domenica 14 gennaio 2018
Stasera su Sky Atlantic documentario sui drammi di tanti italiani visti da un compro oro e una recupero crediti Il produttore: «Da mio padre Mike l’esempio di una tv rigorosa»
Adelina, la recupero crediti protagonista del dopcumentario "Inseguendo la felicità" di Sky

Adelina, la recupero crediti protagonista del dopcumentario "Inseguendo la felicità" di Sky

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In Italia si calcola che il 7,6% della popolazione viva in povertà assoluta, si tratta di 4 milioni 598mila persone non in grado di acquistare servizi e beni essenziali alla vita di tutti i giorni. La quantità di oro proveniente da oggetti preziosi venduti ai compro oro nel 2016 è stata pari a 93,42 tonnellate, per un totale di 2,6 miliardi di euro mentre nel 2016 il totale dei crediti insoluti è stato di 58,9 miliardi di euro, ma di questi solo 9,42 miliardi sono stati riscattati. Tutti dati che fanno da filo conduttore all’asciutto e bel documentario Inseguendo la felicità, che affonda senza sconti nella realtà quotidiana di un’Italia in difficoltà. Va in onda in prima tv stasera alle 21.15 su Sky Atlantic HD e Sky Tg24 Active per il ciclo Il racconto del reale, interamente disponibile su Sky On Demand.
Il documentario prodotto da Sky e realizzato dalla Good Day Films di Michele Bongiorno e scritto e diretto da Andrea Bettinetti, racconta dall’interno, storie sempre più diffuse di ordinaria povertà, attraverso il punto di vista inusuale di Gabriele, compro-oro romano, e Andreina, recupero-crediti a domicilio che opera tra il Piemonte e la Lombardia. Due persone che praticano un mestiere impopolare, ma fortunatamente con umanità, e che affrontano quotidianamente la disperazione dei loro clienti. Gente di tutte le età le classi sociali che, davanti alle telecamere, racconta le proprie esperienze disarmanti: c’è chi ha perso il lavoro e si trova in mezzo a una strada, chi ha avuto la grave malattia di un familiare, chi mutui che non riesce più a sostenere. Un brivido scorre nello spettatore, perché potrebbe toccare a ciascuno di noi. Non è la prima volta che succede, guardando i documentari realizzati da Bongiorno, figlio del grande Mike, 45 anni, che per il ciclo Sky di recente ha prodotto La percezione della paura sul boom di armi in Italia e La comitiva che racconta in prima persona gli italiani di domani, gli immigrati di seconda generazione.

Michele Bongiorno, perché un documentario sulla povertà?

«Abbiamo proposto a Sky una serie sulle grosse tematiche di attualità che non sono tutti i giorni sulla prima pagina dei giornali, ma che rappresentano importanti problemi sociali latenti. Una di queste è la grande crisi economica durata 10 anni e che forse solo fra 20 anni potremo raccontare ai nostri figli, un po’ come i nostri nonni quella del ’29. Ma volevamo focalizzarla da un angolo un po’ diverso. Abbiamo individuato il compro oro e il recupero crediti, due realtà che sono cresciute economicamente in seguito a questa crisi».

Un punto di vista anche scivoloso.

«Lo sappiamo, per questo con lo staff della Good Day Films lavoriamo molto sulla ricerca approfondita. Io stesso sono autore e mi impegno in prima persona. Abbiamo trovato due protagonisti affidabili, che affrontano la gente con umanità ed uno sguardo positivo, perché hanno la coscienza dei drammi che queste persone vivono. Sono loro i primi a denunciare come dietro a molti compro oro ci sia il riciclaggio di denaro sporco o l’aggressività delle grandi società di recupero crediti. E grazie a loro abbiamo potuto vivere davvero la realtà quotidiana della disperazione di tanti italiani».

Lei ha affrontato anche altri temi forti riguardanti il nostro Paese, come le migrazioni e le armi.

«La comitiva, sempre di Andrea Bettetti, non è un film sullo “ius soli”, ma un racconto dalla periferia romana per ascoltare le aspirazioni, i sogni e i desideri dei giovani immigrati di seconda generazione, adolescenti come tutti, che potevano essere subito nuovi italiani, ma che invece dovranno aspettare. Noi lavoriamo senza filtri, cerchiamo di puntare l’obiettivo su un racconto, senza volerlo indirizzare. Lo stesso abbiamo fatto sul controverso tema delle armi: nessuno ne parla, ma sempre più italiani si stanno armando. È una situazione reale, dovuta a un insieme di cose, alla crisi che genera criminalità, all’immigrazione vista anche con ignoranza da chi semina solo paura...».

Voi siete stati anche i primi a raccontare le storie dei reduci italiani dall’Afghanistan.

«Di Reduci del 2013 sono molto fiero. Sei soldati italiani tornati dall’Afghanistan con segni terribili addosso, causa attentati: la rieducazione fisica, il racconto delle famiglie, una storia di grande impatto. Mi ero incaponito, siamo riusciti con grande fatica a convincere lo Stato Maggiore ad aprirsi, dopo la perdita di decine di soldati italiani in missione di pace. Lo avevo proposto a Rai e Mediaset, ma non lo hanno voluto, anche se ora produco anche per loro. Lo prese Andrea Scrosati (vicepresidente di Sky Italia, responsabile di tutti i contenuti non sportivi della piattaforma, ndr.) così è nato il mio rapporto con Sky».

Suo fratello Niccolò è regista, lei invece come è arrivato alla produzione?
«Prima o poi ambirei a entrare nel mondo della fiction, ma ho sempre avuto una predilezione per l’aspetto documentaristico. L’ambizione è raccontare una storia in modo accattivante, divertente o che dia emozioni. E se alcuni di questi film hanno un piccolo ruolo civico, di formativo alla società, ben venga, in fondo il documentario lo ha nel suo Dna. Mi riferisco anche ai film d’arte e biografici che produciamo, come quello sul grande artista Fabio Mauri, senza tralasciare la produzione di spot commerciali, che possono anche essere una piccola forma d’arte. Non ho alcuno snobismo al riguardo, me lo ha insegnato mio papà che per primo si è occupato di pubblicità con grande serietà».

Cos’altro ha imparato da uno dei padri della tv italiana come Mike Bongiorno?

«Mio padre era un artista, non era un uomo di business. Lui era un creativo, tanti format li ha inventati lui. Io invece faccio sia la parte organizzativa che quella creativa. Non mi ha mai dato suggerimenti lavorativi, ma forse ho assorbito il rigore del suo sguardo. Se un certo punto di vista è giusto: a non puntare su quello che fa scalpore, perché non devi fare pornografia tv».

E dal punto di vista educativo?

«Ho avuto un papà che, come tanti che hanno vissuto un secolo molto speciale come il ’900, è stato messo davanti a grandi difficoltà e a grandi opportunità. Lui è riuscito a trovare un equilibrio che l’ha reso un grande professionista nel lavoro e una persona rigorosa in famiglia. Non era di troppe parole, ci vedevamo poco perché lavorava tanto, ma la sua presenza bastava, anche solo l’esempio».

Con sua madre Daniela e i suoi fratelli gli avete dedicato una Fondazione.

«Con la Fondazione Mike Bongiorno promuoviamo tante iniziative in suo nome. La cosa più recente sono delle borse di studio in diverse università italiane. Mio padre ha fatto parte di una tv in cui c’era molta attenzione al merito, a quelli che studiavano. Mentre oggi la tv dei reality rende famose le persone in base al nulla. Noi proponiamo di tornare al merito aiutando i giovani».

Prossimi progetti?

«Andrà in onda a febbraio su Sky Arte una prima serie che ho progettato sui cimiteri di tutta Europa, luoghi di memoria, monumentali e bellissimi. Nelle 6 puntate de Gli immortali metteremo a confronto le storie di due personaggi famosi sepolti nello stesso cimitero. È stata una esperienza che ci ha arricchito molto, e da quei luoghi non ne siamo usciti affatto sconfortati».

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