venerdì 23 febbraio 2024
Parla il regista Paolo Geremei che, con Simone Herbert Paragnani, firma il doc sul ct azzurro campione del mondo nel 2006, "Adesso vinco io". Un ritratto in cui la parte umana e sportiva coincidono
Una scena del docufilm "Marcello Lippi. Adesso vinco io". L'ex ct azzurro campione del mondo nel 2006  in mezzo tra Angelo Di Livio e Angelo Peruzzi

Una scena del docufilm "Marcello Lippi. Adesso vinco io". L'ex ct azzurro campione del mondo nel 2006 in mezzo tra Angelo Di Livio e Angelo Peruzzi

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Ci vuole talento per vincere un Mondiale di calcio, ma ce ne vuole altrettanto per raccontare sul grande schermo la magia del gioco del pallone e le storie dei suoi protagonisti. Farlo, usando la tecnica del documentario, è nel repertorio del talentuoso Paolo Geremei: regista 49enne nato a Orvieto, cresciuto a Roma e romanista dichiarato. Assieme a Simone Herbert Paragnani, Geremei firma la regia del docufilm dedicato a una leggenda juventina e della Nazionale, il tecnico Marcello Lippi. Si intitola Marcello Lippi. Adesso vinco io il docufilm (prodotto da Francesco Palazzi e Umberto Riccioni Carteni per On Production, Davide Tovi e Giuseppe Manzi per Master Five Cinematografica e Gabriele Genuino per Rai Cinema. In 200 sale, il 26, 27 e 28 febbraio). Una vita, quella del ct della quarta stella iridata ai Mondiali di Germania 2006, raccontata il tempo di una partita di calcio, 90 minuti. In Zero a Zero (docufilm del 2013, disponibile su Amazon Prime) perla rara nel panorama dei biopic calcistici, a Geremei di minuti ne erano serviti 64 per raccontare le vicende di tre talenti dimenticati: tre classe 1977, della Roma in cui esplose il “Capitano”, Francesco Totti. Il Pupone giallorosso, uno dei figlioc di Marcello Lippi, che in Adesso vinco io ricorda commosso quanto il ct l’abbia aspettato fiducioso e paterno pur di averlo nella rosa degli azzurri che fecero l’impresa nella finale di Berlino. Con Daniele, Andrea e Marco, protagonisti di Zero a Zero di Geremei, il destino è stato meno tenero, dopo aver sfiorato le stelle sono diventati come «quei giocatori tristi che non hanno vinto mai», cantati da Francesco De Gregori ne Leva calcistica della classe ’68. Daniele Rossi era il n. “10” degli Allievi nazionali della Roma e Totti giocava in coppia con lui, ma con la maglia n.11. Insieme segnavano una valanga di gol fino a quando un giorno Daniele non mette il piede in una buca e tutti i sogni se ne vanno in frantumi, con il suo ginocchio. Andrea Giulii Capponi era l’idolo delle ragazzine, molto più di Totti, e quando l’estate del ’94 al Bernabeu disputa l’amichevole Real Madrid-Roma pensa di essere arrivato in paradiso. Ma nel ritiro, mister Carlo Mazzone non lo trova in camera e lo retrocede dalla prima squadra alla Primavera. E quelle dopo sono state tutte maledette primavere , senza più una chance per salire sul treno che porta nel calcio che conta. Quel salto lo sognava anche Marco Caterini che nella Nazionale Under 15 era il portiere titolare e il suo vice Gigi Buffon, altro pilastro degli azzurri di Lippi, che però non fece in tempo ad allenarlo nella sua Juventus. Quella degli “invincibili”, campioni d’Europa nel ’96 nella finale vinta contro l’Ajax all’Olimpico di Roma. Una squadra modello quella bianconera allenata dal Marcello nazionale. «Non a caso il nostro film si apre con la citazione di sir Alex Ferguson, il guru del Manchester United che disse: “Facevo vedere ai miei giocatori le videocassette della squadra di Lippi e dicevo: non guardate la tattica o la tecnica, quella ce l'abbiamo anche noi, voi dovete imparare ad avere quella voglia di vincere », sottolinea Geremei.

Adesso vinco io è un titolo che nasce da questo spirito vincente del mister azzurro-juventino, l’uomo dal sigaro Toscano in bocca che partendo da Viareggio si è fumato tutti gli avversari ed è salito sul tetto del mondo?

No, il titolo nasce da una sua convinzione, una frase che Marcello ripeteva a sè stesso, «adesso vinco io» detta quando comincia ad allenare e non è ancora arrivato al vertice e tanto meno sul tetto del mondo con la Juve prima e poi con la Nazionale.

Lo chiama “Marcello” segno evidente di grande empatia creatasi tra voi sul set.

Lo chiamo anche “il Mister” – sorride -. Per me il Lippi uomo è stata una piacevole rivelazione. Dalla tribuna, da tifoso del calcio, lo immaginavo freddo, cinico, poco propenso all’esternazione dei propri sentimenti. Invece ho scoperto un uomo generoso, passionale e appassionato. Marcello negli anni in panchina è come se si fosse costruito una corazza, lo ha fatto per difendersi e per dimostrare ai suoi ragazzi che il leader deve sempre mantenere saldo il timone tra le mani, e quindi non lasciarsi andare agli umori e alle reazioni a caldo del momento. Le scosse emotive le ha lasciate a “Ringhio” Gattuso che lo scompiglia nell’abbraccio viscerale dopo la vittoria ai rigori contro la Francia nella notte magica di Berlino.

Prima del trionfo Nazionale, per Lippi c’è stata l’era aurea alla Juventus, dal 1994 al ’99 e poi dal 2001 al 2004, in cui vinse 5 scudetti una Coppa Uefa, una Champions e un titolo mondiale per club.

In quel decennio crea un gruppo fantastico che ho scoperto e conosciuto al pranzo degli ex nella sua casa di Viareggio, l’estate 2022. Molti di quei suoi ragazzi si ritrovavano dopo vent’anni e li ho visti abbracciarsi felici ed emozionati come dopo un gol. A tavola c’era anche Luciano Moggi che tutti chiamano il “direttore” e quell’incontro si svolge in un clima di goliardia con la partitella in cui chiedono a Ravanelli di replicare il gol del vantaggio nella finale di Champions del ‘96.

Dalle risate goliardiche a un certo punto in quel pranzo si passa alle lacrime...

Accade quando da Londra all’improvviso arriva la videochiamata di Gianluca Vialli che si stava curando per quella malattia che poi l’ha portato via per sempre, un anno fa…Quel saluto da lontano di Vialli ha confermato il gran bene che si vogliono tutti i ragazzi di Lippi: loro erano emozionati, qualcuno piangeva, e anche noi dietro la telecamera non abbiamo trattenuto le lacrime.

Vialli, un piccolo eroe di quella Juventus volato via assieme a Andrea Fortunato, morto a 23 anni di leucemia.

Andrea è un altro ragazzo che continua a vivere nelle loro memorie, specie in quella di Fabrizio Ravanelli che ha ricordato: quella Champions vinta l’abbiamo dedicata a Fortunato e alla sua famiglia.

Ed è proprio la “squadra-famiglia” forse il segreto delle tante vittorie di Marcello Lippi.

Nel racconto la parte umana coincide perfettamente con quella sportiva. Dietro quelle vittorie c’è tanto lavoro. Gianluca Pessotto ricorda gli «allenamenti massacranti » con il preparatore atletico Gian Piero Ventrone (morto anche lui a 62 anni) che facevano soffrire lui, ma anche i suoi compagni di squadra che però poi in campo volavano. Lippi questo concetto del lavorare sodo l’ha sempre avuto chiaro in mente e da allenatore è stato capace di realizzare il suo obiettivo principale: entrare nella testa degli uomini ancor prima che in quella dei calciatori.

Però non è riuscito ad entrare nella testa di Roberto Baggio: tra loro sono volati gli stracci. Mentre dalla sua testa forse è stato espulso il ricordo di Michele Padovano, protagonista di quella cavalcata di Champions e finalmente assolto dalla Cassazione dopo 17 anni di odissea giudiziaria.

Con Roberto Baggio, che non compare nel film, io credo che nel tempo la situazione si sia ricomposta e fra loro oggi regni la pace. Padovano prima di quel pranzo di Viareggio ha inviato i suoi saluti con un videomessaggio. Poi nel doc anche lui non si vede, ma la sua storia merita di essere rivissuta e raccontata, perché Padovano è stato uno dei grandi protagonisti di quella Juventus campione d’Europa, con il gol del 2-0 segnato in semifinale al Real Madrid e il rigore trasformato nella finale dell’Olimpico.

Durante le riprese qual è stato il calciatore che più vi ha colpiti?

Personalmente Zidane che ha mostrato anche davanti alla telecamera la dote che lo rende davvero grande, l’umiltà. Zizou possiede una sorta di aurea speciale, per cui ti spieghi come riuscisse a compiere certe magie in campo, tipo far sparire la palla sotto gli occhi degli avversari. Marcello ricorda il primo periodo in cui Zidane non si era ambientato alla Juve e le cattive prestazioni venivano sottolineate ferocemente dalla critica. Ma Lippi impassibile gli disse: «Zizou vai tranquillo a testa alta, vedrai che arriverà il tuo momento…». Quelle parole, quella fiducia reciproca ha creato un legame fortissimo e speciale tra di loro che non si è mai interrotto.

Zidane è anche il grande sconfitto della finale vinta dall’Italia nel 2006, mentre imperversa lo scandalo di Calciopoli che ha toccato anche la famiglia del ct azzurro: Davide Lippi che lavorava per la Gea, la società di procura che faceva capo a Luciano Moggi e a suo figlio Alessandro, figurava tra gli indagati.

Davide nel film ha raccontato la sua vicenda personale e quelle accuse che lo tiravano in ballo che poi lo hanno visto pienamente scagionato. Una parte emotivamente forte che Marcello ricorda da padre e non da ct della Nazionale. Quella vittoria al Mondiale lui se la sentiva già prima che cominciasse, e Totti lo ricorda, dice: «Il mister era convinto più di noi». Poi strada facendo Lippi si sarà anche sentito ferito nell’orgoglio e un pizzico di riscatto personale l’ha sicuramente provato la notte del trionfo sotto il cielo di Berlino…

Dopo aver fatto grande l’Italia il suo “Marcello” è andato a far vincere anche i cinesi del Guangzhou Evergrande: tre titoli nazionali di fila, dal 2012 al 2014, e in mezzo una Champions League asiatica.

Quella al Guangzhou è una pagina altrettanto epica della sua carriera. Nel film c’è un momento molto divertente che fa capire quanto Lippi sia popolare in Cina... Quando il presidente cinese Xi Jinping nel 2019 venne in visita a Roma dal Presidente Mattarella, alla cena del Quirinale viene invitato anche Marcello: Xi lo vede, dribbla gli altri ospiti, rompe il cerimoniale e va a stringere la mano al grande allenatore italiano che ha rivoluzionato il calcio del suo Paese. Grazie a Lippi, la Cina ci è più vicina.

Finale di partita: Geremei, ma come ha fatto a passare dagli anonimi di Zero a Zero alla vetta del calcio mondiale con il più vincente degli allenatori italiani?

Ho fatto un triplo carpiato, lo riconosco. Ma posso assicurare che quella luce negli occhi che ho visto in Caterini, Giulii Capponi e Rossi, è la stessa identica luce che ho ritrovato in Alex Del Piero che ci racconta quando 19enne dal Padova passò alla Juventus. E lì alla Juve quando incontra Lippi apprende la lezione più importante della sua vita: «Se vuoi arrivare un po’ più in alto degli altri, allora devi dare più degli altri, perché il talento da solo non basta». Il Lippi pensiero sta fondamentalmente in questo insegnamento che Del Piero ha fatto suo, così come tutti i campioni che Marcello ha allenato a diventare uomini, prima che dei fuoriclasse.

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