venerdì 5 luglio 2019
L'architetto Paolo Portoghesi racconta pensiero e forma della nuova chiesa concattedrale, costruita in soli due anni: «Identità urbana e coralità della liturgia i veri punti fermi»
La facciata della concattedrale di Lamezia Terme, progettata da Paolo Portoghesi

La facciata della concattedrale di Lamezia Terme, progettata da Paolo Portoghesi

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La Calabria è una regione che ho visitato, appena laureato, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, volendo conoscere i paesi per i quali stavo progettando delle case popolari. Avevo letto Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi e ciò che mi colpì, oltre al forte legame sentimentale con i luoghi, fu proprio l’intensità della devozione popolare che è una realtà ancora viva.

Questa premessa è necessaria perché il progetto della concattedrale di Lamezia Terme è nato pensando ai luoghi di quel pellegrinaggio giovanile e alla gente conosciuta in tante altre occasioni. Se nelle moderne metropoli una chiesa ha il compito difficile della ri-cristianizzazione, dove la fede è ancora largamente partecipata può ben aspirare a essere il cuore pulsante di una città, il luogo in cui si riscopre la propria identità.

La presenza della Chiesa, come istituzione, è ancora tale in Calabria da fare della costruzione di una chiesa un messaggio forte rivolto agli abitanti che può influenzare il loro rapporto con la città. Partecipando al concorso identificai subito il ruolo civile oltre che religioso che l’edificio poteva avere.

Lamezia Terme era nata come fusione amministrativa di tre comuni, Sambiase, Nicastro e S. Eufemia, e la nuova chiesa doveva sorgere in una posizione centrale per dare un significato spirituale a questa unificazione che rischiava di esaurirsi in un’azione suggerita da interessi organizzativi. Per assolvere a questo compito di unificazione spirituale era necessario che la chiesa avesse dei requisiti ben precisi: l’emergenza territoriale che la rendesse ben visibile dal territorio circostante, l’apertura accogliente verso la città, la capacità di esprimere la coralità della nuova liturgia.

L’emergenza territoriale ha suggerito la scelta degli alti campanili come richiamo visivo e l’analogia del volume della navata con il vascello che ha nella letteratura cristiana una presenza ricorrente, resa ancora più suggestiva dalla vicinanza del mare. Il rapporto con la città sarà completato dalla programmata realizzazione – voluta dall’amministrazione comunale – di un grande spazio collettivo pedonale, per il quale mi è stata chiesta una proposta progettuale. In questa piazza, che collegherà la chiesa con il municipio secondo un’antica tradizione europea, confluisce il sagrato semicircolare compreso tra due porticati, simboli di accoglienza e di apertura, che ospiteranno le stazioni della Via Crucis.

La coralità della nuova liturgia, obiettivo della mia ricerca fin dalla prima esperienza che feci col progetto della chiesa della Sacra Famiglia di Salerno, trova espressione nella centralità dei percorsi che si irradiano dalla mensa dell’altare e nella configurazione delle pareti che accolgono e proteggono questa centralità immateriale, regolate dal modello geometrico della vesica piscis.

Non meno essenziale per l’espressione della coralità è l’immagine della rete costruita dalle dodici nervature che si intrecciano nella copertura, simbolo di scelta e di giudizio. «Il regno dei cieli – si legge nel Vangelo (Mt.13,47,48) – è simile a una rete gettata nel mare che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena i pescatori la tirano a riva e poi sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. (...) e a Piero e ad Andrea il Signore disse: Seguitemi vi farò pescatori d’uomini». Il Vangelo ci ricorda cosa avvenne nel contesto della festa ebraica delle luci quando Gesù affermò: «Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà tra le tenebre ma avrà la luce della vita».

Per ottenere dall’architettura un invito alla percezione mentale della trascendenza, oltre allo sviluppo in altezza è stato studiato un sistema di illuminazione che mettesse in relazione il visibile con l’invisibile. Per questo le pareti laterali si sdoppiano in una parte inferiore che ha il colore della terra e in una parte superiore che prende luce dal basso attraverso una fessura continua. Altre fonti luminose simboliche sono i tre lucernari che si aprono nella volta nervata.

Secondo le esigenze liturgiche di una chiesa cattedrale, nella zona absidale, di fronte all’assemblea dei fedeli, completano l’avvolgimento circolare dell’altare i gradini riservati ai celebranti mentre al centro, tra due colonne una fessura di luce illumina dal basso le immagini sacre. L’esigenza di neutralizzare il rischio sismico ha portato ad adottare per l’organismo della chiesa una struttura in acciaio che meglio di qualunque altro materiale ha consentito leggerezza, economia e rapidità di costruzione.

Mentre all’interno la struttura metallica appare solo nelle volte delle cappelle, all’esterno è ben visibile nella facciata rivestita di lamiera e nei due campanili in acciaio corten, un materiale che l’ossidazione non corrompe ma fortifica assumendo colorazioni cangianti. Un materiale nuovo, ricco di valori simbolici, si aggiunge così agli altri materiali che da secoli celebrano nelle chiese di tutto il mondo la gloria del Signore.

Molte delle scelte del progetto sono derivate dalla lettura delle riflessioni di Benedetto XVI sulla nuova liturgia. Anzitutto l’orientamento a est, essenziale per il significato cosmico della chiesa; l’apertura al paesaggio realizzata anche attraverso il dipinto che Gigi Frappi ha eseguito nella cappella battesimale; la sottolineatura del percorso centrale come percorso del popolo di Dio verso la salvezza; il riferimento alla Maiestas Domini; la visibilità dei sacri segni come il tabernacolo e il fonte battesimale, compresa la teca ben visibile della sacra scrittura.

Particolarmente significativo, tra i suggerimenti, la collocazione del Crocifisso, opera di Paolo Borghi, al centro dell’assemblea in modo che a esso possano rivolgersi, nel momento della consacrazione, sia il sacerdote celebrante che i fedeli concelebranti. Desidero ringraziare qui il vescovo Luigi Antonio Cantafora che ha voluto con incredibile energia realizzare in poco più di due anni, il suo sogno pastorale e il cardinale Pietro Parolin che ha ufficiato in modo commovente la dedicazione della chiesa il 25 marzo di quest’anno.

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