giovedì 7 gennaio 2016
Nasceva cento anni fa il partigiano cattolico morto nel 1945 in un campo di concentramento per difendere un compagno. Il riconoscimento del titolo di venerabile lo colloca fra gli eroi della fede.
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Per quanti l’hanno conosciuto direttamente o attraverso gli scritti, ammiratori e devoti, il riconoscimento delle virtù eroiche e del titolo di Venerabile, poco prima di Natale, è giunto come il dono più bello. Per molti altri, la presenza di questo giovane laico difensore dei deboli tra i più recenti candidati agli onori degli altari, costituirà invece l’occasione di un nuovo incontro, una scoperta destinata a lasciare il segno. Ne siamo certi: perché, a prescindere dalle tappe che ora attendono il processo di beatificazione (probabilmente seguendo la via martiriale alla luce della documentazione della positio e del giudizio dei periti storici) la breve esistenza di Teresio Olivelli, lunga appena ventinove anni e finita, appunto, da martire, ha costituito una parabola umana e spirituale nel segno di un impegno straordinario di santità. Un percorso, quello di Olivelli, che ha testimoniato il Vangelo con la vita e la morte. Una vita cominciata proprio cent’anni fa, il 7 gennaio 1916, a Bellagio. Da qui, ben presto la famiglia ritornò nei luoghi di origine, in provincia di Pavia (ma diocesi di Vigevano) e Teresio si inserì nella sua parrocchia, a Mortara, dove fece il ginnasio, poi a Vigevano dove frequentò il liceo, infine a Pavia dove studiò all’Università, come alunno del Collegio Ghislieri. Pronto ad affrontare le sue scelte di giovane cristiano su più fronti, dall’Azione Cattolica alla San Vincenzo per «farsi tutto a tutti». Dopo l’arruolamento come volontario tra gli alpini in Russia, si prodigò nell’assistenza spirituale ai soldati sulle rive del Don e successivamente ai moribondi decimati dalle tormente di neve nella steppa, quindi al rientro a casa, nel 1943, ecco il dinamismo del «ribelle per amore» nelle formazioni partigiane cattoliche dopo il definitivo distacco dall’ideologia del regime. Tutto questo sino alla consumazione nella carità. Punto di riferimento delle "Fiamme Verdi" (organizzazione resistenziale particolarmente attiva a Brescia, Cremona, Mantova, Lecco) Olivelli venne arrestato a Milano il 27 aprile del 1944. Dopo aver conosciuto i lager di Fossoli, Bolzano Gries, Flossenbürg, trovò la morte in quello di Hersbruck in seguito alle percosse ricevute dai carcerieri per aver voluto difendere un compagno. Era il 17 gennaio 1945, una manciata di giorni prima della fine della guerra. Quel giorno si spezzava la vita di un santo, come subito capì don Primo Mazzolari: «Il nome di santo è quello che più conviene a Teresio Olivelli, e io mi auguro che tutti i ribelli cristiani, i fuorilegge cristiani ne facciano presto domanda a quella Chiesa ch’egli ha amato e servito sine modo». Ricordava poche settimane fa Paola Focherini, settimogenita del Beato Odoardo Focherini, il quale condivise con Teresio la prigionia in tutti i vari campi (a Fossoli, Focherini salvò la vita a Teresio, sfamandolo di nascosto; ad Hersbruck, invece, Odoardo fu assistito da Olivelli che ne raccolse le ultime frasi, riferite poi a un altro prigioniero Salvatore Becciu, e da questi trasmesse alla famiglia) «entrambi sempre stati Santi, ma mi fa piacere che anche la Chiesa abbia riconosciuto quanto da sempre io pensavo...». Da sempre Paola ha desiderato che come quella di suo padre, anche la figura di Olivelli fosse maggiormente conosciuta («il babbo aveva sette figli che parlavano continuamente di lui, Olivelli non ha avuto il tempo per potere avere chi tramandasse la sua splendida memoria». Ma c’è un’altra voce alla quale vogliamo lasciare spazio. Quella di Vittore Bocchetta (classe 1918) l’unico superstite, ancora in vita, che con Olivelli, a cui deve la sua salvezza, condivise il campo di Hersbruck, e prima ancora la prigionia a Flossenburg. Pochi giorni fa all’amico Emanuele Gallotti, esponente del mondo cattolico pavese con diverse cariche alle spalle nell’Associazione partigiani cristiani e Federazione italiana volontari della libertà, scriveva: «La memoria collettiva dei sopravvissuti dei Kz nazisti porta sempre a un solo e logico risultato: inconcepibilità! Io, ogni volta che cerco di raccontare la mia storia, sono cosciente di questo e cesso di farlo riconoscendo la mia incapacità di spiegare quello che non posso chiarire. Se, però, è estremamente impossibile capire l’orrore di quei fatti, altrettanto e più, molto di più, è quello di non riuscire a dire che possa essere esistito in tutto quell’orrore un essere umano come l’uomo Teresio Olivelli. «Si é trattato di un uomo. Un uomo speciale il quale, privilegiato, riuscì ad adoperare il suo stesso privilegio per combattere il male e per soccorrere il suo prossimo fino a sacrificare la sua stessa esistenza. La misericordia di un essere per il suo prossimo può essere passiva nel compatire il misero e può essere attiva nell’offrire la propria vita per quella di un altro. Questo, a mio parere, si può chiamare martirio. Questo, a mio parere, si deve dire di Teresio Olivelli. Teresio, nel mio caso specifico, usò il suo talento per salvarmi sapendo di farlo. Ciò, però, che nessuno dei sopravvissuti può rammentare è quanti e quali furono i suoi salvati. Per Olivelli la misericordia non era opera pubblica, ma cosa personale e privata. Questo merita la memoria di Teresio!».
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