sabato 7 aprile 2018
Esce in Italia "Il giapponese di Varsavia", racconto dello scrittore di "Silenzio" sulla memoria del passaggio del francescano come missionario in Giappone
Padre Massimiliano Kolbe

Padre Massimiliano Kolbe

COMMENTA E CONDIVIDI

Shusaku Endo e Massimiliano Kolbe. Lo scrittore nipponico mancato Premio Nobel e il frate polacco che offrì la sua vita al posto di un padre di famiglia destinato al bunker della fame nel lager di Auschwitz. Il romanziere avvicinato al cattolicesimo dalla madre e battezzato a undici anni, l’autore affascinato dalla fedeltà dei martiri, capace di scandagliare – come nessuno in Oriente – i concetti di grazia e peccato, compassione e amore, e il minore conventuale che, nel 1941, morendo da martire, per fede e amore, ne riportò la “vittoria” in un luogo costruito per negarli.

Ad accomunarli non solo un fatto, forse meno noto, gli anni trascorsi da Kolbe come missionario nella patria di Endo, a Nagasaki – dove arrivò nel 1930, editò una rivista, costruì un convento e aprì un seminario, rientrando in Polonia nel ’36 – ma, soprattutto, la riflessione sull’adesione autentica a principi, valori, convinzioni, e al proprio «credo». Che nel caso di san Massimiliano non fu solo teologia e spiritualità e sappiamo cosa comportò. I due elementi appena menzionati – l’esperienza giapponese di Kolbe e la fama di santità nata dal suo martirio – hanno offerto lo spunto per un grande racconto di Endo. Pagine che arrivano ora al pubblico italiano, trasmettendo – attraverso il ricordo di Kolbe – la predilezione di Endo per quanti sono mossi dall’unica forza necessaria: quella dell’amore, e infilando anche un dardo nella coscienza di tanti viaggiatori simili a quelli del suo Il giapponese di Varsavia (pagine 96, euro 10,50, Edb), titolo sotto il quale si raccolgono anche altri due racconti.

In tutto tre testi presentati e tradotti dal saveriano Tiziano Tosolini. Legati sì da uno spaesamento circa la natura della propria fede e dal conflitto morale derivante, ma dove si avverte la fiducia nella compassione divina assoluta ed eterna, l’affidamento alla tenerezza del Dio che – in Gesù – accoglie e perdona la fragilità umana, così distante dalla fedeltà radicale dei martiri.

Nel primo racconto Un uomo di quarant’anni, del ’64, tutto, in un ospedale, ruota attorno a un merlo indiano al quale il protagonista si rivolge percependone lo sguardo di compassione, ammettendo una colpa che era stato incapace di confessare persino al prete (tema ripreso poi da Endo in Fiume profondo del ’93 ); nel secondo, “Unzen”, pubblicato nel ’65, l’autore stesso si fa pellegrino alle sorgenti del monte già scenario di torture subite dai cristiani per essere indotti all’abiura sino all’ingresso nella storia dell’apostata Kichijiro (personaggio del romanzo Silenzio uscito l’anno dopo) che lo porta a seguire da vicino quei tragici avvenimenti.

Ma fermiamoci qui sul terzo racconto: la vicenda, fittizia, costruita attorno alla storia, reale, del religioso polacco canonizzato da papa Wojtyla. Una decina di turisti giapponesi viaggiando attraverso l’Europa, fanno scalo a Varsavia giudicata un posto tristissimo rispetto a Parigi, appena visitata. Il gruppetto sembra interessato solo alla ricerca di compagnie notturne a pagamento; visita la città in cui convivono comunismo e cattolicesimo (siamo a fine anni ’70), sosta nei luoghi caratteristici: piazza Zamkowy con la statua di Sigismondo III, la casa di Chopin, la statua della Sirena sulla riva della Vistola, i resti del ghetto ebraico, il mercato di Miasta...

A un certo punto, prima in un negozio di souvenir, poi in un ristorante, viene chiesto a questi giapponesi se conoscono la figura di Kolbe che, benché rievocata nelle sue tappe nel Paese del Sol Levante e nel suo epilogo ad Auschwitz, non rammenta niente a nessuno. Solo poco dopo, come in un flash back, uno di loro, Imamiya, comprende di aver incontrato padre Kolbe quand’era bambino mentre il religioso si trovava a Nagasaki. «Imamiya pensava al nome di Kolbe che aveva sentito pronunciare, e si domandava se per caso uno dei missionari che aveva incontrato in passato fosse stato proprio lui. Un dolore simile a quello di una puntura di spillo lo trafisse nell’intimo. Gli si ripresentò davanti agli occhi la figura di quel prete emaciato, con quei suoi occhiali rotondi e con quel suo sorriso, e l’espressione del suo viso gli ferì il cuore».

Il ricordo di una figura così straordinaria associato al suo esempio, si consuma mentre Imamiya, protagonista del racconto, riempie il suo soggiorno rivelando comunque la sua debolezza e infedeltà: pagando una prostituta. Ma il profilo di Kolbe lo insegue. Leggiamo che: «quella notte Imamiya pagò una donna». E' lei a portarlo nel suo appartamento. Endo si limita a descrivere l’ambiente dove si consuma il rapporto. «Due o tre libri in polacco erano disposti sul piccolo tavolo, e diverse fotografie e dipinti religiosi erano appiccicati sul muro dietro al tavolo. Una delle fotografie, che forse ritraeva la sua famiglia, raffigurava il marito operaio, la moglie e una giovane ragazza. Su un lato c’era l’immagine della Madonna e tra le varie cartoline di Natale vi era il ritratto di un uomo disegnato con dell’inchiostro nero». Poi la sorpresa: «Lo sguardo di quell’uomo – con i capelli corti, gli occhiali rotondi, le guance incavate – era rivolto verso Imamiya. Si ricordò di aver già visto quell’espressione sfinita. Era quella dello straniero che in quel giorno d’estate stava salendo faticosamente il pendio della collina di Oura. Era quella del missionario che si era fermato a metà strada per asciugare il sudore che gli aveva appannato gli occhiali e che aveva salutato Imamiya (...). Quando uscì dal bagno in vestaglia, la donna trovò Imamiya che fissava il ritratto e disse: “Quello è Kolbe”».

Troppo semplice? Non dimenticherò mai quello che Endo mi disse alla fine del dicembre dell’ 88, a Tokyo, dove seguivo l’agonia dell’imperatore Hirohito. Facevo i soliti paragoni di lui con Graham Greene nelle descrizioni delle miserie umane innanzi al mistero divino. M’interruppe: «Greene scrive per gente che sa bene cos’è la spiritualità cattolica, io devo scrivere prima per gente che la ignora».

© RIPRODUZIONE RISERVATA MISSIONE. Padre Massimiliano Kolbe a Nagasaki. Sotto, Shusaku Endo (Ap/Masahiro Yokota) Il protagonista, Imamiya, insieme con una decina di turisti orientali viaggia per l’Europa e si imbatte nel ricordo del religioso Un “flash back” lo riporta bambino a Nagasaki La descrizione delle miserie umane e i paragoni con Graham Greene: «Lui scrive per gente che sa bene cos’è la spiritualità cattolica, io devo scrivere prima per gente che la ignora»

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: