mercoledì 27 ottobre 2021
In volume i reportage di Zanini fra monti e metropoli: storie di anime da leggere «con la semplice ma non arresa e sempre indomita umiltà del salmista»
Il convento e la chiesa dei frati cappuccini a Monterosso al Mare, Cinque Terre

Il convento e la chiesa dei frati cappuccini a Monterosso al Mare, Cinque Terre - Gianfranco Negri, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons

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È da domani, 28 ottobre, in libreria il nuovo titolo della collana “Pagine prime”, realizzata da Vita e Pensiero in collaborazione con "Avvenire". In D’amore, di silenzio e d’altre follie (pagine 160, euro 14,00) Roberto Italo Zanini raccoglie i suoi reportage dall’Italia della spiritualità, integrando con contributi inediti i materiali già apparsi sul nostro quotidiano. Dal volume anticipiamo la postfazione dello scrittore Eraldo Affinati.


Ci sono forze spirituali diffuse e persistenti nel nostro Paese, quasi sempre invisibili, che agiscono nel profondo senza pretendere udienza né riconoscimenti. Domande a cui è stata data una risposta plausibile. Emozioni soddisfatte. Inquietudini risolte. Crisi superate. Sentieri percorsi nella convinzione scaturita dalla scelta quotidiana. Se vuoi ripercorrere le tracce di questo pane spezzato, di questa gioia condivisa, come ha fatto Roberto Italo Zanini nel suo reportage-pellegrinaggio fra gli Appennini meno esposti e le grandi metropoli più conosciute, devi innanzitutto entrare in sintonia con le donne e gli uomini che ti hanno aperto la porta di casa e rinunciare in via preliminare al giudizio critico nei loro confronti. E poi, confessiamolo: anche soltanto per limitarsi a leggere i testi qui raccolti, bisogna accantonare certi schemi logici, legati alla supremazia delle categorie intellettuali, tornando alla semplice ma non arresa e sempre indomita umiltà del salmista. Siamo di fronte a testimonianze incarnate nelle vite di persone concrete, le quali si sganciano come se niente fosse dalla servitù del risul- tato mostrandosi nella loro nudità interiore: sarà questo il nuovo cristianesimo? A sentire ciò che ne pensa padre Marko Ivan Rupnik, uno degli interpellati, pare proprio di sì: «Credo che il discorso religioso al quale siamo stati abituati in tanti decenni si vada esaurendo, perché ormai nutre un bisogno psichico di religiosità che non ha niente a che fare con la fede della Chiesa e non fa confluire nelle persone la novità della vita nuova. Non nutre la vita. Si può andare in chiesa e poi vivere con la mentalità di chi è totalmente saziato dalle cose che il mondo offre, senza discernimento…». Parole forti che tuttavia sembrano essere incise nel solco indicato da papa Francesco. Dobbiamo affiancare alle storiche consuetudini liturgiche, patrimonio della tradizione consolidata, pratiche e linguaggi capaci di intercettare i bisogni delle ultime generazioni: soltanto così potremo recuperare le pecorelle smarrite che belano distanti dai recinti e rischiano costantemente di finire nel fosso. Se non usciamo dalle solite postazioni, se non assumiamo dei rischi, la stessa disciplina dell’arcano perderà la propria energia propulsiva e diventerà un complesso di riti per iniziati: il contrario esatto di ciò che dovrebbe essere la predicazione evangelica. Questa galleria di vocazioni multiformi, spesso insolite e imprevedibili, diventa quindi un’occasione preziosa per riflettere anche sulle risorse nascoste e segrete dell’animo umano, in grado di accendere fuochi percepibili a lunga distanza. [...] Zanini, quasi celato dietro il suo diario sommesso e partecipe, raduna i messaggeri di un Cristo inedito, eppure presente e vivo, più vicino e palpitante di quanto supponiamo. Ce ne sarebbero stati tanti altri da scrutinare e richiamare alla luce: storie d’amore, di silenzio e d’altre follie, per l’appunto, questo potrebbe essere solo l’inizio di un lavoro da compiere, ma intanto la prima serie non poteva non contenere il segno luminoso di Giuseppina Bakhita, la piccola grande sudanese, naturalizzata veneta, rievocata da madre Maria Carla Frison, la suora canossiana che a Schio contribuisce, insieme alle sue consorelle, a perpetuarne la memoria. A volte ho immaginato che la dolce africana rapita da bambina, quando divenne infermiera in Italia, durante la Prima guerra mondiale, potrebbe aver incrociato lo sguardo di Ernest Hemingway, autista d’autombulanze nei medesimi anni in quegli stessi luoghi, poi ferito al ginocchio, come leggiamo nella trasfigurazione romanzesca di Addio alle armi. In quel caso il Novecento, uno dei secoli più tragici e sanguinari della storia umana, avrebbe compiuto un salto mortale fra lo scrittore del nada e la santa che si rivolgeva a Dio chiamandolo paron. Magari l’uno e l’altra non erano poi così lontani come a prima vista poteva sembrare. Lui amava l’Africa. E lei l’Italia. Entrambi non si accontentarono di ciò che avevano. Alzare lo sguardo, superare le barriere, andare oltre i nostri steccati: credo possa essere questo il modo più giusto per fare tesoro di queste pagine.

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