domenica 15 novembre 2009
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Akbar Ganji: «Nei suoi libri la filosofia delle religioni s’intreccia con la sociologia delle religioni. È d’accordo con questa lettura? E in questo caso, quale delle due è prevalente? La filosofia delle religioni o la sociologia delle religioni?» Charles Taylor: «Nessuna delle due, credo, e anzi dovremmo aggiungere un terzo tipo di discorso, quello storico. Ma penso che, in fin dei conti, ci sia un solo discorso, l’unico adeguato. Così come la sociologia separata dalla storia non può davvero affrontare questioni importanti, allo stesso modo non si può fare della buona sociologia storica senza tenere in considerazione questioni filosofiche. E così bisogna fare se si vuole sviluppare una teoria circa l’evoluzione della secolarizzazione, che significa diverse cose. Significa un cambiamento della posizione occupata dalla religione all’interno della società e anche, ad un certo livello, un arretramento della religione intesa come fede e come pratica. Accade che la gente confonda queste due cose e quindi si crea confusione circa il loro significato. Entrambi questi tipi di secolarizzazione hanno avuto luogo in Occidente. Il primo, il cambiamento della posizione della religione nella società, è stato generalizzato. Ma il secondo si è svolto in modi molto, molto diversi. Intendo dire che negli Stati Uniti, virtualmente, non ha proprio avuto luogo, mentre in Svezia o nella Germania dell’Est c’è stato un arretramento molto significativo, e poi c’è tutto ciò che sta in mezzo. Non puoi riuscire ad afferrare questo movimento senza averne prima capito la motivazione umana: quale sia la motivazione umana nella religione. Cosa spinge gli esseri umani ad una vita religiosa? Credo che la motivazione sia molto diversa a seconda del periodo storico. C’è il rischio di non afferrare questo punto perché le religioni più importanti della nostra epoca, come l’islam e il cristianesimo, sono molto vicine l’una all’altra per quanto riguarda le loro motivazioni principali. Ma se allarghiamo l’orizzonte all’induismo, al buddismo, alle religioni più antiche, ci rendiamo conto che esiste proprio una differenza enorme. Ecco perché dico che non è possibile scrivere una storia universale della secolarizzazione. Probabilmente anche volerne scrivere una limitandosi all’Occidente sarebbe un progetto troppo ambizioso. Il contributo della filosofia a mio parere deve rimanere centrale nello studio della storia e della sociologia. Disponendo di un punto di vista alternativo si può elaborare una diversa teoria dell’intero percorso di sviluppo (della secolarizzazione). La teoria principale – quella che io contesto – sostiene l’esistenza di un rapporto lineare tra secolarizzazione e modernità. Al progresso dell’una corrisponde il progresso dell’altra. Una semplice relazione funzionale. Ora, in base alla mia teoria di fondo, lei si aspetterà qualcosa di diverso. Si aspetterà che le dica che in effetti determinati sviluppi della modernità destabilizzerebbero le forme di vita religiosa più antiche. Mi riferisco per esempio all’idea di una monarchia divina in un universo divino, come ad esempio quella francese, che non può sopravvivere a certi cambiamenti sociali introdotti dalla modernità. Ma se il rapporto che l’uomo ha con la religione e con Dio non è così superficiale come ritiene la teoria dominante, allora in molti casi la religione dovrebbe ricomporsi in forme rinnovate più adatte alla nuova situazione. Ed è proprio ciò che secondo me è accaduto in Occidente». Akbar Ganji: «Lei sostiene che dovremmo adottare un punto di vista storico, ma la storia ci dice che tutti gli Stati democratici sono laici, in quanto la sfera religiosa e quella statale sono separate. Empiricamente parlando, se prendiamo in esame le democrazie possiamo constatare che esiste una separazione tra religione e Stato. Questo potrebbe significare tre cose. In primo luogo, che lo Stato non trae la sua legittimità dalla religione. In secondo luogo, che lo Stato non promulga leggi ispirate dalla religione. Terzo, che il clero non risponde a un diritto particolare né lo amministra. Tutti gli stati democratici condividono queste tre caratteristiche ... Lei sostiene che il primo principio continua a valere, mentre gli altri due si sono indeboliti; quali esempi potrebbe fare di Stati democratici moderni che traggono la loro legittimazione da un’origine divina, come Dio?». Charles Taylor: «Prendiamo John Locke. Locke crede che l’uomo debba seguire la legge di natura e la legge di natura afferma che l’unica autorità legittima è quella che deriva dal contratto sociale. Ma da dove deriva la legge di natura? Locke è molto chiaro. Dio ha posto l’uomo nello stato di natura in cui vige la legge naturale. È per volontà di Dio che, secondo Locke, abbiamo un contratto sociale. I fondatori della Repubblica americana scrissero una Dichiarazione d’indipendenza in cui dicevano di "ritenere per autoevidenti le seguenti Verità: che tutti gli uomini sono creati uguali, e che sono dotati dal loro creatore di alcuni diritti inalienabili". Ci sono dunque due modi in cui un regime democratico può trarre la sua legittimità da Dio: secondo il primo l’attuale formula dei regimi democratici è un dono di Dio; secondo l’altro, alcune persone appartenenti al clero hanno ricevuto direttamente da Dio il mandato di governare la società. E in un certo senso la storia occidentale è un conflitto tra questi due modi di intendere 1’autorità di derivazione divina». Akbar Ganji: «Che spiegazione ci può dare del fondamentalismo cattolico, di quello ebraico e di quello musulmano?». Charles Taylor: «Credo che le cause siano diverse, ma c’è un punto sostanzialmente comune: non cessa mai di riproporsi. Prima, parlando della mia teoria generale sulla secolarizzazione, dicevo che il progresso della modernità destabilizza le forme più antiche di religione e che quest’ultima debba essere ricomposta, riformata. Si dà il caso che sia possibile effettuare questa riforma sfruttando un sentimento di minaccia. Qualcuno ci sta privando della nostra religione tradizionale e dobbiamo reagire. Un modo per reagire consiste nel dire che occorre tornare alle origini e ricostruire il movimento salafita. E allora subentra un pathos incredibile, perché non si riesce a ricostituire un movimento del genere: è impossibile. Prenda, ad esempio, il caso dei protestanti fondamentalisti americani. Il primo gruppo ad assumere questo nome e a dargli ampia diffusione è stato un movimento che è tornato alle radici del protestantesimo e cioè all’idea che la Bibbia sia l’unica fonte di verità. Ma poi si sono dovuti confrontare con la sfida posta dalle varie scienze moderne, per esempio circa il resoconto biblico della creazione. La risposta è stata l’affermazione della verità letterale dell’intera Bibbia. E questa è stata una novità nella storia del cristianesimo, perché richiedeva una netta distinzione tra verità della lettera, verità scientifica e verità metaforica. Questa distinzione si è fatta più marcata solo con l’avvento della scienza moderna occidentale». Akbar Ganji: «Nei suoi scritti lei ha affrontato il tema della modernità cattolica. Cos’è la modernità cattolica?». Charley Taylor: «Il fatto è che uso il termine modernità in modo diverso dal solito. Non si tratta di una particolare forma di modernità. È piuttosto il modo in cui i cattolici dovrebbero interpretare il loro ruolo e la loro posizione nella modernità. E nell’uso che ho fatto di questo termine c’era anche, in un certo senso, un tentativo di relativizzare la modernità. La nozione fondamentale è che il cristianesimo – ma la stessa cosa potrebbe essere detta dell’islam – è una religione che è stata ospitata da diverse culture e continuerà a vivere in molte altre culture e dovrà sempre trovare il modo di ricreare una versione autentica di sé all’interno di queste culture. La mia idea è che i cattolici guardino alla loro relazione con la modernità occidentale in questa luce. Questa è una cultura tra le tante che l’uomo ha elaborato ed elaborerà, e dobbiamo contrastare la tendenza a pensare che la cultura della modernità sia nettamente superiore rispetto a qualunque altra cosa sia stata elaborata nel corso della storia. Oppure, al contrario, che sia nettamente inferiore perché con essa è andata perduta – come pensano alcuni – la fede che caratterizzava il Medioevo. Invece di guardare ad essa come una realtà assoluta, invece di dire "o è questa cosa o è quella", dobbiamo considerarla nella prospettiva di ricreare in essa una fede diversa, senza che questa debba essere necessariamente una cultura superiore ad altre. E dobbiamo sforzarci di provare un sentimento di appartenenza al trans-nazionale e al trans-temporale». Akbar Ganji: «Riesce ad immaginare una modernità nel mondo islamico?». Charles Taylor: «Certo. Riesco ad immaginarne più d’una perché ci sono diverse società islamiche. E ce ne sarà una in grado di instaurare un autentico dialogo e interscambio con la modernità in cui si trova inserita, in India piuttosto che in Europa. A meno che non roviniamo tutto, cosa di cui saremmo capaci, vedremo svilupparsi in occidente un islam occidentale, cioè un islam che ripensa se stesso in un contesto occidentale. Conosco già molte persone che si stanno impegnando su questa strada, anche se non tutte si definiscono coinvolte in questo progetto. Possiamo anche far naufragare questa impresa. Se continua il terrificante conflitto tra musulmani che tentano di attaccare l’Occidente e occidentali che rispondono con le sciocchezze anti-islamiche di cui abbiamo recentemente avuto qualche esempio, rischiamo di schiacciare lo spazio in cui potrebbe crescere un islam europeo e occidentale. Ma dobbiamo sperare che arrivi il momento di una modernità islamica, perché è il suo sviluppo naturale».
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