mercoledì 8 giugno 2016
Il gesuita LYONNET, talent scout della Bibbia
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Un maestro dell’«esegesi paolina», in particolare delle Lettere ai Romani e ai Galati; un pioniere del «metodo storico critico» nella Sacra Scrittura; uno studioso di razza capace di «fare sintesi tra i saperi della Bibbia». Ma anche l’abile gesuita francese che nel 1966, tra le mura del prestigioso Pontificio Istituto Biblico di Roma, nella sua veste di navigato professore e relatore presentò la tesi di dottorato del giovane e già promettente studioso di esegesi padre Carlo Maria Martini: «Il problema della recensionalità del codice B alla luce del papiro Bodmer». Sono le istantanee e i ricordi che tornano oggi alla mente per rievocare – a 30 anni dalla scomparsa, avvenuta l’8 giugno 1986 nell’infermeria della Gregoriana a Roma – il gesuita francese Stanislas Lyonnet, definito da Jean-Noël Aletti  – uno dei suoi allievi prediletti – «uomo tra i più liberi che abbia conosciuto», e anche per questo una vera «icona del Vangelo».  Padre Lyonnet nasceva il 23 agosto 1902 a Saint-Etienne ed entrava giovanissimo (1919) nella Compagnia di Gesù, in cui diventa sacerdote nel 1934. Da quella data la sua vita si orienta agli studi di Sacra Scrittura e non solo: il religioso fu tra l’altro un profondo conoscitore delle lingue armena e georgiana, avendo alle spalle un prestigioso diploma conseguito all’Ecole Pratique des Hautes Études di a Parigi. Professore nella prestigiosa facoltà gesuitica di Lyon-Fourviére (la stessa frequentata da teologi del rango di Daniélou, De Lubac e von Balthasar) e poi a Roma al Pontificio Istituto Biblico, della sua cifra accademica colpiscono ancora oggi le opere che ci ha lasciato; solo per citarne alcune: Les origines de la version arménienne de la Bible et du Diatessaron( 1951); traduzione in francese con breve commento di Romani e Galati per la Bible de Jérusalem (1953); Theologia biblica Novi Testamenti (1957); La storia della salvezza nella lettera ai Romani (1967).  Padre Lyonnet «è stato un uomo veramente multidisciplinare per la conoscenza dei saperi attorno alla Bibbia – spiega il gesuita e già rettore del Biblico, il belga Maurice Gilbert –. Impressiona ancora oggi pensare che fu uno degli allievi prediletti del grande linguista Antoine Meillet e che sempre lui introdusse alla conoscenza del georgiano il grande accademico di Lovanio Gérard Garitte. Uno dei suoi meriti maggiori fu poi la collaborazione con il “padre nobile” dell’Ecole Biblique di Gerusalemme, il domenicano Marie-Joseph Lagrange: tra i due studiosi intercorse un rapporto di amicizia e stima vera, confermato anche da un fitto scambio di lettere. Fondamentale in questo caso fu il contributo di Lyonnet per le versioni dei Vangeli in armeno e georgiano al volume del padre Lagrange Critique textuelle ». Padre Gilbert aggiunge un particolare: «Ricordo ancora che una mia ricerca su un passo di Ezechiele, suggerita da Lyonnet, ricevette il pubblico plauso del massimo studioso di quella materia, Walther Zimmerli. Il che testimonia la grande capacità di guida didattica e le intuizioni scientifiche del mio antico professore di esegesi».  Ma è negli anni che precedono il Vaticano II che la figura di Lyonnet, tenuta spesso in grande considerazione da uomini dello spessore di Agostino Bea e Alberto Vaccari, comincia ad emergere. Non a caso stella polare del suo metodo di «biblista aperto» diviene proprio l’enciclica di Pio XII Divino afflante spiritu (1943), che aprì un nuovo approccio nell’esegesi moderna grazie al riconoscimento dei «generi letterari » nella Bibbia. E fu proprio la questione dei «generi letterari» a diventare il terreno privilegiato dell’indagine scientifica del religioso francese. Gli occhi vigili del Sant’Uffizio di allora, guidato dal cardinale Ottaviani, si soffermarono soprattutto sulla sua interpretazione del racconto dell’Annunciazione e sul concetto di «peccato originale» in un passo della Lettera ai Romani. Per questa ricerca d’avanguardia, vista con sospetto da molti ambienti romani, padre Lyonnet nel 1962 fu sospeso dall’insegnamento al Biblico su ordine del Sant’Uffizio e assieme a un altro gesuita di grande valore, Maximilian Zerwick. «Dovetti sostituirlo sulla cattedra di esegesi del Nuovo Testamento – rivela oggi il biblista e cardinale Albert Vanhoye –. La scelta di sospenderlo fu presa di comune accordo tra papa Roncalli e il generale della Compagnia di Gesù, Giovanni Battista Janssens. Erano gli anni della rovente polemica con la Lateranense e in particolare con monsignor Antonio Piolanti: accusavano noi del Biblico e soprattutto padre Lyonnet di non insegnare la giusta dottrina, inoltre dava indubbiamente fastidio il monopolio nel campo delle scienze bibliche di cui godeva il nostro istituto in quel periodo». Ma presto arrivò il Vaticano II, a proposito del quale il cardinale Vanhoye – che fu allievo di dottorato del gesuita francese e lo ebbe per tanti anni come confessore – rivela un piccolo particolare: «Padre Lyonnet era di natura un animo ottimista: era convinto che l’assemblea ecumenica avrebbe aperto nuove strade. Ricordo ancora le sue parole: “Beh, il Santo Padre ha tante preoccupazioni con il suo Concilio e per me sarà l’occasione di parlare ai vescovi e non agli alunni del Biblico”... Non era un perito del Vaticano II, ma veniva spesso consultato dai padri conciliari, in particolare dai francesi, e visse quegli anni con grande animo di servizio». Fondamentale, non a caso, la sua impronta indiretta – «quasi sottovoce», tiene a precisare Maurice Gilbert – che l’anziano gesuita francese riuscirà a imprimere su un documento-chiave come la costituzione dogmatica DeiVerbum. Nel 1964 per Lyonnet e Zerwick arriva la riabilitazione (salutata con note di affetto e ammirazione nei loro Diari conciliari da due big della teologia moderna come Yves Marie Congar e Henri de Lubac): per decisione di Paolo VI il religioso francese ritorna a sedere sulla cattedra del Biblico in cui rimarrà docente indiscusso fino al 1983. Sempre papa Montini lo nomina consultore della Congregazione per la dottrina della Fede (1972-1982) e membro della Pontificia Commissione Biblica (1972-1977). 

(L’ultima “lectio” al Pontificio Istituto Biblico nel 1983 del padre Lyonnet da  sinistra Lyonnet, il cardinale William Wakefield Baum allora prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica e l’allora delegato apostolico  della Compagnia di Gesù e futuro cardinale Paolo Dezza e il rettore del Pontificio Istituto Biblico Maurice Gilbert).Certamente significativa la scelta di Roberto Rossellini e dell’allora funzionario della Rai Luciano Scaffa di avvalersi proprio di lui e del suo allievo Carlo Maria Martini come consulenti biblici per le riprese dello sceneggiato in cinque puntate Gli Atti degli Apostoli (1969). Nel 1982 Giovanni Paolo II lo designa come predicatore degli Esercizi Spirituali di Quaresima alla Curia romana: «Rimasi colpito dalle parole con cui Wojtyla commentò quell’esperienza – racconta oggi il biblista e gesuita romano Francesco Rossi De Gasperis –: si felicitò con lui per la sua “gioventù di cuore”. Credo che il suo maggior insegnamento a noi biblisti è stato il ricorso all’esegesi giudaica per capire il Nuovo Testamento ». «Fu inoltre un maestro dell’integrazione dei metodi biblici, come anche un fedele ermeneuta dei Commentaridi san Tommaso alla Sacra Scrittura. In ogni sua lezione c’è stato sempre un continuo ricorso alla “Bibbia nella Bibbia”: amava ripetere che per “capire il Nuovo Testamento ci vuole sempre l’Antico”. Lyonnet forse anche per questo ha avuto un ruolo decisivo nell’indicare una nuova strada di ricerca allo spiritano francese Roger Le Deault, il suo allievo che divenne per tutti noi un maestro della tradizione “ebraico-cattolica”».  Il lascito di Lyonnet resta vivo anche per la sua traccia ecumenica, profusa soprattutto nel post- Concilio. «Basti pensare – osserva Vanhoye – alle sue collaborazioni con il teologo protestante Oscar Cullmann o con frère Roger, fondatore della Comunità di Taizé». Un’eredità attuale soprattutto per gli studiosi della Bibbia di ogni confessione cristiana. «Indubbiamente i suoi studi sull’epistola ai Romani nella traduzione ecumenica della Bibbia – è la riflessione finale di Maurice Gilbert – ne fanno uno dei riferimenti più autorevoli. Mi ha sempre impressionato, nella lunga agonia finale di 48 ore, il fatto che proferisse continuamente la parola “amen” e la compostezza con cui si preparò al congedo dalla vita terrena. Fino all’ultimo respiro».
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