venerdì 31 luglio 2009
Il noto antichista svela su una rivista scientifica la prova finale della falsificazione del celebre testo del geografo ellenistico.
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Prove dirimenti e di estremo peso scientifico si aggiungono a elementi già incontrovertibili a provare con una sicurezza ormai inoppugnabile che il famoso papiro erroneamente attribuito al geografo ellenistico Artemidoro di Efeso (II sec. a. C.) è in realtà un falso clamoroso di epoca moderna. Ancora una volta Luciano Canfora, il primo a dubitare dell’autenticità dello scritto e a sostanziare l’intuizione iniziale con una fattualità cogente, ha trovato espressioni del testo curiose, estranee all’uso linguistico greco antico e dunque inammissibili in un autore classico: «Sono degli autentici anacronismi – fa rilevare Canfora –. Ad iniziare da 'Atlanteios phòrtos', 'una fatica degna di Atlante'. Ebbene si tratta di un modo di dire mai attestato nella letteratura antica o medievale, in nessuna lingua. Il primo a usarlo fu Galileo, come conferma l’Accademia della Crusca; e subito entrò nell’uso quotidiano inglese tanto che enciclopedie, stampa e persino la gente comune d’Oltremanica nel 1700 e nel 1800 dicevano: 'Atlantean labour', ricalcando il grande scienziato italiano. Costantino Simonidis, erudito greco del 1800, verosimilmente autore del falso Artemidoro, influenzato dall’anglismo l’ha travasato nel testo da lui creato». A irrobustire la certezza di una mano moderna dell’opera, Canfora ha rilevato ulteriori anacronismi: per esempio l’espressione «thalatta emetera», «il mare che ci appartiene», riferita al Mediterraneo: «È un 'modus dicendi' in uso solo da Cesare, sulla base della sua politica di conquiste ('mare nostrum', «De Bello Gallico» libro V, capitolo I) e da lì arrivata fino alle lingue moderne. Artemidoro, che ha scritto quasi un secolo prima di Cesare, avrebbe dovuto scrivere 'thalatta e kath hemas', 'il mare che sta dalla nostra parte' in senso geografico: una differenza sostanziale». Come se non bastasse, a sostegno definitivo della tesi di Canfora è arrivata l’analisi della fotografia, presentata nell’edizione critica del papiro come «Konvolut», un corposo ammasso di papiri, che avrebbe costituito la maschera di una mummia antica e nel quale sarebbe stato conservato l’ampio frammento artemidoreo; il presunto «Konvolut» sarebbe poi stato restaurato e i singoli papiri separati e distesi nella loro interezza. Ebbene l’équipe della Polizia scientifica di Marche­Abruzzo, diretta da Silio Bozzi, ha dimostrato con prove ferree che si tratta di un fotomontaggio, in cui sono state assiemate foto dei singoli papiri: «L’incoerenza principale riguarda i caratteri grafici – dice Bozzi –: i caratteri del 'Konvolut' non sono soggetti a deformazione prospettica. Mi sarei aspettato, essendo il 'Konvolut' un insieme di superfici curve e variamente deformate, di non poter sovrapporre i suoi caratteri con gli stessi sul papiro disteso, come invece è accaduto. Inoltre il sistema di luci e ombre appare incoerente: un’ombra in particolare sembra artefatta; così come singolare è che, nello scontornamento del 'Konvolut', esso spesso ci appaia lineare». Tutti questi risultati, decisivi per confermare l’ormai certa falsità del papiro di Artemidoro, saranno presentati in «Quaderni di Storia» n. 70 in uscita i primi di settembre.
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