giovedì 16 giugno 2016
Un ospedale italiano nel cuore del Reich
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Tra i molti episodi di eroica abnegazione di nostri connazionali, dentro il vortice apocalittico della Seconda guerra mondiale, ve n’è uno rimasto nascosto fino ad oggi. Si tratta della vicenda, pochissimo conosciuta, dell’ospedale per italiani in Germania, che operò, sotto i bombardamenti alleati, nella zona di Monaco, nell’ultima parte del conflitto. Un retroscena che torna alla luce grazie a un documento che risulta inedito: una relazione su quegli accadimenti, redatta da suor Egle Simonetta, la religiosa che prestò servizio, come capogruppo delle infermiere della Croce Rossa, nell’infuriare degli eventi bellici. Un racconto datato luglio 1945 e scritto in Italia, a guerra finita, dopo il rientro del personale medico e ausiliario che prestò soccorso a tutte le categorie di italiani che versavano in condizioni tali da rendere indispensabile il ricovero in una idonea struttura sanitaria. Il primo aspetto da tener presente, è che, pur nelle drammatiche ed estreme condizioni storico-ambientali in cui si trovarono ad operare – e cioè nella Germania nazionalsocialista ridotta ormai a una belva ferita a morte dai raid aerei angloamericani e dall’avanzata delle truppe di terra nemiche nei territori del Reich –, i coraggiosi animatori dell’ospedale per italiani non discriminarono tra le varie condizioni in cui si trovavano i feriti: offrirono infatti ricovero e cure, non soltanto ai militari connazionali che avevano aderito alla Repubblica Sociale di Mussolini (tra questi, ricordiamo i molti soldati che svolgevano periodi di addestramento nel Reich), ma anche ai nostri internati militari. Non solo. Tra i destinatari dei soccorsi ospedalieri, vi furono anche reclusi dei campi di concentramento appartenenti ad altre nazionalità: belgi, olandesi, francesi, inglesi. Un pugno di suore – oltre a Egle Simonetta, del Comitato di Milano della Cri, anche le consorelle Silvia Dal Bo, Iva Giuliani, Teresa Salvi, Ida Maria Pestalozza e poche altre – rese possibile un miracolo umanitario nel cuore di una nazione infetta dal virus totalitario che conduceva al disprezzo della vita umana, specie quella sofferente e situata ai gradini più bassi della cinica piramide valoriale del nazismo. Guidate da un ufficiale medico – prima il capitano professor Soli, poi il capitano Cova – le crocerossine italiane poterono così, tra il maggio del 1944 e il giugno dell’anno successivo, assistere 1.800 malati, per la quasi totalità fatti rimpatriare in Italia. Il nosocomio, inizialmente, venne allestito nel centro di Monaco, nei locali del Maximiliansgymnasium, trasformato già nel corso del conflitto in ospedale militare. A fronte di un numero di posti letto disponibili che si aggirava sui 120, i ricoverati effettivi raggiunsero anche la cifra ben superiore di 190 unità.Le suore italiane non si limitarono peraltro a prestare servizio nei vari settori della struttura (reparto di chirurgia, sala di medicazione, unità di medicina, dispensa e sala vitto), ma organizzarono anche un servizio di raccolta e di invio della posta in Italia, attraverso i pazienti dimessi. Ma vi è di più. Le religiose, per alleviare le sofferenze morali dei ricoverati, promossero manifestazioni sportive e culturali, pur nei ristretti limiti concessi dalle condizioni di emergenza in cui si trovavano ad operare. Scrive suor Simonetta nel suo rapporto: «Il giorno 15 novembre 1944 abbiamo per la prima volta al nostro ospedale il cappellano militare padre Renato Lanz (gesuita, ndr), in servizio presso il Corpo italiano aggregato alla Luftwaffe, il quale, venuto a conoscenza dell’esistenza di un ospedale per italiani sprovvisto di un proprio cappellano, viene a offrirci l’assistenza religiosa, per quel che glielo consente il servizio ai vari reparti. Fin qui infatti a tale assistenza aveva provveduto saltuariamente il cappellano padre Zanatta, impegnatissimo presso i vari lager, e il parroco tedesco della Chiesa di Sant’Orsola, situata nelle vicinanze dell’ospedale».Il 30 novembre, parte per l’Italia un grosso scaglione di 90 malati, inviati per la prosecuzione della degenza all’ospedale militare di Mirano, presso Venezia. Verso la fine dell’anno, si intensificano i bombardamenti sulle città tedesche. Non viene risparmiato neppure il Maximiliansgymnasium, il quale viene sventrato dalle bombe il 7 gennaio 1945. Suore e personale medico si prodigano per trasferire le corsie negli scantinati della scuola monacense. Ma si tratta di una soluzione tampone, perché già il 16 gennaio i padiglioni tornano a operare in un’altra sede, nel quartiere periferico di Zinneberg, presso l’ospedale tedesco. Il 20 marzo successivo si rende però necessario un nuovo trasloco, questa volta alla Luitpoldschule di Bad Aibling, a dieci chilometri da Rosenheim. L’attrezzatura ospedaliera può essere soltanto in parte recuperata e ripristinata, in compenso viene messa in funzione una cucina all’italiana. Il giorno di Pasqua, padre Lanz celebra la liturgia nei locali del risorto ospedale. Si giunge così rapidamente ai giorni della caduta di Hitler e del suo regime. Ecco il racconto di quanto accade, ancora dalle parole di suor Simonetta: «Il 29 aprile 1945, in previsione dell’imminente occupazione, vengono aperti i magazzini militari e concessi rifornimenti agli ospedali. Anche noi ci riforniamo abbondantemente. Coi viveri che abbiamo ora a disposizione è possibile istituire un centro di assistenza per numerosissimi italiani che tentano di raggiungere a piedi il Brennero: essi vengono infatti ricoverati per la notte e riforniti di viveri. È possibile anche aiutare qualche italiano fatto prigioniero coi tedeschi e concentrato in un campo poco distante da noi dove imperversano tifo e fame». Prosegue la religiosa: «Il 2 maggio le prime truppe operanti americane entrano in Bad Aibling. Il giorno 4 il capitano direttore è invitato al Comando americano per riferire sulla situazione dell’ospedale e in seguito alla sua relazione siamo considerati  liberi, ma ci viene per ora negato il rimpatrio. Più tardi subiamo inchieste che hanno per noi esito favorevole». Non è priva di significato la circostanza che gli Alleati approvino, ex post, l’operato degli animatori dell’ospedale per italiani. Lo scioglimento del nosocomio, e la partenza del suo personale, vengono fissati per il 9 giugno. Annota la capogruppo delle suore crocerossine: «Il giorno precedente la partenza distribuiamo ai nostri pazienti una discreta quantità di viveri di riserva. Il rimanente viene consegnato al presidente dell’Associazione di comunisti in Coolbelmour (sorta in un campo di ex prigionieri politici). Il 9 mattina partiamo da Bad Aibling: tutti ben sistemati in ambulanze o in autobus messi a disposizione dal Comando americano. La sera stessa siamo a Bolzano: i dieci pazienti gravi vengono consegnati all’infermeria del Centro di raccolta; gli altri malati passano la notte per terra sotto il cielo; e piove». L’incubo della guerra è ormai alle spalle.
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