venerdì 25 ottobre 2019
Jannacci jr sulla scia del padre pubblica “Canterò”, disco che segna l’inizio di un nuovo percorso in cui dice di essere diventato cantautore «per togliersi i fantasmi...»
Paolo Jannacci, figlio d’arte, milanese classe 1972, pianista e jazzista raffinato, ora anche cantautore

Paolo Jannacci, figlio d’arte, milanese classe 1972, pianista e jazzista raffinato, ora anche cantautore

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Classe ’72, Paolo Jannacci è da anni compositore per film e spot nonché arrangiatore; è stato pure, forse lo sarà ancora, importante pianista jazz. Con l’album Canterò, però, Paolo Jannacci ora si presenta in veste inedita, quella di cantautore. E qui nascerà in molti la fatidica domanda: come suo padre Enzo? Non sarà una copia del babbo? Poi capita di ascoltare Canterò. E in effetti sì, Paolo è come Enzo. Anche Paolo Jannacci canta esclusi e clochard, come Enzo, Paolo denuncia finzioni e valori sviliti, in un modo che a Enzo sarebbe piaciuto Paolo canta d’ssersi fatto cantautore «per togliersi i fantasmi senza fare troppi danni».

Fra delicate ballad, r’n’b venati di soul, rap cantati, surrealismi jazzati Paolo Jannacci pare proprio Enzo; e come molti lp del padre pure il cd del figlio è imprevedibile e poetico, sfacciato e ritroso, stralunato e pungente, lieve ma su temi forti. Insomma sì, Paolo è come suo padre: dunque, d’ora in poi abbiamo un nuovo cantautore in grado di scrivere cose d’una bellezza che commuove o cariche d’una tensione etico-poetica che squarcia l’anima.

Che bei regali, Enzo, l’anima, l’umanità e il magnifico talento che hai passato a tuo figlio. Qual è stata la molla per osarsi cantautore?

«Prima lo spettacolo per papà, quando mi accorsi che la voce non era così male… Poi Maurizio Bassi, suo arrangiatore, che un giorno m’ha portato una canzone, che fra l’altro vorrei presentare a Sanremo, dicendo che era importante che io andassi avanti: per me, la mia musica, Enzo. Indi Toni Verona, produttore del papà, che venendomi a vedere m’ha detto che non sapeva potessi essere tanto "giusto". E allora ho osato. Ma ci ho messo cinque anni a fare il disco».

Quali sono i suoi riferimenti, oltre a suo padre?

«Il faro è Paolo Conte. Fa ancora la differenza, crea momenti artistici puri. Ma ho anche modelli musicali americani: David Foster al lavoro con gli Earth Wind & Fire, Quincy Jones ad esempio di arrangiatore».

Dopo questa prova, cosa pensa le avrebbe detto Enzo?

«Sarebbe stato contento. E fiero per il solo provarci e mettersi allo scoperto. Poi sarebbe stato contento di come ho riarrangiato certe sue canzoni».

Infatti nel cd lei rilegge E allora… concerto e Fotoricordo… il mare, brani non scontati. C’è una motivazione particolare?

«Il tema dell'escluso: ci siamo passati tutti e ti marchia per la vita, è giusto parlarne ancora».

E allora… concerto sembra anche attualissima…

«Sì, è tremendo: ora fra i giovanissimi pare tornata pure la droga. Ma bisogna far loro capire che sono importanti. Vanno tutelati e responsabilizzati perché sono loro, la spina dorsale del Paese. E del futuro».

Qual è la lezione paterna che le sta servendo nel suo “nuovo” mestiere?

«Mi ha insegnato a sentire la vita, a stare attento alle persone, a gestire l’emotività dentro l’arte. Molti m’hanno già detto che si riconosce il papà, nel mio disco: ma è automatico. Io sono così».

Quindi anche lei, lascerà il jazz per la canzone?

»Eh, sta accadendo. Ma continuo a tenere le mani sul piano. Lui se ne alzò subito: diretto al proscenio».

Canterò sembra una dichiarazione d’intenti: è così?

«In parte sì. Ho mischiato visioni poetiche con la quotidianità di tutti, che poi è l’unica cosa che concretizzi la poesia. Una canzone non è Stravinskij, dunque mi piaceva riprendere quel taglio tipico del papà mettendoci aneddoti miei. Però lo cito: cito anche il suo sacchetto del “Sottotenente”, in rimando alla sua visione d’un Cristo che è vicino all’uomo».

In un brano si definisce «Troppo vintage»: che cosa non le piace, di quanto dilaga oggi fra radio e tv?

«Qualitativamente sento anche cose belle. Però non ci sono picchi creativi, come quei quaranta secondi di musica che rendevano sofisticato, evoluto un brano dei Chicago. Credo oggi si sbagli a cercare sempre sintesi estrema: per, come si dice, arrivare subito. Amo la sintesi, ma alla lunga sterilizza l’estro».

Eppure adopera anche lei il pop-rap: duettando con J-Ax, e coi Two Fingerz ne L’unica cosa che so fare.

«Perché come disse Quincy Jones l’hip-hop è il nuovo bebop: dà possibilità anche ad artisti poveri di creare, uscendo da impostazioni classiche verso ritmiche legate alla metrica delle parole. È esagerando che arriva il rischio di comporre jingle: dobbiamo tener duro, chi ascolta va anche guidato».

In Alla ricerca di qualcosa esalta la fragilità: quanto è difficile, insegnarla a sua figlia undicenne?

«Nella mia adolescenza ci martellavano: si doveva vincere. A lei voglio passare il valore dell’impegno, che si concentri su vivere in modo leggero ma senza scordare mai che quanto fa è in relazione agli altri. Essere consapevoli che siamo tutti fragili, senza mai vergognarsene, rende pure consapevoli del rispetto che devono portarci e che noi dobbiamo al prossimo».

Come entra nel suo canzoniere il famoso “barbone” che rese celebre Enzo? In Pizza, d’improvviso, appare…

«E oggi però si chiama migrante. Vede, anche se nella vita può essere difficile andare incontro a chi soffre, non bisogna mai far finta di nulla. Il valore dell’altruismo va ribadito, dev’essere chiaro».

Lo sa che sta dichiarandosi d’ora in poi non solo cantautore, ma pure testimone della musica di Enzo?

«Certo! E voglio esserlo. Per tutti noi del suo giro e per gli altri che non lo conoscono. Fra l’altro col suo repertorio copro un lato di me, l’indignato, che non sento ancora d’avere e che lo faceva escludere: me li ricordo, i fischi a La fotografia contro la mafia; e al Festivalbar come al Primo Maggio, pure».

Ora lei porta Canterò in tour col suo quartetto con Moretto, Bagnoli e Ricci; partirà il 4 novembre da Milano. Che concerto sarà?

«Centrato sulla parte musicale. Si parte con uno strumentale, poi i pezzi del disco, alcuni brani di Conte, L’Armando, Faceva il palo e altre cose del papà che amo molto… Non eseguirò El portava i scarp del tennis, però: è legata al concerto per Enzo, per lui è stato il brano più rappresentativo di tutti».

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