sabato 30 aprile 2011
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Ai protagonisti del più grande incontro mancato della storia, quello tra socialisti e fascisti, è dedicato l’ottimo libro di Stefano Fabei - I neri e i rossi, Mursia, pagine 464, euro 22 - in cui vengono scandagliati i fondali oscuri dei tentativi di conciliazione che furono messi in atto, durante la Repubblica sociale italiana, tra l’autunno del ’43 e la primavera del ’45, dai "pontisti" delle due fazioni in lotta: i repubblichini moderati e gli antifascisti che tentavano di affrancarsi dall’egemonia comunista. Tutti gli sforzi compiuti dalle due parti per scongiurare il bagno di sangue della guerra civile (che diverrà invece una tragica realtà), culminano nelle trattative che Mussolini cercò di intavolare col gruppo dirigente del Partito socialista, per consegnare a esso l’eredità (e la continuità) delle istituzioni sociali della Rsi. Un traghettamento del fascismo di Salò sul terreno della legalità, della democrazia e della libertà, che non fu raggiunto per un combinato disposto di estremismi: da un lato, la tenace resistenza dei capi del Psi, in testa Sandro Pertini, ormai avvinto al Pci di Longo e Togliatti in un abbraccio mortale; dall’altro, l’intransigenza e il settarismo dei "duri e puri" della Rsi, capitanati da Alessandro Pavolini.Sullo sfondo si colloca la lettura in profondità di quel meticciato politico che credette fino all’ultimo nella possibilità di far incontrare socialismo e fascismo. È quella categoria di "socialfascisti" (termine in voga durante lo stalinismo) che cerca di salvare il salvabile dell’esperienza ventennale del fascismo e affida ai soggetti politici del postfascismo l’inveramento di ciò che a Salò non si è potuto pienamente realizzare: ci riferiamo alle leggi della socializzazione. La suggestione di questa lettura viene peraltro sottolineata, nella sua densa prefazione, da Giuseppe Parlato. E l’autore ci regala efficaci ritratti di quei personaggi "di frontiera", che disegnarono le tappe dell’auspicato incontro tra i "rossi" e i "neri".Uno di essi, per parte antifascista, è Corrado Bonfantini, comandante delle Brigate Matteotti e protagonista rimosso della Resistenza. Già comunista, Bonfantini fu radiato dal partito, in pieno clima staliniano, per «deviazionismo socialdemocratico». Subito dopo (e già su questo ci sarebbe da indagare), fu arrestato e inviato al confino. Liberato, grazie alla pressione svolta su Mussolini dal dottor Luigi Veratti, ex vicesindaco di Milano, passò dunque alla parte socialista del fronte di liberazione, ma su posizioni "eretiche". Sul versante opposto (ma fino a un certo punto) troviamo il giornalista Carlo Silvestri: un socialista mussoliniano, che fu spietato accusatore del Duce ai tempi del delitto Matteotti. Ebbene, proprio costui ebbe, a Salò, ben cinquanta incontri con Mussolini, nel tentativo di convincerlo a rilanciare il "sogno" di un fascismo socialista, vicino agli ideali e ai miti di quella rivoluzione sociale da entrambi vagheggiata ai tempi della loro comune militanza nel Psi. Il sasso nello stagno è stato lanciato. Ora si attende la discussione.
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