Paolo VI con il direttore di “Avvenire” Angelo Narducci in Vaticano per l’incontro con la redazione, il 27 novembre 1971 (Archivio fotografico Istituto Paolo VI di Brescia)
Il 4 dicembre del 1968 uscì nelle edicole il primo numero di “Avvenire”. La gestione del quotidiano, nel suo primo anno di vita, non fu facile: la tiratura iniziale contava 130 mila copie nei giorni feriali, raggiungendo le 160 mila nei giorni festivi, supportata da circa 52 mila abbonamenti. Il giornale, che doveva avere carattere nazionale, restava però ancora prevalentemente diffuso nel nord e nel centro della penisola, ricoprendo quasi esclusivamente le aree di diffusione delle due precedenti testate cattoliche, mentre più stentata sembrava la ricezione nel sud del Paese. Anche il Papa era informato di tali problemi ed era consapevole delle difficoltà economiche: la situazione del giornale cattolico era sempre tra i primi aspetti valutati e discussi nelle udienze concesse al segretario e al presidente della Cei. Proprio nel corso di un’udienza privata con il segretario della Conferenza episcopale italiana, mons. Andrea Pangrazio, il 27 febbraio del 1969, Paolo VI confermò «la parola d’ordine», che restava in proposito quella di «sostenere il quotidiano cattolico». E, nonostante la difficile situazione economica, il Pontefice raccomandava di «fare un grande sforzo per sostenere il giornale e incrementarne la diffusione». Informato da Pangrazio sul nuovo formato del quotidiano e sulla possibilità di impostare una capillare campagna di abbonamenti, Paolo VI ribadì l’importanza del giornale cattolico nazionale rilevando che «se si perde questa occasione la questione si chiude per un lungo periodo di anni».
Alla fine del 1969, a succedere a Valente nella direzione del quotidiano, fu chiamato, su suggerimento di mons. Franco Costa, Angelo Narducci, che avrebbe guidato il giornale per i successivi dieci anni. L’ impostazione e gestione di “Avvenire” furono dunque oggetto di un ampio memoriale predisposto dal presidente dell’Azione Cattolica, Vittorio Bachelet, (che era anche consigliere della società editrice, Nei), discusso in una riunione tenutasi presso la Segreteria di Stato il 25 novembre 1969 e presentato a Paolo VI. Si era infatti lungamente dibattuto se il nuovo quotidiano avrebbe dovuto essere un giornale di pura presenza «ideologica» – termine quest’ultimo che il presidente di Ac riteneva di dubbia esattezza – oppure un giornale «di opinione », cioè fortemente caratterizzato dall’impostazione culturale e religiosa ma bene informato sui fatti e le notizie, con speciale attenzione alla vita religiosa ed ecclesiale, sul modello de “L’Avvenire d’Italia”, alquanto rafforzato però sul versante dell’informazione. Per incarico del Papa, al quale erano stati riportati i contenuti e gli esiti della riunione, la Segreteria di Stato elaborò allora un documento che precisava la Linea del quotidiano dei cattolici italiani “Avvenire”. Nel testo, rivisto ed approvato personalmente da Paolo VI, erano esposti, alla luce dell’esperienza di quel primo anno di vita del giornale, quelli che sarebbero dovuti essere i criteri fondamentali d’impostazione e di orientamento di “Avvenire”. Per il quotidiano si suggeriva una formula che doveva essere intermedia tra quella del foglio puramente ideologico e quella del giornale di grande informazione. In tal modo si sarebbe tutelata la completezza dell’informazione, garantendo però una impostazione che doveva restare «formativa» oltre che informativa, «così da fare di “Avvenire” uno strumento di vera crescita spirituale di tutto il popolo di Dio».
Tra i vari punti definiti si riconosceva ad “Avvenire” un profilo che doveva continuare a essere nazionale, rimanendo strumento di dialogo all’interno della Chiesa e con il mondo. Ma era anche ritenuto «assolutamente necessario» che il giornale si mantenesse entro le linee della corretta interpretazione «della verità e dell’autentica e sana dottrina cattolica» nel rispetto «del- la sua completezza ed organicità, dei suoi valori immutabili, tradizionali e nuovi». Mentre l’informazione religiosa avrebbe dovuto essere completa il più possibile, dando prudentemente posto anche alle notizie eventualmente sgradevoli. Ad “Avvenire” si chiedeva, infine, di prendere posizione, nel rispetto della dottrina della Chiesa, ma in piena autonomia dalla gerarchia, «quando si tratta di valori che devono e possono essere difesi e sostenuti sulla base di motivazioni umane, morali, solide e profonde. A tale scopo si ha fiducia nel direttore e nel suo senso di responsabilità ». Anche i grandi temi della vita culturale, civile, sociale e politica sarebbero stati affrontati con coerenza di impegno cristiano, «e quindi con riferimento ad una essenziale scala di valori», tra i quali la libertà, la giustizia, la fraternità, la verità, la pace accompagnati però ad «una attenzione alla trasformazione della società (...), ai rischi di manipolazione della libertà e della stessa vita umana, ai pericoli dell’odio e della violenza intesi come mezzi risolutivi dei rapporti internazionali o sociali ». Da Paolo VI – sempre costantemente informato sul giornale anche grazie alla telefonata quotidiana del suo segretario, mons. Pasquale Macchi, al direttore Narducci – giunsero i più pressanti moniti ai vescovi affinché ad “Avvenire” non mancasse un adeguato sostegno. Il quotidiano, nelle intenzioni del direttore Narducci, doveva svolgere un «servizio all’uomo, a ogni uomo, a tutto l’uomo, per aiutarlo a capire la sua storia quotidiana secondo la visuale cristiana e per indicargli nella lettura degli avvenimenti una possibilità di soluzione che conduca la società a trasformarsi per consentire la realizzazione di quei valori scoperti come essenziali ad ogni uomo ». Pertanto il giornale avrebbe dovuto selezionare e giudicare le notizie secondo parametri differenti da quelli degli altri quotidiani, attraverso una informazione più obiettiva e tempestiva possibile, scegliendo avvenimenti degni di essere segnalati per la loro incidenza nella vita sociale ed ecclesiale. In campo culturale, mentre una dominante secolarizzazione rendeva sempre più irrilevante «il fatto religioso e cristiano », assolutizzando l’uomo nella sua azione creativa senza limiti, in totale indipendenza ed autonomia di comportamento, il giornale cattolico si proponeva di compiere una lettura «in difesa dell’uomo nella sua dimensione personale libera e irripetibile ».
In tal senso, Narducci proponeva di mettere in luce «quelle intuizioni e quelle affermazioni che contengono, anche in maniera inconscia un valore positivo di apertura verso Dio, di richiamo alla innegabile vocazione dell’uomo verso l’eterno ». Pertanto il sostegno che il direttore chiedeva ai vescovi italiani per “Avvenire” non doveva essere solo una risposta obbligata alla sollecitudine di Paolo VI, allo «spirito di paternità» con cui il Papa seguiva il giornale, ma avrebbe dovuto significare un’assunzione di responsabilità, «fossero anche quelle del rifiuto […] e del dissenso. Ma sapendo quello che si lascia e intuendo quel che troveremo». Narducci ammise di aver compiuto, negli anni della sua direzione, quasi una «opposizione cattolica» di fronte a «tutte le forme di potere che oggi si manifestano in Italia» e verso le quali i cattolici non potevano dimostrarsi corrivi. «Quando dico potere – continuava il direttore di “Avvenire” – mi riferisco ai grandi centri di potere economico, ai grandi centri di potere sindacale, ai grandi centri di potere politico. Cioè a tutti coloro che hanno scambiato quello che doveva essere un servizio, con qualche cosa di profondamente diverso. Questa è opposizione cattolica? Credo di sì». Angelo Narducci lasciò nel 1979 la guida del giornale che, per un decennio e con mano salda, aveva guidato consolidandone il profilo e portandolo a una più ampia diffusione sul territorio nazionale. Alla fine degli anni Settanta mutarono anche i vertici della società editoriale del quotidiano, la Nei, con l’ingresso di altre personalità che avrebbero dato inizio a una nuova stagione nella storia di “Avvenire”. Con l’uscita di Narducci, avvenuta a poca distanza di tempo dalla morte di Papa Montini, si chiude la prima intensa fase della vita di “Avvenire”, che nei decenni successivi ha visto sempre più accresciuta la sua autorevolezza nel panorama della stampa nazionale, realizzando così pienamente le speranze e le attese del suo fondatore, il Santo Papa Paolo VI.