mercoledì 21 dicembre 2022
La riflessione del cardinale Matteo Maria Zuppi in occasione dei 40 anni del Pranzo di Natale di Sant'Egidio: «È diventato una nuova Greccio che mostra a tutti l’eloquente scelta di Dio»
Un momento del pranzo dei poveri organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio nella Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma nel giorno di Natale

Un momento del pranzo dei poveri organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio nella Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma nel giorno di Natale - Ansa / Claudio Pieri

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Proponiamo la prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, al volume curato da monsignor Vincenzo Paglia Il pranzo di Natale, edito da San Paolo. Dal 1982 il pranzo di Natale della Comunità di Sant’Egidio è diventato un’icona del Natale in cui nessuno è escluso.

Questo libro è il miglior commento al versetto evangelico di Luca (13,29) che descrive il Regno dei cieli proprio come un pranzo, un grande banchetto: «Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel Regno di Dio». A tavola. Il pranzo di Natale rappresenta un concreto anticipo. È il racconto di un sogno, la necessità di mostrare un impegno tutto l’anno (sì, aveva ragione il poeta, «Natale è tutto l’anno» con l’impegno quotidiano della Comunità di Sant’Egidio) e di ridare a questa festa il suo vero significato, nascosto dal fastidioso, quasi insultante, consumismo, che trasformava la festa umile e umana di Betlemme in una «festa senza il festeggiato», come diceva il Cardinale Biffi.

Il pranzo di Natale è diventato come un’icona del Natale, una nuova Greccio che mostra a tutti l’eloquente scelta di Dio e il comporsi intorno a Lui della sua vera famiglia, quella dei suoi fratelli più piccoli. È l’immagine concreta del volto umano di Gesù e della maternità della Chiesa che illumina, con la tenera luce dell’amore, tanti “invisibili”. Non sono accolti o aiutati: sono i protagonisti del banchetto, al centro della Chiesa. «La Chiesa è di tutti, particolarmente dei poveri», ricordava san Giovanni XXIII nel Concilio Vaticano II. E il «particolarmente» non è un generico auspicio, ma una prassi e i poveri non sono una categoria astratta, ideologica, ma persone con il loro nome e la loro storia. Non un elenco, un problema, una cartella da trattare.

Le pagine sono piene di riferimenti storici ed esegetici, sapienti e stimolanti, che ci ricordano una prassi antica della Chiesa e pienamente evangelica: mangiare assieme. Il libro descrive le storie e i volti di quella famiglia di poveri e umili che Dio raduna intorno a sé, spirituale ma anche tutta umana, della bellezza di sorrisi senza denti, di solitudini guarite, di sbarre aperte e di sale da pranzo bellissime. Questa concretezza infastidisce chi ha ridotto Dio a consigliere dell’individualismo, a uno spazio sacro ma senz’amore, a luce che non scalda e non attrae.

È un libro che appare esagerato a chi riduce Dio a un ente senza volto, rassicurante perché assume qualsiasi forma desiderata, talmente senza volto da togliere certo ogni paura, ma che finisce per essere solo una grande estensione del proprio io. È un libro commovente perché ci fa incontrare il nostro prossimo, tanto che nel pranzo tutti diventano prossimo gli uni degli altri, si confonde chi serve e chi è servito, tutti ospiti del vero padrone di casa che è quel Dio che insegna agli uomini ad essere uomini e a percorrere con gioia la via del cielo, quella che insegna a vivere bene sulla terra. Non è un Natale “di meno”, ma enormemente “di più”, come tutte le cose di Dio! È l’icona dell’enciclica Fratelli tutti, il sacramentale di una liturgia di amore, che non solo non profana i luoghi, ma aiuta tutti a vedere l’umano con gli occhi di Dio e Dio con gli occhi degli uomini.

Il cardinale Lercaro, vescovo di Bologna negli anni del Concilio, voleva che su molti altari della diocesi venisse inciso sul lato di fronte all’assemblea un versetto della Didaché: «Se condividiamo il pane del cielo, come non condivideremo quello della terra?». Il pane del cielo e quello della terra sono profondamente uniti e l’eucarestia si trasforma in questa raffigurazione del sacramento dell’amore fraterno che Cristo spezza per i suoi. Un pranzo compromette nell’amicizia. I maestri della legge si scandalizzavano proprio perché Gesù sedeva a tavola con i peccatori, annullava le distanze, abbatteva i diaframmi. Solo così si sperimenta la compagnia, quel cum panis che nel giorno di Natale acquista un significato tutto particolare.

A Natale il pranzo è proprio celebrare la famiglia che si riunisce, tanto che misuriamo l’assenza dei cari. È il giorno in cui si pensa alla famiglia e che ci fa sentire accolti e amati. Sì, i pranzi di Natale nascono da una convinzione: la Chiesa è una famiglia, anzi è la vera famiglia. In essa i fratelli più piccoli di Gesù non sono oggetto di qualche filantropia e di un ben circoscritto volontariato: sono i suoi e sono i nostri fratelli più piccoli e ci fanno diventare tutti piccoli. Come tutte le cose grandi ha umili inizi. Il libro ci aiuta anche a ripercorrere la sua storia che comincia da quel primo pranzo con pochi e intimoriti commensali nella “sala più bella del mondo”, Santa Maria in Trastevere, abbracciati tutti come raffigurato dal mosaico dell’abside. «E chi ci batte?», disse con grande fierezza uno di loro che viveva per strada, guardando trasognato il bellissimo soffitto della basilica.

Una regista girò il primo film sul pranzo, intitolandolo L’altro Natale. Raccontava in esso cinque storie di invitati usando un accorgimento che rendeva bene quello che accadeva: la parte girata in casa o per strada o dove abitava la persona era in bianco e nero, mentre quella del pranzo a colori, come a mostrare il cambiamento che avveniva nella vita di ciascuno. L’amicizia non si inventa e non cresce senza volerlo. Con questi “cari” bisogna proprio cercarla. O forse bisogna solo apparecchiare e accogliere perché in realtà l’amicizia la insegnano loro. Ne hanno bisogno. Tanto. Come il pane. Chi non ne ha bisogno? Loro non ne possono fare a meno. Chi può farne senza? La solitudine, anche quando crediamo di sceglierla, è sempre un dramma. Quasi sempre la si subisce. C’è una sola guarigione dalla solitudine: l’amicizia. Non quella fintamente sentimentale. Amicizia vera, che conosce nomi, cognomi, piccole manie, desideri nascosti, necessità inconfessate o che non hanno trovato risposta. Amicizia vuol dire un regalo per ognuno, proprio come a casa, sotto l’albero, il regalo per te, quello proprio tuo, unico, diverso dagli altri, quello che ti spettavi.

Anche per questo tanti aspettano il Natale per mesi. Un ragazzo disabile ogni volta che mi incontrava urlava con complicità e gioia: «Mancano x giorni a Natale». Ogni giorno faceva il conto alla rovescia iniziando 364 giorni prima! Al pranzo ognuno ha il suo posto. Un protocollo da grandi occasioni. «È il più bel Natale della mia vita». Davvero bello, bello proprio come quando eravamo piccoli. E se penso al paradiso lo immagino proprio così: la gioia di farsi amare che vince la solitudine, l’amarezza, la delusione, il fallimento. «Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio. Beati voi che avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete» (Lc 6,20-21).

Certo, non si prepara alla “come viene” la tavola del pranzo di Natale, ma con tanta cura, perché la bellezza aiuta e riflette quella dell’umanità. Spesso per chi non ha niente prepariamo come possiamo, spesso quello che avanza o che troviamo. Nella vita i poveri sono trattati in maniera anonima e spesso nessuno li chiama per nome. Accade così a chi non ha famiglia, ai bambini di strada, agli anziani ricoverati in istituto, ai prigionieri, a chi è solo, a chi non è padrone di sé. Per tutti, quel biglietto di invito rappresenta dignità e significato della propria vita, un piccolo Vangelo di amore unico e personale.

Insomma: Natale. Proprio quello che san Francesco voleva per il giorno di Natale (II Celano 199), in cui «i poveri ed i mendicanti fossero saziati dai ricchi, e che i buoi e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più abbondante del solito – diceva –. Se potrò parlare all’imperatore lo supplicherò di emanare un editto generale, per cui tutti quelli che ne hanno possibilità, debbano spargere per le vie frumento e granaglie, affinché in un giorno di tanta solennità gli uccellini e particolarmente le sorelle allodole ne abbiano in abbondanza». Non poteva ripensare senza piangere in quanta penuria si era trovata in quel giorno la «Vergine poverella ». Non è questione di mezzi, ma di amore. Nessuno è così povero da non poter aiutare un altro povero: ecco la ricetta principale della Comunità di Sant’Egidio in tutte le parti del mondo, dai villaggi sperduti alle grandi città. «Quando offri un pranzo o una cena non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini… Al contrario quando offri un banchetto invita poveri, storpi, zoppi e ciechi» (Lc 14,13). Natale di Fratelli tutti che ci aiuta a esserlo e a contemplarlo.

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