mercoledì 1 febbraio 2023
Lo storico Giorgio Campanini difende la validità del progetto del pensatore francese, spesso frainteso in chiave politica. E pubblica testi inediti sui rapporti con La Pira
Jacques Maritain (1882–1973)

Jacques Maritain (1882–1973) - Istituto Jacques Maritain

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Cinquant’anni di studi dedicati al pensiero francese novecentesco di ispirazione cattolica hanno fatto sì che Giorgio Campanini ne sia divenuto uno dei più competenti conoscitori. Egli si è fruttuosamente soffermato in particolare sulla figura e l’opera di Emmanuel Mounier (1905–1950) e di Jacques Maritain (1882–1973). E non per caso proprio quest’ultimo è il protagonista di un suo recente interessante lavoro ( Jacques Maritain. Per un nuovo umanesimo, Studium, pagine 168, euro 18,00), nel quale sono raccolti alcuni interventi che, fra i tanti, il nostro autore ha ritenuto meritevoli di essere riproposti all’attenzione dei lettori, in specie di coloro che si sono appassionati alle questioni relative alla ricezione del pensiero maritainiano in Italia, soprattutto nell’ambito della riflessione e dell’azione politica. Anche gli scritti inediti presenti nel libro, che testimoniano il rapporto intercorso tra Maritain e Giorgio La Pira, dimostrano chiaramente l’importanza della dimensione politica del maritainismo italiano. Campanini esamina con grande cura tale dimensione, avvertendo che il “consumo politico” del pensatore francese non sempre è stato fedele alle sue più genuine intenzioni. All’indomani della pubblicazione di Umanesimo integrale, l’opera più nota di Maritain, al centro delle discussioni e degli approfondimenti si collocò la meditazione sul rapporto tra fede e storia, all’interno della quale occupava un rilievo del tutto speciale il tema della “nuova cristianità”. Si trattava di una questione non certo facile, come fa notare Campanini: «La “nuova cristianità” era una società che recava l’impronta del Vangelo nelle sue strutture o piuttosto nelle coscienze degli uomini che la componevano? Entrambe le prospettive sono presenti in Maritain e non sempre sono fra loro del tutto conciliabili». Il filosofo transalpino – annota l’autore - comprese che il modello della cristianità medievale, per quanto non privo di meriti storici, era ormai superato e non più proponibile. Egli pensò allora alla realizzazione di una “cristianità secolare”, che autorevoli studiosi hanno giudicato una realtà antinomica e contraddittoria. Campanini ritiene invece che il progetto maritainiano avesse una sua validità: «Maritain – egli scrive a questo proposito – aveva intuito che il “regno di Dio” poteva essere realizzato, o meglio preparato, attraverso la via “sacrale” dell’azione propriamente evangelizzatrice della Chiesa e quella “secolare” dell’impegno dei credenti nella storia». Come è noto, in merito a queste teorie si svilupparono innumerevoli dibattiti che fecero registrare polemiche anche piuttosto aspre, che si allargarono sino a coinvolgere la più generale questione del ruolo e del compito proprio dei laici. Inoltre, sul piano più squisitamente politico, collegata con le problematiche poco sopra accennate, si poneva la questione dell’opportunità o meno di dar vita a un partito dei cattolici. E, nel caso che tale formazione politica avesse visto la luce, quale avrebbe dovuto essere il suo rapporto con la Chiesa e il suo magistero? È nel contesto di tali questioni che Campanini situa la sua lettura di Maritain: i tempi sono indubbiamente cambiati, in molti casi in modo radicale, ma egli è convinto che tornare a leggere i testi del filosofo francese sia cosa sicuramente utile.

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