domenica 8 ottobre 2017
Con il campo chiuso in vetro e i rimbalzi ricorda lo squash e conquista sempre più appassionati in italia: 4mila tesserati, 12mila praticanti e 400 strutture. Il ct Spector: «Divertente e socievole»
A tutto paddle, ecco il tennis «alternativo»
COMMENTA E CONDIVIDI

Che ne sai tu di un campo di paddle? Mogol e Battisti perdonino l’azzardata parafrasi… Sono tanti coloro che a questa espressione, sbalorditi, replicherebbero: «Cosa? Paddle che?». Ma sono sempre di più quelli che con entusiasmo travolgente possono dire: «Che spasso!». Appassionati a questa disciplina sportiva che ha origini lontane e che solo oggi sta esplodendo nel nostro Paese al punto da poter parlare (senza azzardo) di “paddle-mania”. Sì, paddle (così è stato battezzato in Italia) o padel (come lo chiama e lo scrive il resto del mondo). Un mix di tennis e di squash. Un campo da tennis più piccolo (meno dello spazio riservato al singolo) generalmente in erba sintetica, chiuso ai lati da pareti in vetro, plexiglas o altri materiali trasparenti, su cui si gioca però rigorosamente in quattro. E le racchette? Più simili ai racchettoni che alla racchetta di Roger Federer: una specie di “pagaia” solida e forata, leggera e capace di assorbire i colpi delle palline (anche queste di fatto simili a quelle da tennis) producendo un suono avvolgente. E se il tennis nasce più tecnico e ragionato, il paddle è decisamente più dinamico e immediato. Sin dal primo ingresso in campo.

«Anche chi non ha mai preso in mano una racchetta e non è abituato a fare sport, alla prima lezione è sicuro che riuscirà a divertirsi e a mandare la palla dall’altro lato del campo»: parola del ct della nazionale di paddle, Gustavo Spector, 48 anni, argentino, cresciuto nella provincia del Tucumán e arrivato in Italia nel 2001. Il suo incontro con il paddle era avvenuto nel suo Paese, dov’era già molto diffuso, a vent’anni. «Fu amore a prima vista». E sebbene il suo futuro sembrava dovesse essere nel settore di famiglia, come broker assicurativo, scelse la via della racchetta, diventando professionista. «Per capire quanto fosse penetrante questo sport in Argentina, allora nella mia zona c’erano 60 campi da tennis e 200 di paddle», ricorda. Per fare però dello sport un lavoro Spector è volato in Europa: Svizzera, Italia, con l’approdo a Milano. «Ho fatto il maestro di tennis per 5 anni. Poi nel 2007 a Bologna, mi sono imbattuto nuovamente nel paddle. Era una delle prime realtà strutturate in Italia, che esisteva già da anni. È stato come un ritorno al futuro. E da allora la mia vita è stata a tutto… paddle».

D’altra parte il paddle nasce proprio da quel lato dell’Atlantico. In principio fu un noto cittadino della buona società messicana, Enrique Corcuera: voleva un campo da tennis nel giardino della sua residenza di Acapulco, ma lo spazio era più piccolo del necessario rispetto a un campo regolamentare; e soprattutto, per delimitarlo dalla vegetazione, dovette alzare delle pareti in muratura. Il risultato? Un campo più piccolo e una palla sempre in movimento grazie ai rimbalzi. Divenne un gioco a sé. Con racchette tipo pale. La “leggenda” porta la nascita ancora più indietro, alle navi britanniche delle grandi traversate di fine Ottocento che montavano campi da tennis chiusi per evitare che la palla finisse in mare. E si narra che nel 1920, un americano portò nei parchi di New York una sorta di “paddle tennis”. Quel che è certo, è che dalla casa di Corcuera, pian piano, e incredibilmente, si allargò in tutto il Sudamerica e in Europa, in particolare in Spagna (grazie a un campo fatto costruire in un elegante hotel di Marbella dal principe Hohanlohe, affascinato dalla soluzione dell’amico messicano Corcuera) e poi in Francia. Potere del passaparola, anche senza la rete… di Internet. Così in una decina d’anni il paddle ha trovato vasta risonanza mondiale, e oggi è sbarcato praticamente in tutti i Continenti.

E in Italia? Quando è arrivato il paddle? Il debutto “ufficioso” nel 1991, con la costituzione, da parte di alcuni amatori, della Federazione italiana gioco paddle. Il lancio vero a Bologna, a maggio dello stesso anno, con la realizzazione di una esibizione alla Fiera. Cominciarono i tornei ufficiali e il capoluogo emiliano, grazie all’impegno di diverse associazione sportive, divenne in qualche modo il cuore di questo sport. Da lì un lento ma continuo percorso di crescita, città per città fino all’aprile del 2008, quando il paddle venne finalmente e definitivamente riconosciuto dal Coni come sport, e inserito come sezione a sé all’interno dell’ambita e prestigiosa Federazione italiana tennis. «Oggi – spiega Gianfranco Nirdaci, presidente della Federazione paddle Italia – ci sono ben 4mila tesserati. Ma i praticanti sono oltre 12mila. Ci sono i campionati di serie A1, A2, B e dal prossimo anno anche la C. I campi si sono moltiplicati nell’ultimo periodo a ritmi impressionanti: siamo a 400 in tutta Italia. Con una crescita notevole soprattutto nel Lazio, dove la federazione sta spingendo molto. Nel 2017 confidiamo di poter raggiungere le 500 strutture». In un momento in cui il tennis vive forse un momento di “stanca”, «il paddle può rappresentare un traino e portare nuova linfa». E non mancano “sponsor” di primo piano, avendo il paddle conquistato grandi campioni dello sport (non solo del tennis, come Nadal o la nostra Errani) e personaggi del mondo dello spettacolo, da Francesco Totti a Roberto Mancini, da Neri Marcorè a Max Gazzè.

«Il paddle elimina la “barriera d’ingresso”. Nel tennis, il colpo più difficile è probabilmente il primo, il servizio», dice Nirdaci. Proprio l’inizio di ogni game. «Invece nel paddle, il servizio è un semplice dritto da piazzare in campo...». Un colpo simile, per chi lo ricorda, alla Michael Chang, quella “prima” da sotto, praticamente come un palleggio (e uno sberleffo) che sorprese l’incredulo Ivan Lendl in un mitico Roland Garros del 1989. «C’è un aggettivo che più di tutti definisce e caratterizza il paddle: socievole – continua Spector, fondatore a Milano della Padel Academy e allenatore al centro sportivo della Gardanella di Peschiera Borromeo, dove lo abbiamo incontrato –. Il paddle è un gioco-sport aperto a tutti, che aiuta la socialità. Si gioca in quattro, c’è competizione, ma c’è molto divertimento. Sono certo che in pochi anni, il paddle coinvolgerà e appassionerà sempre più persone. Anche le nostre squadre stanno maturando e conquistando spazi nel panorama mondiale. Ci sono giovani promettenti, campioni internazionali come il bolognese Enrico Burzi, punta di diamante della nostra Nazionale, che hanno grandi possibilità di crescita». Il paddle è servito. Il fenomeno è esploso. E presto – non c’è dubbio – non ci sarà nessuno che potrà dire «che ne sai tu di un campo di paddle...».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: