martedì 27 giugno 2017
In un libro sull'uso della parola "crisi" il filosofo francese denuncia le storture del nostro tempo. «Un individuo non diventa terrorista solo perché ha fame. La coscienza morale è regredita ovunque»
Edgar Morin: «La crisi non si vince con l'economia»
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Nel volume Per una teoria della crisi (Armando, pagine 96, euro 12,00), sono raccolte alcune riflessioni di Edgar Morin sul concetto di "crisologia". Lo apre una conversazione con François L'Yvonnet, della quale anticipiamo alcune pagine.

La mondializzazione è un processo che è cominciato qualche secolo fa, con la conquista delle Americhe, poi con quella del mondo da parte dell’Occidente, ma a partire dagli anni Novanta si è assistito a una mondializzazione accelerata, tecnoeconomica, con la generalizzazione in tutti i settori delle comunicazioni planetarie, creando una comunità di destino per tutti gli uomini che, ormai, devono confrontarsi con gli stessi problemi e con gli stessi pericoli, siano essi quelli della biosfera ecologica, della propagazione di armi distruttrici, in particolare nucleari, dell’economia sempre meno regolata, della dominazione incontrollata della finanza internazionale, ecc. Che si tratti della crisi delle società tradizionali sotto il peso dell’occidentalizzazione o della crisi con la quale l’Occidente stesso si confronta. L’Occidente offre come soluzione al resto del pianeta ciò che è un problema al suo interno! C’è dunque, a tutti gli effetti, una crisi dell’umanità che non riesce a essere umanità. È un altro uso della parola crisi.

Ma la parola, qui, è ancora “inflazionata”. Lo è perché oggi la “crisi” è ovunque! A cominciare dalla crisi economica lampante, che la maggior parte degli economisti non aveva previsto, e di cui, al contrario, aveva annunciato la fine! Nonostante tutto, l’uso della parola “crisi” mi sembra giustificato nel senso che gli ho appena dato: epoca d’incertezza, in particolare per quanto riguarda il futuro, epoca in cui tutto è possibile, incluse le peggiori catastrofi, ecologiche, nucleari, politiche. Il transumanesimo, per esempio, annuncia euforicamente una nuova èra dell’umanità – già presente in potenza – con la prospettiva di vivere più a lungo restando giovani e potersi affrancare dalle attività più fastidiose e superflue, grazie alla diffusione dei robot, anche nell’ambito delle attività psicologiche e intellettuali. Ma se è innegabile che ci siano progressi scientifici e tecnici di carattere emanci- patore e trasformatore, sono anche aumentate le potenziali catastrofi, se non altro perché la coscienza umana, nel senso intellettuale e morale, è regredita un po’ ovunque.

Viviamo una comunità di destino, è un fatto, ma la coscienza non fa progressi: la mondializzazione tecno-economica, nel suo carattere astratto e occidentalizzato, scatena un po’ ovunque reazioni di refrattarietà e di chiusura. In Francia, i progressi del Front National sono la testimonianza di questa paura e di questo isolamento. In altre parole, più si è solidali con l’umanità nel suo insieme, e più si cerca di “de-sodalizzare” con il resto del pianeta, più ci si vuole “de-europeizzare”, “demondializzare”… È un sintomo della crisi. A questo, bisogna aggiungere una regressione del pensiero e della conoscenza. I progressi dell’educazione hanno moltiplicato e diffuso una conoscenza frammentaria, settoriale, dove ci sono esperti competenti solo all’interno di ogni ramo della conoscenza. Si è persa la capacità di poterli collegare tra loro, di produrre una sintesi. Più la mondializzazione progredisce, meno è pensata nella sua vera natura… Più è considerata in uno solo dei suoi aspetti.

In un numero recente del quotidiano Le Monde, un articolo portava il titolo: «Terrorismo e populismo: la soluzione è economica, dice Emmanuel Macron » [all’epoca della stesura del testo (2016) ministro dell’Economia, ndr]. Di questi fenomeni, che hanno certamente una dimensione economica, non si ritiene altro che questa dimensione. Mentre è evidente che un individuo (o un gruppo di individui) non è spinto verso il terrorismo solo perché muore di fame o perché gli mancano le scarpe. Il pensiero e la coscienza sono in regressione rispetto alle necessità del mondo attuale. Cosa che non esclude la possibilità di una svolta inattesa. La Storia non è lineare. C’è dunque una profonda crisi dell’umanità che non si rende conto di essere crisi dell’umanità. Mentre c’è ancora chi non esita a parlare di mondializzazione felice…

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