giovedì 12 novembre 2009
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Dalla sua stanza, nell’infermeria della Curia della Compagnia di Gesù a Roma circondata di libri sul suo papa Pio XII, ogni giorno padre Pierre Blet, classe 1918, pur costretto a vivere da un anno su una carrozzina, segue con la lucidità di sempre, grazie all’uso del computer, le vicende del mondo e in particolare la causa di beatificazione del Pontefice che più ha studiato a fondo: Eugenio Pacelli. Non nasconde la sua amarezza e sorpresa, soppesata da un certo distacco ignaziano, per la ricostruzione – stile giallo modello André Gide – fatta recentemente da La Stampa e poi da Panorama sul suo confratello, il gesuita californiano Robert Graham (1912-1997), trasformato da rigoroso storico a spia capace di smascherare il controspionaggio del Kgb per conto dell’Occidente e del Vaticano. A questo proposito ricorda, lui ultimo testimone vivente, i 17 anni trascorsi assieme agli storici gesuiti Graham, Angelo Martini e Burkhart Schneider nell’Archivio Segreto vaticano e spesi per ristabilire la verità sul pontificato di Pio XII durante la seconda guerra mondiale. Una ricerca – quella condotta in squadra dall’équipe dei 4 storici gesuiti – voluta da Paolo VI, che portò alla pubblicazione in 12 volumi suddivisa in 12mila pagine degli Actes et documents du Sainte Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale. Ma è proprio sull’affaire Graham che l’anziano gesuita francese, autore tra l’altro di un fortunato libro tradotto in 10 lingue edito in Italia dalla San Paolo, Pio XII e la seconda guerra mondiale negli archivi vaticani, si sente di offrire la sua verità a questa tesi dai tratti surreali: «Fa sorridere pensare che il povero padre Graham fosse un agente segreto capace di fare addirittura del controspionaggio al Kgb – racconta un po’ divertito padre Blet –. A lui piaceva millantare questa idea molto suggestiva di storico ma anche di investigatore. Lui amava le spy stories, ci scherzava e ci ricamava sopra. Ma il suo lavoro fu solo quello dello storico. La ricostruzione fatta da Panorama non corrisponde alla realtà e dà l’idea di un giallo alla Dan Brown».Ignazio Ingrao su «Panorama» ha rivelato che fu padre Graham a scoprire quasi per caso la bozza dell’enciclica scritta dal gesuita americano John La Farge su commissione di Pio XI, l’«Humani Generis unitas» che avrebbe condannato ogni forma di razzismo.«Si tratta di una notizia non vera, perché la prima bozza di questo testo fu scoperta negli Stati Uniti alla morte del gesuita La Farge e successivamente ne emerse una copia nell’Archivio segreto vaticano; non fu certo il padre Graham a scoprirla».Gli articoli parlano di misteriose casse, ora conservate nell’archivio della Curia della Compagnia di Gesù e appartenute a padre Robert Graham. Secondo lei che cosa contengono?«Penso che, una volta visionati e ordinati, si scoprirà che quei bauli non hanno alcunché di esplosivo ma contengono solo i diari di Graham, le sue impressioni su una vita trascorsa a Roma. Concordo con quanto ha scritto recentemente su La Stampa padre Federico Lombardi: quei fogli non contengono affatto la chiave dei segreti della Guerra fredda e dell’attentato a Giovanni Paolo II».Come nacque l’idea di una pubblicazione come gli «Actes et documents du Sainte Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale» che potesse spiegare i «silenzi» di Pio XII?«A suggerire l’idea di un’équipe di storici a Paolo VI fu monsignor Pio Laghi. Rammento che chi ci aiutò a trovare la prima pista di documenti fu l’ultimo segretario particolare di Papa Pacelli, il gesuita Robert Leiber. Grazie a lui trovammo una miniera di documenti, lettere di Pacelli – un centinaio – ai vescovi tedeschi. Quella scoperta ci permise di conoscere l’azione diplomatica segreta di Pacelli nel salvataggio di molti ebrei, ma anche la sua prudenza per evitare le persecuzioni ai fedeli cattolici».Quando verrà aperto l’Archivio segreto vaticano attinente al periodo dal 1939 al 1945, che cosa potranno scoprire gli storici di nuovo?«Troveranno quello che abbiamo già pubblicato nei nostri 12 volumi e scopriranno che non abbiamo nascosto niente. Mi sembra difficile che si potrà contraddire quanto è ampiamente mostrato nei documenti già pubblicati».Ancora oggi una delle accuse ricorrenti a Pio XII è quella di non aver fatto abbastanza per i profughi ebrei.«Si tratta di una calunnia confutata anche dai volumi 8, 9 e 10 della nostra pubblicazione. A ciò aggiungo una cosa, di cui non si parla mai: nei Paesi occupati indirettamente dai nazisti, come la Slovacchia e l’Ungheria, fu grazie all’intervento diretto del Papa che si riuscì a fermare la deportazione di molti ebrei. Pio XII interveniva solitamente dove la sua azione poteva dare dei frutti reali. Inoltre padre Leiber mi ha confermato che il Pontefice aveva utilizzato la sua fortuna personale proprio per soccorrere gli ebrei perseguitati dal nazismo».Nel mondo giornalistico circolano ipotesi suggestive come quella di un messaggio di Papa Pacelli ad Hitler…«Conosco la fonte di questa notizia, apparsa qualche anno fa su Le Monde. Come ho già scritto su La Civiltà Cattolica, se non abbiamo pubblicato la corrispondenza tra Pio XII e Hitler è perché essa non esiste. Inoltre se quella corrispondenza fosse esistita, le lettere del Papa sarebbero conservate negli archivi tedeschi e ve ne sarebbe traccia in quelli del Ministero degli Esteri del Reich e viceversa le lettere di Hitler sarebbero finite in Vaticano».Il prossimo 20 novembre lei compirà 91 anni. Quali sono i suoi sogni e aspettative da storico?«Penso che sia giusto beatificare Pio XII. Oggi sono affiorate nuove verità su questa figura e ringraziando Dio anche molti ebrei americani sono a favore della beatificazione. Il mio sogno? Poter scrivere un libro su Pio XII che racconti tutto il suo pontificato e mostri che fu il vero precursore del Vaticano II».
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