giovedì 8 giugno 2023
Esce il primo volume dell’opus monumentale del germanista Korff, scritto tra 1923 e 1957. La parabola, dai Lumi al Romanticismo, di un umanesimo spazzato via dal nazismo
Frederic Boissonnas, “Faust (Hugo De Senger)”, 1892

Frederic Boissonnas, “Faust (Hugo De Senger)”, 1892 - Bibliotheque De Geneve

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«Timeo hominem unius libri», «temo l’uomo di un solo libro», così san Tommaso d’Aquino. E a un solo libro ha lavorato per tutta la vita il germanista tedesco Hermann August Korff (1882-1963): a Lo spirito dell’età di Goethe, un’opera monumentale, che supera le 2.200 pagine, in quattro volumi, più un quinto, utilissimo, di indici. Il primo volume uscì nel 1923, l’ultimo nel 1957; un arco di 34 anni, in cui la Germania era profondamente cambiata: la sconfitta nel 1918, la Repubblica di Weimar, il Terzo Reich, la disfatta, la divisione in settori di occupazione.

Korff era ordinario all’Università Lipsia e non so quanto abbia percepito la tragedia tedesca così concentrato com’era nella scrittura del suo opus. La prospettiva storico-critica da cui partiva era la tradizione idealistica e storicistica tedesca. Segnatamente lo studioso era ancora radicato nella Geistesgeschichte, la “storia della cultura” proposta da Wilhelm Dilthey, di cui Korff fu indirettamente discepolo. Oggi di nuovo in auge con i cultural studies.

La struttura portante dell’opera era poderosa e l’autore doveva essere profondamente convinto del progetto intellettuale tanto da tracciare una grandiosa architettura che prendeva le mosse dalla cultura della borghesia settecentesca, che, esclusa dal potere politico, trovava rifugio nell’arte e nella scienza, nell’Idealreich. Quel “regno dell’ideale” partiva dall’illuminista Lessing (1729-1781) per giungere al compimento col romanticismo verso gli anni Trenta dell’Ottocento; come data simbolica conclusiva s’indica il 1832: la morte di Goethe (Hegel era morto nel novembre del 1831).

L’aspro contrasto tra classicismo e romanticismo appariva alla generazione successiva – quella di Heine (1797-1856), per intenderci- un dibattito superato, tutto interno a una concezione del mondo ormai archiviata. Infatti l’epoca classico-romantica affondava le sue radici nell’Illuminismo e nella “cultura del sentimento” di derivazione luterano-pietistica e per svilupparsi nel soggettivismo esasperato del romanticismo maturo, pervaso da fermenti pre-decadentistici, che già sconfinava nel nichilismo.

Korff esaltava la centralità del cosiddetto “uomo faustiano”, confrontandosi, in un crescendo di entusiasmo storico-critico, col Faust goethiano come emblema della perfezione artistica e morale, testamento e messaggio per le epoche posteriori di quella spiritualità. L’interpretazione del “secolo di Goethe” da parte di Korff è suggestiva e straordinariamente “partigiana” nelle sue scelte estetico-idealiste da destare timore e stupore, ammirazione e contestazione. Ora Lo spirito dell’età di Goethe esce nella collana “Firmamenti” di Marsilio (pagine 448, euro 45,00) e mai collocazione fu più appropriata, ché è un’opera che rivendica la sua appartenenza al firmamento delle stelle fisse, delle rare opere critiche intramontabili.

Il primo volume, incentrato sullo Sturm und Drang, la prima avanguardia europea, che Goethe denominò «la rivoluzione letteraria tedesca», è a cura di Giampiero Moretti, tra i nostri maggiori studiosi e interpreti del romanticismo tedesco. Il saggio celebra il peculiare intreccio della letteratura con la filosofia. Da questa sintesi in continuo movimento e costante trasformazione spirituale sorge quella che Korff chiama una «comunione storica universale», che costituisce l’ultimo avatar dell’umanesimo occidentale, fondato sul concetto e sulla pratica della Humanität, di un nuovo umanesimo che si è riverberato nella cultura tedesca per un secolo almeno fino agli anni Trenta del Novecento, “assassinato” dall’ascesa al potere del Führer.

Nella seconda metà del Settecento per la prima volta la cultura tedesca s’impose come protagonista europea con la filosofia e con la musica e con una letteratura subito immensa con la ”lirica della natura”, con i drammi dello Sturm und Drang e con il nuovo linguaggio poetico animato dalla volontà di abbandonare i salotti e soprattutto le aule universitarie per recuperare una freschezza creduta ancora possibile tramite il recupero della creatività popolare con le raccolte, messe in cantiere in quel periodo, dei Volkslieder, del “canti popolari”.

Le cose non stavano proprio così: si trattava, infatti, di una letteratura colta, meditata, ma insieme anche spumeggiante e trascinante come confermano il Werther e le odi giovanili di Goethe, dal Canto del viandante nella tempesta al Prometeo, tenuto segreto a lungo per evitare l’accusa di cripto-spinozismo, da cui però l’autore non poté sottrarsi a riprova dell’interazione tra filosofia e letteratura, varata da Herder, che fu il mentore di Goethe e dei suoi amici stürmeriani.

La loro “rivoluzione” era pervasa da impulsi di rinnovamento radicale, tuttavia lontani dalla rivolta, come stava avvenendo con la Rivoluzione americana. Goethe seguiva piuttosto la concezione organicista dello storico Justus Möser con la sua difesa della frastagliata compagine delle autonomie locali, in antitesi alla razionalizzazione accentratrice –rappresentata da Versailles e dal Re Sole - in nome della Germania delle tante patrie, corti e capitali. Infatti sia Goethe sia Herder accettarono -e fu per sempre- di trasferirsi nel minuscolo ducato di Weimar a collaborare al Sonderweg tedesco, ovvero al particolarismo germanico (che si protrae fin nell’attuale statuto federale).

Il compromesso storico tra sovrani e borghesi, mediato da intellettuali e artisti, si affermò di fronte ai fatti (cruenti) della Rivoluzione francese. L’invasione francese contagiò la nuova generazione tedesca, risvegliando i dormienti spiriti dei giovani, ma così siamo già al romanticismo inoltrato, che succede al cosmopolitismo del classicismo di Weimar e del primo romanticismo di Jena, quello di Novalis e dei fratelli Schlegel. Il primo volume s’interrompe con il Don Carlos schilleriano, che rappresenta il culmine dell’epopea drammatica del classicismo con l’esortazione al sovrano di concedere - prima rappresentazione nel 1787 (due anni prima della Bastiglia) - la «libertà di pensiero»: era il massimo che ci si poteva attendere dall’umanesimo dell’“età di Goethe”.

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