupato».

A proposito di responsabilità, cosa ne pensa della polemica sui testi della trap violenti o sessisti?

«Prima di giudicare un testo bisogna immergersi nell’immaginario del genere. Anche negli anni 70 c’è stato il boom del rock che in molti casi inneggiava alla droga, ma non è che siano usciti tutti drogati. Per me è importante avere un controllo su ciò che ascoltano figli, ma bisogna ammettere che l’educazione dei figli parte da noi. Quando uno ha una educazione forte e dei genitori presenti la canzone ha un peso relativo».

Quali sono i valori che l’hanno aiutata nella sua crescita?

«Io sono fortunato, ho i valori forti della mia famiglia e un rapporto importante coi miei genitori. Forte è l’esempio di mio padre che non ha mai lasciato il lavoro e l’umiltà di mia mamma. Da ragazzo vedevo il mondo fatato della musica, ma dall’altro quello del lavoro. Io per fortuna non ho mai avuto il distacco dalla realtà, tuttora chiedo a papà perché si svegli all’alba a fare lo spazzino. Mi risponde che lo fa per dignità e per dare un esempio a me e ai miei due fratelli, un esempio da tramandare ai miei figli. E’ il mio modo di essere, se cambio tradisco anche la mia famiglia. Se non hai i valori che ti difendono, è facile cadere nella fragilità».

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