domenica 23 febbraio 2020
Il cannoniere più prolifico di sempre della Serie A e della Nazionale ora in prima linea nel sociale: «Ciò che oggi dai un giorno riceverai... Io, partito dall’oratorio, devo tutto alla mia famiglia»
Antonello Riva, oggi 57enne, con la maglia di Cantù di cui è stato bandiera e trascinatore

Antonello Riva, oggi 57enne, con la maglia di Cantù di cui è stato bandiera e trascinatore - Omega /Leonetti

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Quattordicimila-trecentonovantasette. Sono tanti già solo nel pronunciarli i punti segnati in Serie A dal più grande “cecchino” di tutti i tempi del nostro massimo campionato. Il Superman italiano dei canestri non ha bisogno di presentazioni: Antonello Riva, il leggendario Nembo Kid, ha scritto il proprio nome nel libro dei record e a lungo ci resterà. Non solo a livello di club ma anche in Nazionale di cui è ancora principe dei bomber con 3786 punti, quasi mille in più del secondo marcatore di sempre, il monumentale Dino Meneghin. Sono numeri che bastano da soli a spiegare l’epopea del fenomeno di Rovagnate (Lecco), il ragazzino che dall’oratorio di una piccola realtà ha conquistato i parquet più importanti della palla a spicchi. Storica bandiera di Cantù, con i brianzoli ha vinto negli anni Ottanta 1 scudetto, due Coppe dei Campioni, tre Coppe delle Coppe, la Coppa Intercontinentale. Ma nella sua prestigiosa bacheca c’è anche la Coppa Korac vinta con Milano, una delle tappe insieme a Pesaro e Gorizia della sua infinita carriera chiusa a 42 anni a Rieti, club in cui ha avuto come compagno di squadra anche suo figlio Ivan. Ma non si possono certo dimenticare i trionfi con la Nazionale: l’oro agli Europei del 1983 e l’argento in quelli del 1991. Suo anche il record di marcature in una partita con la maglia azzurra: 46 punti nella vittoria contro la Svizzera nel 1987. Una vita nella pallacanestro, sui parquet e poi per qualche anno anche da dirigente, prima di dedicarsi completamente oggi, a 57 anni, al suo asso nella manica, la famiglia. Oltre che a un impegno sociale sempre più intenso: ieri era a Treviso per l’Old Star Game, la partita tra i miti degli anni passati diventato anche un importante appuntamento benefico: «È sempre bello rivedere amici e compagni di tante battaglie. Da sei anni sono ormai fuori dal basket ma continuo a seguirlo sempre con la stessa passione».
Le piace questo campionato?
Sì, sarà una bella sfida per lo scudetto, perché ci sono più pretendenti. Anche Venezia che non mi aspettavo vincesse la Coppa Italia, si vede che hanno una società forte che ha dato fiducia al tecnico nonostante le difficoltà iniziali. Poi certo ci saranno Virtus Bologna e Milano, anche se perfino un coach come Messina sta pagando il doppio impegno campionato-Eurolega. Ma attenzione anche a Brindisi e Sassari.
La Nazionale di Sacchetti quest’anno proverà a centrare il sogno olimpico.
Abbiamo poche possibilità. Sarà molto dura andare a vincere in casa della Serbia. Però Sacchetti è l’uomo giusto. Il nostro livello è quello visto ai Mondiali, ai miei tempi forse era più facile, oggi in Europa ci sono una decina di nazioni al nostro livello, allora erano solo un paio quelle imbattibili.
Di fatto i trionfi della “sua” Nazionale sembrano oggi irraggiungibili.
Ci sono diversi fattori. Abbiamo un problema tecnico, manca un Dino Meneghin sotto canestro, non abbiamo lunghi di peso. Ma soprattutto sono pochi gli italiani abituati a giocare nelle competizioni internazionali. Gli spazi sono sempre più ristretti: in Serie A abbiamo quintetti base con cinque stranieri. Io farei come in Russia: imporrei due italiani tra i titolari obbligatoriamente. E poi farei un vero investimento sui vivai. Ci vorrebbe un progetto federale per un reclutamento capillare già nelle scuole.
Lei invece fu scovato all’oratorio, per un trasferimento sui generis...
A 14 anni fui acquistato da Cantù in cambio di un pulmino e un set di palloni, che per una piccola società come Rovagnate era anche tanto... Mi piacevano un sacco i pomeriggi all’oratorio coi coetanei. Ed era diventata magnetica la sensazione del pallone che entrava nella retina di quel vecchio canestro, col tabellone di legno, in un campetto pieno di buche. Mi fermavo spesso e a lungo a tirare da solo...
Da lì una carriera costellata di record per canestri realizzati.
Ma il basket è uno sport di squadra, i primati personali contano fino a un certo punto. Piuttosto il fatto di avere 17 punti di media considerando anche le partite in cui non sono entrato per infortunio o in panchina, dimostrano solo il mio modo di vivere la pallacanestro con serietà e massimo impegno.
Non passò inosservato nemmeno ai talent scout della Nba.
Sì, nel 1984 disputai le Olimpiadi e fui votato nel miglior quintetto base con un certo Michael Jordan. Dopo quei Giochi fui chiamato da Golden State. Ma per le norme di allora se andavi a giocare in Nba non potevi giocare più in Nazionale e addirittura se tornavi in Italia eri considerato straniero. Già ero molto indeciso, poi mi infortunai e non ci pensai più.
La chiamarono “Nembo Kid”...
Fu il telecronista Aldo Giordani ad affibbiarmi questo soprannome che mi piacque subito. Però nella vita di tutti i giorni mi sento una persona “normale”, solo fortunato per quel che ho avuto.
Qual è stato il giorno più emozionante della sua vita?
In carriera la conquista della Coppa dei Campioni che Cantù non aveva mai vinto. Fuori dal campo la nascita dei miei due nipotini. Sono un felice nonno bis, non bisnonno... Ho provato una gioia indescrivibile alla loro nascita. Quando sono nati i miei due figli in fondo avevo vent’anni ed ero nel pieno della carriera, a volte passavano due mesi senza vederli. Oggi invece me la sto godendo.
Con la sua famiglia oggi condivide anche l’attività lavorativa
Sì, diffondiamo prodotti del benessere con il passaparola. La famiglia è stata sempre la mia valvola di sicurezza: mi rigenerava nei momenti di sconforto, infortuni o sconfitte, e mi permetteva di rimanere con i piedi per terra dopo grandi gioie. Mia moglie è una super motivatrice. È stata una fortuna esserci sposati giovanissimi: io 21enne e lei 19enne. Amiamo entrambi la vita familiare, stare a casa guardare magari un buon film... Il matrimonio ha facilitato la mia vita di atleta.
Con suo figlio ha anche giocato assieme.
Abbiamo scoperto giocando insieme in Serie B che mai era successo padre e figlio compagni di squadra a questo livello. Per esempio i Meneghin sono stati avversari in Serie A1. Noi invece abbiamo vinto un campionato insieme, e l’abbraccio dopo l’ultima partita con mio figlio mi ha dato la stessa emozione della Coppa dei Campioni...
Oggi è impegnato in tante attività a scopo benefico.
Faccio parte anche della Nazionale Basket Artisti e in questo periodo con Alberto Cova stiamo aiutando un’associazione che opera in Africa. Aiutare il prossimo per quel che posso è conseguenza della mia fede: penso che quello che tu dai, un giorno riceverai. E regalare anche solo un’ora di spensieratezza a persone che vivono un momento difficile è una delle soddisfazioni più grandi che un uomo possa provare.

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