sabato 25 luglio 2015
​Il fratello maggiore di papa Paolo VI fu una figura esemplare del movimento cattolico che si oppose al regime.
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Ci sono le tappe del percorso biografico e culturale del primogenito di Giorgio Montini e Giuditta Alghisi, e ci sono le strade che portarono larga parte della leadership cattolica cresciuta nella Fuci tra gli anni Venti e Trenta, a misurarsi nel secondo dopoguerra, con la nascente politica europeista . Ma ci sono pure gli interrogativi di un giovane e poi di un uomo maturo (che li condivide con il fratello «di sangue e di spirito», il futuro Paolo VI), sui temi legati a quella 'modernità', presto rivelatasi come chiave ermeneutica di tante vicende dal primo dopoguerra all’alba del secondo conflitto mondiale, ed anche durante la stagione del centrismo. C’è soprattutto questo nel volume di Luca Barbaini dal titolo Cattolicesimo, modernità, europeismo in Lodovico Montini  (Edizioni di Storia e Letteratura, pagine 416, euro 42). L’opera, grazie alla valorizzazione di diversi archivi (in particolare quello del-l’Istituto Paolo VI di Concesio, dell’Archivio Storico del Consiglio d’Europa, dell’Istituto Sturzo, dell’Azione Cattolica e altri), nonché di recenti carteggi montiniani editi da Luciano Pazzaglia e Xenio Toscani, ricostruisce qui il significato di una testimonianza particolare sino a oggi esplorata per lo più nei diretti legami con il fratello destinato al papato. Cresciuto negli ambienti più vivaci del cattolicesimo bresciano (Collegio Arici, Oratorio della Pace, Associazione studentesca 'A. Manzoni'), laurea in legge nel 1921 dopo essere stato ufficiale al fronte nella Grande Guerra, Lodovico Montini lavorò poi sino al 1923 a Ginevra all’Ufficio Internazionale del Lavoro. Successivamente fu attivo nel Movimento Cattolico con diversi ruoli e nella Resistenza (ricercato dai fascisti trovò rifugio a Roma, grazie al fratello nel frattempo promosso sostituto della Segreteria di Stato). Furono questi, gli anni che lo videro via via nella Giunta centrale di Azione Cattolica (vi approdò nel 1924 e lavorò su diversi fronti, compreso quello della stampa cattolica, una specie di passione di famiglia: vedi testi inediti qui a lato); poi all’Istituto cattolico di attività sociali (dal quale venne estromesso ritirandosi a vita privata nella città natale dopo la svolta concordataria della Santa Sede.), quindi, dalla metà degli anni 30, con i laureati cattolici condividendo quel progetto, elaborato dal fratello minore e da Igino Righetti, da cui non si sarebbe più allontanato. Se non per assumere – dopo l’esperienza alla Conferenza di Londra a sostegno della candidatura italiana agli aiuti dell’United Nations Relief and Rehabilitation Administration – l’ufficio di costituente, avendo contribuito sia al Codice di Camaldoli, sia, nella Roma appena liberata, a redigere il programma della futura Democrazia Cristiana. Dal 1948 eccolo poi parlamentare, eletto ininterrottamente per tre legislature alla Camera e nel 1963, per la quarta legislatura, al Senato, un periodo in cui si occupa prevalentemente di politica estera. Lungo tutte queste direttrici Barbaini tratteggia il profilo dell’intellettuale e del suo 'credo', del tessitore che fa dialogare giovani generazioni e anziani cresciuti nell’esperienza del popolarismo, ma delinea pure l’uomo d’azione e il politico nella galassia dello Scudo crociato, dall’epoca del centrismo a quella della causa europeista: nella convinzione che l’unità politica continentale potesse fungere da laboratorio di confronto fra le dottrine sociali, politiche e filosofiche affrontatesi negli ultimi decenni. Si disse che quella di Lodovico Montini era «un’Europa vaticana», nel segno di «una solidarietà meramente confessionale ». Un’accusa che il diretto interessato rigettò con forza. Anche Barbaini dimostra che, pur oscillante tra utopia e realismo, profezia e pragmaticità, quella del fratello senior di Paolo VI fu, piuttosto, una fede nella politica europea. Nel segno di una equità sociale che, trascendendo persino il dato economico, doveva aiutare i Paesi o gli strati della popolazione più esposti socialmente. Detto con le sue parole un’Europa che doveva «giovare non a chi già più in alto, ma a chi socialmente più in basso».  
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