domenica 17 luglio 2022
La storica del cristianesimo ha “captato” la quiete e le voci delle distese sabbiose in America e Israele: «L’esperienza di solitudine e concentrazione dei Padri nei primi secoli ha molto da dirci»
Kim Haines-Eitzen

Kim Haines-Eitzen - Cornell University

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Kim Haines-Eitzen, docente di cristianesimo e giudaismo delle origini alla Cornell University, vicino a New York, è la prima esperta della sua materia a registrare di persona i suoni dei deserti del Nord America e di Israele, mettendoli in rapporto con i testi dei padri del deserto del quarto, quinto e sesto secolo. Nel suo volume Sonorous Desert: what deep listening taught early christian monks. And what it can teach us (Deserti sonori: che cosa ha insegnato l’ascolto profondo al cristianesimo delle origini e che cosa può insegnare a noi), pubblicato dalla Princeton University Press, a ogni capitolo corrisponde un codice a barre per ascoltare le registrazioni. «Mi sono accorta che, spesso, quando leggiamo i testi dei monaci cristiani delle origini, facciamo attenzione alla dimensione visuale, trascurando quella acustica, perché siamo pessimi ascoltatori. Ho cominciato a registrare i suoni del deserto proprio per imparare ad ascoltare, per scoprire questa dimensione, fatta di suoni e di silenzio, che era così importante per questi primi cristiani », racconta la professoressa. «Questo progetto è nato anche da motivazioni personali – prosegue –. Sono nata e cresciuta a Gerusalemme, in una famiglia di mennoniti praticanti, e sono stata tante volte nel deserto del Sinai da bambina. Le storie del Vangelo e della Bibbia fanno parte della mia dimensione spirituale. Dieci anni fa, quando ho cominciato questo progetto che ha dato vita al libro, ero occupatissima, tra l’insegnamento all’università e la cura dei miei due figli, Eli e Ben, di 12 e 8 anni. Come i monaci che stavo studiando provavo un profondissimo desiderio di solitudine e di silenzio. Ritornare nel deserto ha voluto dire ritrovare me stessa, poter fare una ricerca su un luogo al quale sono molto legata, sia personalmente che spiritualmente ». Lei ha impiegato parecchio tempo a imparare le tecniche di registrazione che ha poi usato nel deserto. Perché ha deciso che questi suoni erano così importanti? Ho fatto qualcosa di molto insolito e molti colleghi mi hanno chiesto se ho cercato di riprodurre quello che i padri del deserto sentivano. Non era questo il mio obiettivo. Quello che ho cercato di fare è di avviare una conversazione tra questi testi e il mondo nel quale viviamo. Ascoltare i suoni dell’oggi ci aiuta a capire quelli dei primi anni del cristianesimo purché sappiamo coltivare la capacità di fare silenzio e di ascoltare. Le registrazioni che ho fatto mi aiutano a capire meglio i testi dei padri del deserto. Il profondo desiderio di silenzio dei cristiani delle origini è motivato dalla loro ricerca di Dio? Sì. Penso che volessero raggiungere un’esperienza di unità con Dio che potesse trasformarli, ma volevano anche coltivare una capacità di attenzione e concentrazione. Per esempio ripetevano in continuazione passaggi delle Scritture per dirigere la loro mente verso una pratica continua di silenzio interno. Che importanza avevano i suoni del deserto per i monaci delle origini del cristianesimo? Li avvertivano di pericoli come l’arrivo di un esercito o di un animale pericoloso, ma li aiutavano anche a trovare mezzi di sopravvivenza importanti come l’acqua e la vegetazione. Il canto di un corvo poteva segnalare un ruscello e il muoversi delle canne la presenza di un’oasi. I monaci parlano, nei loro testi, del ruggito amichevole di una leone e si chiedono quali suoni devono ascoltare e quali devono trascurare. Che cos’era il silenzio per i primi monaci cristiani e come lo raggiungevano? I testi in greco antico, che raccontano la loro vita, dedicano molto spazio al concetto di silenzio che è una realtà molto più complicata dell’assenza di suoni. Il termine greco che viene usato, in questi scritti, è sinonimo di solitudine, come stato esistenziale, ma anche di assenza di parola. Stare in silenzio vuol dire ritirarsi nella propria cella. I primi monaci cristiani si interrogano anche su quanti rumori possono fare quando mangiano o lavorano perché stare in silenzio è indispensabile per raggiungere una consapevolezza della presenza di Dio. Il termine che indica il rumore, invece, è sinonimo di distrazione, interferenza, qualcosa che ti scuote, che ti disturba, che ti allontana dal tuo obiettivo. Per raggiungere questa intimità con Dio che viene favorita dal silenzio i monaci memorizzano e meditano su passaggi delle Scritture e dei salmi, su preghiere e su detti religiosi. Cercano anche di sfuggire ai suoni del mondo umano, ma non riescono. Qual è l’insegnamento, per noi contemporanei, di questa ricerca del silenzio? Viviamo in mondo molto rumoroso, pieno di distrazioni. Ci sono modi attraverso i quali possiamo imparare a rallentare, fare attenzione e generare calma nella nostra vita interiore, raggiungendo, così, un’esperienza del silenzio che ci ringiovanisce e ci fa bene. La pratica della mindfulness, la versione secolarizzata del tipo di meditazione cristiana praticata dai padri del deserto, è ormai diffusissima. È provato scientificamente che fa bene al cervello e viene prescritta come cura dai servizi sanitari americani e inglesi. Penso che sia così popolare perché viviamo così velocemente che abbiamo bisogno di rallentare. Per la prima volta, durante la pandemia, molti, in tutto il mondo, sono diventati consapevoli della dimensione del silenzio. In che modo il rapporto con il silenzio e i suoni è cambiato, dalle origini del cristianesimo fino ad oggi? Penso che la tensione tra la dimensione del silenzio e quella dei rumori sia stata amplificata. Il silenzio esterno è sempre più difficile da raggiungere. Il mondo nel quale viviamo è molto più rumoroso, rispetto a quello dei primi secoli del cristianesimo, ma, anche per noi, come per i padri del deserto, tutti questi suoni generano confusione e agitazione e hanno un impatto sul modo in cui viviamo. Ci sono, ormai, moltissimi studi medici e psicologici che provano che i rumori fanno male alla nostra salute fisica e mentale e, negli Stati Uniti, ci sono leggi che limitano il livello dei rumori.

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